Didomenica

In questa pagina inseriremo ricordi, racconti, riflessioni storiche di quanti vogliono narrare e riportare fatti accaduti negli anni o di recente attualità, riguardanti la storia e l’evoluzione sociale dei partigiani italiani. 

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Domenica 31 dicembre 2017

Cittadini del Comune Antifascista

Per iniziare bene il 2018 volevo parlarvi dell’ iniziativa del sindaco del Comune di Stazzema, Maurizio Verona, che da pochi giorni ha inaugurato il primo Comune Virtuale Antifascista, in coincidenza con il settantesimo anniversario della Carta Costituzionale.

Si tratta di uno spazio in Rete al quale può liberamente aderire chiunque abbia la seria intenzione di operare concretamente per non cancellare la memoria del nazifascismo – così magari potremmo evitare di ripeterlo in versione 2.0 – e praticare a tutti i livelli quell’antifascismo che è l’asse portante della nostra Costituzione.

Più che mai è necessario, oggi, custodire e rinvigorire la memoria di cosa siano stati davvero il fascismo ed il suo alleato, soprattutto di fronte agli ormai troppo espliciti e numerosi tentativi di sdoganamento di quella che non è una ideologia, ma un crimine, come ebbe a dire – pagando con la vita – Giacomo Matteotti.

Non sarebbe male se questo Comune – che a nemmeno 24 ore dalla sua creazione consta di un migliaio di cittadini – acquisisse le dimensioni di una megalopoli globale fondata sui diritti e sul rispetto della persona umana, anche considerando che – si legge nel modulo di adesione – “Entrare a far parte di questa Comunità significa non solo aderire, ma condividere un impegno: la Costituzione nasce dalla Guerra al nazifascismo, stabilendo le regole di una convivenza in cui ciascuno possa sentirsi uguale agli altri. Questa Comunità fa propri i valori della Costituzione Repubblicana e del Parco Nazionale della pace di Sant’Anna di Stazzema.

Una comunità a cui tutti possono aderire senza distinzione di età, nazionalità, condizione sociale, genere, pensiero politico per lasciare alle generazioni future un mondo senza più guerre. “.

Proposta: ogni iscritto all’ANPI che voglia dirsi antifascista presenti domanda di cittadinanza.

E non dimentichiamo che in tutte le zone d’Italia (compreso il viterbese) non è mai esistito un fascismo buono, ma una dittatura repressiva e spesso omicida.

Buon 2018 nel nome della Resistenza (vecchia e nuova).

Riccardo INFANTINO

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Domenica 23 dicembre 2017

Segnali di luce e di buio

 

BabboNatale

Come in tutti i periodi di transizione – quello che stiamo attraversando possiamo definirlo un passaggio verso la post democrazia, dopo la quale potrebbe esserci una nuova primavera di diritti e sovranità popolare, oppure una totale assenza di entrambi, dipende solo da noi – osserviamo fatti e circostanze opposte e concomitanti.

Mi riferisco in particolare alla apertura di una sede di Casapound a Viterbo (21 dicembre) ed alla delibera del Comune di Brescia (20 dicembre) che vieta la concessione di spazi pubblici ad organizzazioni che propagandino messaggi neofascisti e razzisti.

Ho scelto volutamente due piccoli centri, dato che l’Italia è composta in maggioranza da città di non grandissima estensione ( a ben guardare le megalopoli sono solo Milano, Roma, Napoli e Palermo), e dunque quelle rappresentano il campione statisticamente attendibile del cittadino medio.

Forse (mi corregga chi è più informato di me sui fatti) stiamo andando verso una scissione delle coscienze, una divisione tra chi si sta facendo sedurre dal nuovo fascismo – abile nel travestirsi da movimento popolare vicino agli italiani, bisognosi di sicurezza e giustizia – e chi ancora crede nei valori costituzionali di sovranità popolare e di eguaglianza sostanziale degli esseri umani.

Il 22 dicembre 1947 viene approvata la Costituzione, e nel suo settantesimo anno mai come ora è un patrimonio da difendere da tentativi di revisione immotivata o suo svuotamento a beneficio della logica – fascista – del premier, pardon!, dell’uomo solo al comando.

Caro Babbo Natale, noi dell’ANPI ti scriviamo una bella letterina per chiederti se con le tue renne ci potessi portare una generosa dose di antifascismo quotidiano e di rispetto democratico, hai visto mai diventassimo un paese migliore…

Riccardo INFANTINO

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Domenica 10 dicembre 2017

Antifascismo diffuso all’orizzonte?

Inizio questa mia brevissima riflessione con il punto interrogativo nel titolo perché uno dei miei sogni (ne ho parecchi, a dire il vero…) è quello di vedere che la cultura antifascista esca dall’ANPI (che ne è lo storico custode e propagatore) e permei di sé, ancora una volta, quella del nostro paese.

A Como, in risposta alla lettura del comunicato naziskin in un centro di aiuto agli immigrati, tante sono state le persone che hanno data una netta risposta al presente rigurgito nazifascista ed ai tentativi subdoli di sminuire gesti gravi come questo e sdoganare il fascismo con la favoletta del “il fascismo fece il bene del paese fino a quando l’Italia non si alleò con la Germania hitleriana”.

Il corteo ha vista la partecipazione di comuni cittadini e figure istituzionali, accanto ovviamente all’ANPI, e tutti sono concordi nel dire un “no” senza se e senza ma ad ogni e qualsiasi manifestazione che si basi sulle idee nazifasciste e, più in generale, sulla propaganda di stampo razziale (si, ormai siamo a questo punto).

Di certo ha contribuito ad incentivare una risposta larga e decisa l’altro grave episodio, il bliz di Forza Nuova nel cortile della sede romana di Repubblica, per il quale è stata aperta un’inchiesta per l’identificazione certa dei responsabili.

Mi chiedo però con grande preoccupazione: il vento fischia solo in queste occasioni e nella data del 25 aprile, oppure si alzando una bufera antifascista che ogni giorno dell’anno soffia e spazza via qualsiasi ricaduta nostalgica ed ogni tentativo di rinascita del fascismo e del suo parente prossimo, il nazismo?

Spero che nella notte ci guidino le stelle (quelle della Costituzione) e che ci conserviamo antifascisti sempre, dentro e fuori dell’ANPI.

Riccardo INFANTINO

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Abbiamo ricevuto questa riflessione in riferimento a quanto riportato il 3 dicembre. Invitiamo tutti a leggere e continuare se ritenete aggiungere vostri pensieri.

Ormai lontani 70 anni dal processo alle SS su cui Hannah Arendt scrisse il suo famoso “La banalità del male”, ci tocca prendere atto che ormai siamo, in una situazione farsesca (ma che può sempre volgere in tragedia) per cui forse dovremmo invertire i termini e parlare del “male della banalità”: quando al centro della nostra (dis)attenzione non c’è più il Male (assoluto o relativo che fosse), ma appunto la Banalità, quella pervasiva e quotidiana, così quotidiana e così pervasiva, che per la maggioranza degli utenti (dell’infomazione-frullatore tv , di una chiacchiera invasiva che nega spazio a qualsiasi possibilità di silenzio e di distacco critico) sta diventando ‘nor/male’. E’ il mercato dell’Assuefazione, bellezza!, prodotto diretto dell’assuefazione al Mercato.

Come dice l’ineffabile Salvini: il fascismo non può tornare… E infatti è già tornato fra noi, dentro di noi, e in un certo senso è diventato ‘pluralista’, ché lo si può chiamare in tanti modi… Invece di razzismo, per esempio (“io non sono razzista, ma…”) si può dire xenofobia, e così siamo tutti più contenti… tanto il Greco chi lo sa !?

(pier’)

Domenica 3 dicembre 2017

La banalità del male a Como

Dei fatti di fine novembre avvenuti in quel di Como, l’irruzione di un gruppo di naziskin in una riunione di una associazione a supporto dei migranti, e la successiva lettura di un delirante proclama in sintonia con le tendenze nazifasciste di chi lo ha stilato e “presentato”, si sta parlando e straparlando ovunque.
Non mi interessa tornare in dettaglio sull’argomento, lascio ai più informati il farlo, quanto puntare l’attenzione su quanti hanno liquidato l’episodio – durato pochissimi minuti – come un atto di bullismo o una bravata magari un po’ eccessiva, ma senza conseguenze fisiche su chi l’ha subìta.
La gravità del gesto compiuto è in primo luogo nell’uso della prevaricazione contro persone impegnate in un consesso (piccolo, a dire il vero) a scopo umanitario, e la pubblicizzazione in Rete di un proclama che in un linguaggio stereotipato e degno del “migliore” dei regimi dittatoriali incita alla non accoglienza ed all’odio razziale, parlando di “non popoli” e di opera di distruzione della patria che l’immigrazione starebbe causando.
Da quanto ho letto i “galantuomini” protagonisti del raid (non trovo altro vocabolo per definirlo) saranno denunciati per violenza privata, ed il video da loro stessi pubblicizzato ne ha consentita una rapida identificazione.
Vorrei solo dire a quelli che lo hanno considerato un gesto da bulli limitato a quella specifica situazione che la prossima volta non si limiteranno alle parole, ma magari utilizzeranno nel contesto del discorso un manganello o un coltello, per rendere le parole più incisive.
La banalità del male è nel considerare fisiologici atti gravi come questo, cose che possono accadere, ma che restano episodi isolati, scollegati tra di loro; al contrario, sono la sempre più frequente manifestazione di una non cultura nazionalista (Giuseppe Prezzolini diceva che il nazionalismo è il patriottismo più qualche altra cosa) e razzista, di cui il neonazifascismo è solo l’ultimo degli esiti.
Come molti (e spero tutti) mi auguro una applicazione della legge che sia proporzionale alla gravità del reato commesso ed alle eventuali conseguenze che ha provocate, come vuole la nostra antifascista Costituzione.
Come possiamo opporci e porre rimedio a questo?
Con un antifascismo quotidiano e tenace, fatto di scelte e di esempio personale di rispetto per gli altri e le loro idee divergenti dalle nostre.

RICCARDO INFANTINO

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Domenica 26 novembre 2017

Non una di meno

Devo ammettere che mi sento non completamente adeguato nell’affrontare l’argomento della violenza maschile sulle donne, ma vorrei provarci come essere umano, come cittadino e, non da ultimo, come membro della grande famiglia dell’ANPI.

Andando alla ricerca di informazioni sul cammino che ha portato alla grande manifestazione di oggi (sto scrivendo questo articolo sabato 25 novembre), che si svolge in contemporanea in una pluralità di città sparse in tutto il mondo (quando si dice la rivoluzione globale…) ho letto con grande interesse il fascicolo fucsia Piano contro la violenza maschile e la violenza di genere, che raccoglie il lungo lavoro di migliaia di militanti (uso il termine generale perché credo che non siano solo donne, ma anche individui di tutti gli orientamenti sessuali) che hanno condotta una acuta e profonda analisi della radice della violenza di genere: “La violenza maschile è espressione diretta dell’oppressione che risponde al nome di patriarcato, sistema di potere maschile che a livello materiale e simbolico ha permeato la cultura, la politica, le relazioni pubbliche e private” (pagina 6 del documento), così come è chiarito nel preambolo della Convenzione di Istanbul: “Riconoscendo la natura strutturale della violenza contro le donne, in quanto basata sul genere, e riconoscendo altresì che la violenza contro le donne è uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini…” (pagina 3 del documento).

Occorre dunque una azione continua e generalizzata di scardinamento e ribaltamento di una struttura che opera a tutti i livelli: sociale, culturale, politico e linguistico; in altre parole una rivoluzione intesa nel suo significato più profondo di mutamento del modo di pensare e vedere il mondo (e nel centenario della rivoluzione russa non sarebbe una cattiva idea…).

Personalmente ho lavorato molto per arrivare a scavalcare la classificazione basata sull’orientamento sessuale, guardando la persona che è degna di rispetto in quanto tale e non come etero, gay, bisex, trans, queer e quant’altro; non è affatto facile, ma se si vuole davvero cambiare occorre partire anche da qui, dall’essere umano prima di ogni altra cosa.

La nostra presidente Carla Nespolo nel suo messaggio per la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, ricordando il ruolo fondamentale delle partigiane nella Resistenza e nella fondazione della repubblica figlia dell’antifascismo si rivolge anche a noi uomini: “E mi rivolgo agli uomini: siate protagonisti di questa battaglia contro la violenza, distinguetevi con azioni pubbliche e “contagiose” da chi ancora oggi nel 2017 tende all’uso della donna, al suo annullamento. Costruiamo tutti insieme una comunità di resistenti all’arretratezza culturale di parte di questo Paese. Abbiamo una valida risorsa di pensieri e azioni: i combattenti per la libertà.

Come cittadino e come membro dell’ANPI mi sento incoraggiato da tutto questo nel continuare ad operare non solo il 25 novembre o il 25 aprile, ma ogni giorno dell’anno…e voi?

Riccardo Infantino

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Riflessioni

Dunque io faccio supplenze come Collaboratore Scolastico, lavoro 36 ore a settimana un giorno parlando con una collega di 20 anni più grande di me “prossima alla pensione” mi disse: “dopo il lavoro devo guardare i nipoti. fare le faccende domestiche e altro perché il genero e mia figlia lavorano”.

Gli risposi: “Quando avevi i figli piccoli e lavoravi lontano dal tuo paese e lontano dal paese di tuo marito chi ti guardava i figli, faceva la spesa e le faccende domestiche?”

Lei rispose: “Nessuno lavoravamo entrambi e entrambi, io e mio marito, collaboravamo a fare la spesa, guardare i figli e fare le faccende domestiche”.

Al che io chiesi: “E la Domenica?”

Lei rispose: “Si andava al mare al cinema in montagna poi si andava in città al teatro a delle mostre a visitare luoghi di interesse artistico e culturale”.

Detto ciò o erano più organizzate le famiglie anni 70 e 80 o sono disorganizzate le famiglie attuali che non trovano il tempo di andare al Supermercato a fare la spesa durante la settimana e dire che anche negli anni 70 e 80 si lavorava eccome.

Marco Marcucci

Basta organizzarsi e godersi la vita. E non subire lo schifo consumistico di oggi. Proprio perché c’è poco tempo in tutto BISOGNA organizzarsi e farla quando serve invece di passare la domenica dentro i capannoni dove ti invogliano a spendere solo. La vita è bella e bello è viverla. Come disse il saggio ex presidente dell’Uruguay José Pepe Mujica :

” Veniamo alla luce per essere felici. Perché la vita è corta e se ne va via rapidamente. E nessun bene vale come la vita, questo è elementare. Ma se la vita mi scappa via, lavorando e lavorando per consumare un plus e la società di consumo è il motore, perché, in definitiva, se si paralizza il consumo, si ferma l’economia, e se si ferma l’economia, appare il fantasma del ristagno per ognuno di noi. Ma questo iper consumo è lo stesso che sta aggredendo il pianeta. I vecchi pensatori – Epicuro, Seneca o finanche gli Aymara – dicevano: povero non è colui che tiene poco, ma colui che necessita tanto e desidera ancora di più e più. Queste cose che dico sono molto elementari: lo sviluppo non può essere contrario alla felicità. Deve essere a favore della felicità umana; dell’amore sulla Terra, delle relazioni umane, dell’attenzione ai figli, dell’avere amici, dell’avere il giusto, l’elementare. Precisamente. Perché è questo il tesoro più importante che abbiamo: la felicità!”

Lanfranco Rosciolo

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DOMENICA 19 novembre 2017

Partigiane di ieri e di oggi…e di domani

  

Come tutti gli iscritti ed i simpatizzanti dell’ANPI sono stato davvero contento che il testimone della presidenza nazionale sia passato da Carlo Smuraglia – ora più che degno presidente emerito – a Carla (magari nel nome può esserci un bel segno di continuità…) Nespolo, neo eletta all’assemblea di Chianciano.

Leggendo il suo discorso di saluto sulla nostra rivista ho pensato alla storia femminile della Resistenza, che è ancora in buona parte da scrivere per quanto riguarda quella della nascita della repubblica, e da tenere ben presente nella lotta all’ISIS, condotta soprattutto dal movimento di resistenza delle partigiane curde.

La nostra presidente ha evidenziato come lei sia per la prima volta una donna e una non partigiana (figlia di partigiani, dunque di tempra resistente), chiamata a incitare noi iscritti – ma in generale tutti i cittadini che abbiano a cuore la democrazia – alla cura quotidiana dell’antifascismo, il valore dal quale trae origine la nostra Costituzione; come ben sappiamo il fascismo non è affatto morto, e si stanno anzi ricreando le condizioni che potrebbero portarlo di nuovo pericolosamente vicino ai meccanismi della democrazia e della convivenza civile: disaffezione al voto generata da una situazione di emergenza sociale ed economica sempre più pressante – nel municipio di Ostia solo il 44% degli aventi diritto ha esercitato il diritto di voto, e i risultati sono quelli che sappiamo -, individuazione di un nemico responsabile della congiuntura presente nello straniero – no allo ius soli si legge e si dice in troppi luoghi – e soprattutto, l’elemento più pericoloso, la catalizzazione della fiducia collettiva verso leader indiscussi che promettono di risanare il paese con il proprio operare carismatico e volto esclusivamente agli interessi del popolo…di nuovo un presidente operaio, l’uomo solo al comando necessario per il bene del paese?

Carla Nespolo invita tutti a non mollare e a continuare l’opera di resistenza quotidiana a livello pubblico e privato, trasportando i valori che abbiamo ereditati dai Padri Costituenti verso le nuove generazioni: la sovranità popolare, l’eguaglianza di tutti i cittadini e gli esseri umani, senza distinzione alcuna, e la prassi politica condotta attraverso il dialogo e magari anche il confronto duro e deciso, mai utilizzando la violenza.

Vedo le partigiane di domani nelle ragazze che ogni anno siedono davanti a me – anzi, intorno, dato che ogni volta che posso mi siedo in mezzo ai miei alunni, così capiscono meglio cosa voglia dire essere eguali – , quando mi chiedono se la guerra sia inevitabile, oppure perché la Storia sia stata sempre considerata come fatta dagli uomini…e ogni volta le invito a credere e a coltivare i valori della Costituzione, che è stata scritta al di là di ogni differenza, anche quella di genere.

Antifascist* ieri, oggi, sempre.

Riccardo Infantino

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DOMENICA 12 novembre 2017

Obiettivi della nostra Associazione

 

Con la elezione di Carla Nespolo a Presidente nazionale dell’Anpi si è portata a compimento una fase di passaggio  iniziata col congresso di Chianciano del 2006 allorché si decise di aprire l’associazione agli antifascisti non-partigiani.

E’ di tutta evidenza che il passaggio generazionale, con l’inevitabile assottigliarsi del numero di coloro che combatterono in prima persona nella Resistenza, ci interroga sulla ragion d’essere e sugli obiettivi della nostra Associazione.

Fondamentale resta il nostro ruolo di scavo, di ricerca, di cultura della memoria su  ciò che è stato il fascismo, su ciò che è stata la Resistenza e sul ruolo fondante che la stessa ha avuto nella costruzione della Nuova Italia.

Ma questa funzione,  centrale nella nostra storia e nella declinazione della nostra identità, deve ormai essere sempre più accompagnata da un impegno continuo sulla studio, la conoscenza, la difesa di quello che è stato il frutto di quelle lotte e cioè della nostra Carta Costituzionale e dei suoi valori. Impegno che, del resto,  l’Anpi ha svolto con grande energia  ed autorevolezza nella recente campagna referendaria..

Sempre più, ritengo, il nostro ruolo dovrà focalizzarsi sulla conoscenza, difesa, diffusione dei valori della nostra Carta Costituzionale e sull’impegno a che i suoi dettati programmatici siano tradotti in realtà vivente.

Se questa è, come io credo, una delle ragioni fondanti della “nuova” Anpi, allora dobbiamo essere consapevoli della “strada stretta” che ci si prospetta davantI, delimitata ( a mio avviso) da due “paletti” che dovremo assolutamente evitare di sorpassare.

Da una parte dovremo evitare di apparire come i “custodi di una reliquia”, e cioè come i declamatori di valori enunciati sulla carta ma in stridente contrasto con la realtà che si vive ogni giorno: in un’epoca in cui le disuguaglianze sociali, nel pianeta ma anche nella nostra Italia, si allargano  sempre più scandalosamente. In un’epoca in cui pochi miliardari possiedono beni quanto la metà degli abitanti del globo, in cui  (solo nel nostro Paese, come ci narrano le statistiche)  4.500.000 persone  conoscono la fame e almeno 50.000 vivono in strada, c’è da interrogarsi sul significato del “declamare” l’articolo 3 della Costituzione e quindi il principio di uguaglianza “formale e sostanziale”!

A fronte di belle parole fatte di buone intenzioni ,  una scandalosa ed irridente realtà che le smentisce e ne denuncia l’inefficacia!

Dobbiamo quindi evitare il rischio di apparire semplici sognatori: noi abbiamo l’ambizione (si. un po’ utopica) di incidere sulla realtà  , con la mobilitazione delle coscienze,  con proposte concrete, con dibattiti in tutte le sedi, comprese le scuole.

Ecco però che su questo versante del fare, dell’operare, ci si prospetta un’ altra insidia non meno pericolosa di quella opposta: dobbiamo assolutamente evitare di introdurre le tossine della sinistra dentro l’ANPI!

In un’epoca in cui le varie e variegate sinistre italiane ed europee sono in evidente crisi di identità e di progetto, può accadere ad alcuni di rispondere alle proprie comprensibili delusioni caricando  abusivamente la nostra Associazione di un ruolo sostitutivo!  Deve essere chiaro a tutti che noi non siamo, non possiamo e soprattutto non vogliamo diventare un partito; non possiamo e soprattutto non vogliamo svolgere un ruolo di supplenza rispetto a partiti  in crisi di identità. Tanto meno possiamo e vogliamo svolgere un ruolo collaterale rispetto a qualsiasi altra organizzazione politica. L’autonomia è un nostro valore fondante.

Ripetiamolo la nostra è una Associazione di partigiani e di non partigiani-antifascisti., orgogliosa della propria Autonomia.Chiunque si riconosce nei valori della Resistenza, dell’Antifascismo, della Costituzione è benvenuto nella nostra organizzazione.I Nel contempo, in piena autonomia, siamo aperti alla collaborazione con  chiunque e con qualunque forza a quei valori si ispiri.

Non siamo e non vogliamo essere un partito.

La memoria, la Costituzione e la sua applicazione sono la nostra bussola.

Dobbiamo essere consapevoli del fatto che la strada è stretta e presenta delle insidie; ma se saremo capaci di percorrerla senza sbandamenti, ci potrà portare lontano. L’Anpi del futuro ha l’ambizione di essere degna del proprio passato, della propria eredità storica e di continuare a svolgere, in questa nuova fase, un ruolo importante nella realtà sociale e culturale del nostro Paese con l’autorevolezza che ci deriva dalla nostra tradizione  e dall’impegno per la difesa e l’attuazione dei valori costituzionali, impegno che ci ha visti in prima fila nella campagna referendaria del 2016.

Enrico Mezzetti

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All’armi…no, al business siam fascisti!

Andando alla ricerca di un argomento interessante per la pagina Didomenica ho trovata questa documentata inchiesta sui canali di finanziamento di Forza Nuova e Casapound (che se ricordo bene era stata “trascritta” come Ca$apound…), un lavoro lungo ed esaustivo (vale la pena di leggerlo per intero con attenzione, credetemi), che evidenzia la ramificazione europea (e non solo) che questi canali di non di rado ingenti finanziamenti hanno.

Inghilterra, Francia, Cipro, Russia e ovviamente Italia sono i confini geografici delle attività che sostentano i due maggiori gruppi di ispirazione neofascista italiani; particolare interessante: i due schieramenti che traggono origine dalla matrice comune di Terza Posizione (il nome dirà molto riguardo ad azioni di pestaggio uno – a – molti a quelli della mia generazione, quella che ha vissuto nell’adolescenza gli anni di piombo), fondata da Roberto Fiore e Gabriele Adinolfi, entrambi coinvolti nelle indagini sulla strage di Bologna.

Torniamo alle attività economiche ed alla loro localizzazione:

– in Gran Bretagna agenzie di viaggi studio ed un giro cospicuo (siamo nell’ordine delle centinaia di migliaia di euro) di donazioni anonime ad aziende di proprietà della famiglia Fiore, accanto ad una società di consulenze denominata Gladio Consulting…

-in Russia un gruppo di imprenditori italiani ha delocalizzato in Crimea (ma non dovevano privilegiare i nostri connazionali rispetto agli stranieri?) le proprie attività, con la consulenza e l’aiuto di Roberto Fiore

– a Cipro è stata aperta una società di riciclo materiali, che però non ha alcun dipendente né sito internet, non ha mai presentato un bilancio ed è registrata presso uno studio di commercialisti

– in Francia forti legami con il Front National, con gli investitori in Italia legati ai seguaci di Marine Le Pen e con attività di ristorazione ben ramificate che fanno capo ad esponenti nazionali di Casapound e loro familiari.

Nel caso specifico di Casapound è doveroso citare la catena di abbigliamento Pivert e la casa editrice Il Primato Nazionale (titolo che non lascia spazio a dubbi), ulteriore fonte di finanziamenti in Italia.

Vorrei concludere questo mio sunto con una osservazione: nella foto che precede l’articolo (richiamo alla pagina dell’Espresso) si vedono i manifestanti di Casapound in primo piano, in particolare una donna che impugna la bandiera del gruppo …ma se Mussolini definiva le donne immature politicamente come fa una gentile signora ad essere neofascista?

Riccardo Infantino

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DOMENICA 5 novembre 2017

I sardi compresero e comprendono il fascismo meglio degli altri

  

Dopo aver stemperata la mia ignoranza con le riflessioni della scrittrice sarda Michela Murgia sul fascismo come opposto non del comunismo, ma della democrazia, mi sono imbattuto nelle parole del grandissimo Antonio Gramsci sul come il fascismo stesso si presentò prima della marcia su Roma (che per fortuna le nostre istituzioni hanno avuto il buon senso di vietare, dato che ne era prevista una “rievocazione” per il 28 ottobre scorso):
“Il fascismo si è presentato come l’anti-partito, ha aperto le porte a tutti i candidati, ha dato modo a una moltitudine incomposta di coprire con una vernice di idealità politiche vaghe e nebulose lo straripare selvaggio delle passioni, degli odi, dei desideri. Il fascismo è divenuto così un fatto di costume, si è identificato con la psicologia antisociale di alcuni strati del popolo italiano.
(Antonio Gramsci, L’Ordine Nuovo, 26 aprile 1921)
Non sono riuscito a trovare la copia digitalizzata del numero della rivista che contiene questa celebre definizione gramsciana, mi sono limitato a prenderlo da questa pagina in Rete (ma moltissime altre riportano le parole del grande uomo politico).
Con il dono della completezza nella sintesi che lo contraddistinse da sempre descrisse le caratteristiche di quell’atteggiamento politico e pragmatico (intendo dire il modo di fare basato sulla violenza verbale e fisica) che della mentalità fascista, prima ancora che della ideologia in senso stretto, è alla base: volersi porre al di là dei partiti (essi stessi espressione, come ci ricorda la Costituzione, della volontà popolare organizzata e rappresentata da chi il popolo ha eletto), costituire un contenitore indistinto per tutti i (motivati) malumori del cittadino italiano medio, che li esprime in forma emotiva ed istintiva invece che ragionata e circostanziata.
Divenire un fatto di costume: essere, prima ancora che una posizione politica, un modo di esistere e di relazionarsi con il mondo esterno.
Ho avuta molta, ma molta paura del consenso che hanno avuto frasi del tipo “non sono né di destra né di sinistra” (di mussoliniana memoria), “la Costituzione la cambia chi ha i numeri per farlo”, “i partiti sono morti”, “è il popolo che decide direttamente senza intermediari” (e allora i corpi intermedi dello Stato, Parlamento prima di tutti, che esistono a fare?)…temo fortemente che questa pratica insistente della democrazia plebiscitaria fondata sulla emotività della folla porti in un tempo ragionevolmente breve alla dimenticanza della sovranità popolare (i politici sono nostri dipendenti, disse Calamandrei, non altri…) e al prevalere (di nuovo) della logica dell’uomo solo al comando.
Mi sa tanto che il vento dovrebbe fischiare di nuovo…magari potremmo parlarne con la nostra presidente Carla Nespolo, ed ispirarci per sapere qualcosa in più sulla storia femminile della Resistenza, capitolo in gran parte da scrivere

 Riccardo Infantino

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LA BATTAGLIA DI CABLE STREET 

La disfatta delle camicie nere inglesi e la nascita dell’antifascismo militante europeo

«Non potrò mai dimenticare, per il resto della mia vita, come il gruppo degli appartenenti alla classe dei lavoratori si oppose alla malvagità dei razzisti» – William J. Fishman, testimone oculare dei fatti di Cable Street.

Subito dopo la fine del secondo conflitto mondiale, insieme alla pacificazione imposta dall’ordine capitalista e alle mancate epurazioni di fascisti e nazisti dai ruoli-chiave che occupavano prima della guerra (e che continuarono a occupare dopo), iniziò a farsi strada una comoda interpretazione revisionista della storia contemporanea. Secondo questa vulgata l’età dei fascismi poteva essere archiviata come se si stesse parlando di una malattia, un virus che, per ragioni oscure, aveva colpito nazioni come l’Italia e la Germania, a causa di una presunta assenza di anticorpi democratici in simili paesi. Le cose, in realtà, andarono in maniera diversa. E che il fascismo non fu – e non è – altro che una risposta con la quale il capitalismo affronta le ristrutturazioni imposte dalle crisi a cui è periodicamente soggetto, è dimostrato da un contesto come quello britannico e dalla spettacolare affermazione che, anche in terra d’Albione, ebbe una formazione come la British Union of Fascists di sir Oswald Mosley, seriamente intenzionata a imporre a Londra lo stesso regime razzista, totalitario e corporativo già in vigore a Roma e a Berlino. Sostenute da importanti organi di informazione, coperte dall’ambiente conservatore e finanziate da ricchi industriali oltre che dallo stesso partito di Mussolini, le camice nere di Mosley imperversarono nell’Inghilterra degli anni Trenta senza trovare in alcun ambito istituzionale o legale un vero argine contro le loro azioni. La sorte dei fascisti britannici, al contrario, venne sconvolta dal basso e, in modo particolare, grazie a una decisiva azione di piazza. Correva il 4 ottobre del 1936, infatti, quando una corale azione di popolo attaccò le camice nere di Mosley nel corso di una manifestazione organizzata a Cable Street, sbaragliando i fascisti insieme alle forze dell’ordine accorse in loro difesa. Quella giornata, le cui vicende sono ricostruite per la prima volta in italiano, fu determinante perché, dimostrando come soltanto fuori dalle istituzioni è possibile combattere e vincere i movimenti di estrema destra, segna idealmente la nascita dell’antifascismo militante europeo.

Vai alla scheda

Silvio Antonini

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Manifestazione antifascista 28 ottobre

Sabato 28 ottobre sono stato a Piazza Santa Maria Liberatrice a Roma alla Manifestazione Antifascista organizzata da ANPI e altri Partiti Politici tra cui il PCI io ero alla Manifestazione Antifascista rappresentando il PCI e ANPI. La Manifestazione é stata molto tranquilla ci sono stati i Canti della Resistenza e gli interventi e racconti di chi ha subito il Fascismo. A Viterbo tempo fa dei Fascisti hanno scritto “Viterbo é Fascista” bisognava scrivere sotto “Si vedono i Risultati” anziché cancellare la scritta.

Marco Marcucci

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DOMENICA 29 ottobre 2017

Democrazia supermarket

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Il 24 ottobre si sono svolte nella mia scuola le elezioni di istituto per i rappresentanti di studenti e genitori.

Proprio su questi ultimi vorrei soffermarmi, forte anche dei quindici anni di presidenza di commissione elettorale scolastica.

Soprattutto in questi ultimi tre anni ho notato una sempre più marcata insofferenza, direi quasi fastidio, verso la fondamentale pratica del voto attraverso il quale si eleggono i propri rappresentanti, come se fosse ritenuta una non derogabile inutilità della quale liberarsi al più presto.

Davanti al seggio erano diverse decine di persone (in termini statistici nemmeno il 5 per cento del totale dei genitori) che pretendevano di votare tutti insieme (!…) perché avevano cose ben più importanti da fare…

Nel famoso discorso agli studenti della Statale di Milano Piero Calamandrei diceva che il pericolo maggiore per la democrazia è la disaffezione alla politica quando viene considerata inutile, perché tanto andare a votare non cambia nulla; l’Italia era uscita da non molto tempo dal ventennio fascista, iniziato in un periodo in cui l’astensionismo elettorale era particolarmente diffuso, così come la disoccupazione e la scarsa sicurezza sociale (ricorda qualcosa, vero?…).

Sarà che, parafrasando Fenoglio, una volta che sei prof lo sei per sempre, non ho potuto fare a meno di pensare che si diventa cittadini partendo dalla pratica di responsabilità e di rispetto reciproco che si dovrebbe sperimentare a scuola, lì si decide se un paese avrà un futuro democratico o autoritario fascista.

Il caso ha voluto che pochi giorni prima mi sia capitato davanti agli occhi un post Facebook di Michela Murgia, che senza mezzi termini (almeno qualcuno chiama le cose con il loro nome) spiega ad un ipotetico ragazzo ventenne che il fascismo non è il contrario del comunismo, ma della democrazia, dato che non tiene alcun conto della strada imboccata per arrivare al risultato: tutto è lecito per giungere allo scopo, anche l’eliminazione fisica di ostacoli (anche umani…) o la sopraffazione degli avversari.

La democrazia supermarket si basa sullo stesso principio utilitaristico e, mi si passi il termine, a-morale (nel senso di privo di morale, non contrario o favorevole alla morale stessa): non conta l’esercizio (non di rado faticoso) della sovranità popolare, ma ciò che puoi ottenere dando il voto a qualcuno, e alla svelta, così non perdi tempo in lungaggini tipo il confronto delle opinioni.

Il passo successivo (e mi pare che siamo a buon punto su questa strada) è la democrazia plebiscitaria, l’urlo di approvazione della folla al “grande” uomo…Mussolini era plebiscitario nei suoi discorsi dal balcone di Piazza Venezia, sbaglio?

Vorrei terminare la mia riflessione con una illuminante frase che ho ascoltata da Gaetano Azzariti al seminario dell’ANPI di Roma sulla galassia nera in Facebook, qualche settimana fa: la nostra Costituzione è antifascista non solo perché contiene la Disposizione transitoria XII, che vieta la ricostituzione, sotto ogni forma, del disciolto partito fascista, ma soprattutto perché nella sua essenza si basa sulla sovranità popolare (il potere è di tutti i cittadini come singoli e come insieme), l’esatto opposto della logica dell’uomo solo al comando.

Riccardo Infantino

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I fatti relativi a questi giorni circa l’uso dell’immagine di ANNA FRANK da parte di alcuni tifosi laziali (senza generalizzare e pensando, soprattutto, a quelle realtà del tifo biancoceleste che si stanno battendo contro razzismo e nazifascismo) come sfottò contro la parte calcisticamente avversa, aldilà di ogni considerazione morale, ci suggeriscono un elemento di riflessione. Perchè Anna Frank? Semplice: agli autori della parodia, a scuola ne è stato fatto studiare il diario, la cui autrice, certo non a torto, rappresenta l’emblema della vittima ragazzina, coetanea degli studenti, della barbarie nazi. Da qui la “risposta”. Sono dell’idea che per combattere i rigurgiti nazifascisti la mera riproposizione pietistica e moralistica della Shoa e delle sue vittime sia ormai del tutto inefficace: la società ha metabolizzato quegli aspetti. Meglio riproporre la storia dell’Antifascismo organizzato, di quelle realtà che hanno combattuto, nella Resistenza e prima, contro le avanzate del fascismo, stoppandolo o, comunque, dandogli sonore lezioni . Gli esempi sarebbero, tra l’altro, molteplici. Combattere l’Araba Fenice, ad ogni suo risorgere e nelle sue diverse sembianze, valorizzando chi nel corso dei decenni le si è opposto con tenacia. Solo ciò può fornirci delle, edificanti, indicazioni in grado di colloquiare col presente.

Silvio Antonini

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DOMENICA 8 ottobre 2017

Diritto all’informazione ed alla libera espressione?

Inizio questo mio spero non troppo noioso pezzo con una domanda che frulla in testa non solo a me, ma anche a parecchi dal tempo della proposta di legge cosiddetta “ammazza blog”, che intendeva equiparare ogni blog o sito, pubblico o privato che fosse, ad una testata giornalistica (con gli oneri conseguenti), e a ritenere responsabili i gestori di queste realtà digitali quasi sempre minime, di dimensioni personali, responsabili di ogni atto illecito commesso tramite le notizie o i link che fossero postati.
Eravamo nel 2013, ma la Rete (la cui essenza costitutiva è – ce lo ricordava il buon Rodotà – la libera circolazione dei bit) non ha mai cessato di essere bersaglio di tentativi di censura e soffocamento, travestiti da adeguamento alle norme europee a tutela della proprietà intellettuale e, da ultimo, a misure di contrasto contro le attività terroristiche.
Alle Camere è passata in parte (ovviamente come decretazione del Governo, saltando dunque la necessaria discussione parlamentare), la legge recante le Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2017 .
In un esauriente quanto chiaro articolo sul Fatto quotidiano Fulvio Sarzana, avvocato esperto di Diritto del Web,   ci spiega come le due conseguenze più devastanti che porta questa legge saranno l’obbligo, per tutti i provider,  del mantenimento di tutti i dati delle comunicazioni – telefoniche, via Internet (dunque anche Skype e Whatsapp ad esempio) per sei anni, così da consentirne la pronta reperibilità in caso di bisogno, ad esempio ai fini di una indagine giudiziaria.
Grande opportunità per gli hacker di avere accesso alla vita digitale di tutti gli italiani, vista la ben nota permeabilità dei sistemi di protezione dei dati (Anonymous insegna…).
Lo scopo di questa catalogazione di massa sterminata è il monitorare incessantemente tutto il traffico in Internet e telefonico per identificare chi diffondesse od andasse ad usufruire di risorse considerate illegali… illegali in base a cosa? Copyright, istigazione al reato, oppure dissenso espresso magari in forma onesta e documentata, ma incisiva e provocatoria?
L’altro risvolto molto pericoloso è l’obbligo per i provider – in via cautelare, recita il testo della legge… – di oscurare i siti “colpevoli” e rimuovere i contenuti ritenuti illegittimi dietro una semplice segnalazione di chiunque all’AGCOM, non passando attraverso una ordinaria procedura gestita dalla Magistratura, come vuole uno stato di diritto: su ordine della stessa AGCOM, e non dunque a séguito di una sentenza giuridica, i provider avranno l’obbligo di eliminare i contenuti dichiarati illegittimi e di verificare che non ci siano più tentativi di diffusione (solo con la sorveglianza di massa di cui sopra potrebbe essere possibile).
Nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani si esplicita, all’articolo 19, che “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione; questo diritto include la libertà di sostenere opinioni senza condizionamenti e di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo ai confini.”.  
Ancora prima la nostra Costituzione dichiarava, all’articolo 21, “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria [cfr. art.111 c.1] nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.”.
Libertà di espressione e di circolazione dei contenuti nel rispetto degli altri dunque, è facoltà di oscuramento solo dietro un atto motivato della Magistratura.
Paolo Gentiloni, attuale Presidente del Consiglio, e Davide Baruffi, deputato del PD, sono i primi due firmatari del progetto di legge ormai in buona parte approvato.
Lascio a voi tutte le conclusioni del caso.

Riccardo Infantino

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DOMENICA 1 ottobre 2017

La galassia nera su Facebook

Giovedì 26 settembre ho avuta la fortuna di partecipare al seminario organizzato dall’ANPI Nazionale di Roma sulla galassia nera in Facebook,

Si è trattato di una iniziativa riservata agli iscritti, ma alla fine dell’incontro avevo la ferma convinzione che gli argomenti affrontati dai relatori e le domande sollevate dal pubblico presente dovessero uscire al più presto dalla Casa della Storia e dalla Memoria, che l’ha ospitata.

Il primo intervento è stato tenuto da Giovanni Baldini, dell’ANPI Nazionale, che attraverso un software di analisi sociale (in pratica un programma che misura le relazioni e le attività delle persone che fanno parte di un gruppo e lo traduce in un grafico a punti) ha presentato il risultato di una ricerca di livello scientifico avanzato, condotta su oltre cinquantamila (!) pagine Facebook, facenti capo ai due poli di Casapound e Forza Nuova: attraverso i like che vengono messi sulle due pagine principali e su quelle che da esse dipendono si arriva al numero rilevante di cui sopra.

È una realtà pervasiva che copre praticamente ogni aspetto della vita dei giovani, il principale target su cui fanno presa le due organizzazioni principali: azione politica, ecologia, impegno sociale, attività sportiva, in maniera analoga a come, durante il ventennio, il regime fascista provvedeva ad organizzare tutte le attività della gioventù…

La cosa più interessante è l’apparente non collegamento di una cospicua parte delle pagine censìte: dietro una marca di abbigliamento, una associazione ecologista o magari un club di attività alpinistiche c’è l’amministratore che è iscritto a Casapound o a Forza nuova, ma non compare mai ufficialmente…una sorta di cavallo di Troia, insomma.

In questa galassia nera merita una menzione a parte la pagina di Idea Sociale, che si è specializzata nella capillare diffusione, a lento rilascio – per non dare troppo nell’occhio – di fake news e di falsificazioni di episodi “minori” della storia partigiana, uno per tutti quello di Giuseppina Ghersi.

Proprio da questo ha tratte le mosse Stefano Lamorgese, giornalista di RAI Tre, che si è occupato del tipo di linguaggio che viene utilizzato nei commenti ai post o ai video di ispirazione fascista, come nel caso eclatante di quello di Storace che, irridendo la legge Fiano in discussione, si riprende mentre tira fuori da una scatola una testa di Mussolini e la rimette dentro.

Tutte le frasi a commento del video rimandano al tipico linguaggio del ventennio ed ancora di più a quello povero e “sloganizzato” dei nuovi fascismi: gli autori dei post e dei relativi commenti cercano nella Rete in luogo di conforto delle proprie posizioni, non di confronto di idee.

Lamorgese ha inoltre citato lo sconcertante risultato di un monitoraggio commissionato dalla Oxford University Press sul rapporto tra disponibilità della banda larga e partecipazione politica effettiva: mano a mano che sale la disponibilità di buona connessione Internet diminuisce la partecipazione fisica alla politica, in primo luogo al voto: si tende a chiudersi in una piazza virtuale, lasciando l’azione pratica a pochissimi individui che in tal modo guidano tutto il gioco.

Venendo poi alla galassia delle fake – e qui il relatore ha citati i lavori dei Wuming e del Coordinamento Collettivo di Nicoletta Bourbaki – si è mostrata di nuovo la capillarità e la pervasività del riscrivere e falsare gli episodi meno noti della Resistenza attraverso il mutare poco alla volta singoli vocaboli o parti di frasi, in un processo continuo che finisce per minare i fondamenti stessi della Costituzione, che della lotta partigiana è figlia.

Se trent’anni fa non era necessario motivare l’antifascismo ora lo è, in conseguenza di questo incessante e sordido lavorìo di falsificazione.

Il costituzionalista Gaetano Azzariti ha conclusi gli interventi parlando, nel contesto più generale dell’antifascismo e della Costituzione, del disegno di legge Fiano, che mira a colpire la propaganda e l’apologia del fascismo attuate utilizzando la Rete.

Sarebbe contrario alla Costituzione limitare la circolazione di notizie ed idee sul web, anche diametralmente opposte alle nostre; ai contenuti di stampo non solo fascista ma anche razzista ed offensivo della dignità umana si deve opporre una iniziativa politica: tra le possibili soluzioni di inasprimento dei divieti vigenti, l’utilizzo delle norme attuali e l’educazione alla Costituzione la terza strada resta quella di gran lunga preferibile.

Nella proposta di legge Fiano continua Azzariti, non è presupposto il danno conseguente l’idea espressa, ed allora una sua applicazione estensiva potrebbe portare ad azioni molto vicine a quelle del reato di opinione, che è proprio uno dei nemici della carta costituzionale.

Dunque siamo indifesi? No, come dimostra il caso dello stabilimento balneare di Punta Canna e il non assenso alla richiesta avanzata da Forza Nuova di una marcia su Roma il 28 ottobre prossimo, solo applicando le norme già presenti, la legge Scelba per l’apologia del fascismo e la legge Mannino per il reato di istigazione all’odio razziale.

Per evitare che l’enunciazione di una idea passi alla sua deleteria attuazione pratica la strada migliore è quella di una corretta e capillare controinformazione basata sul profondo senso antifascista del dettato costituzionale, che è tale non solo per la Disposizione Transitoria XII, ma perché basata sul principio di sovranità popolare,l’esatto opposto della logica fascista dell’uomo solo al comando.

 

Le domande ai relatori e le loro risposte – che per brevità sono costretto a sintetizzare all’estremo – pongono un grosso problema: di fronte al collegamento totale delle singole entità nella galassia nera su Facebook e su altri social network come Instagram, e della identità ben definita che Casapound e Forza Nuova danno di se stesse è indispensabile che l’ANPI riconnetta tutte le sue componenti e si dia una nuova ed incisiva identità che entri nel sociale in modo pervasivo accanto a tutte le forze democratiche antifasciste per una capillare e significativa azione di contrasto.

Vorrei concludere questo lungo (ma spero poco noioso) articolo con la frase finale dell’intervento di Gaetano Azzariti: il vero problema è l’uscita dal sonno della società civile.

Qui il preziosissimo lavoro di Baldini su Patria Indipendente.

Riccardo Infantino

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DOMENICA 24 settembre 2017

L’Atlante della Memoria

Oggi, sempre su sollecitazione del buon Piero Belli, proporrò i link all’Atlante delle stragi nazifasciste in Italia: grazie al lavoro di ricerca dell’ANPI e dell’INSMLI (Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia è disponibile in rete, dal 7 luglio 2016, un atlante interattivo, corredato da un efficace motore di ricerca, degli episodi di violenza su soggetti inermi (la definizione comprende non solo civili, ma anche militari disarmati o minoranze religiose, ad esempio).

Come si può ben comprendere è un work in progress, dato che solo dal 1994 sono stati di nuovo resi disponibili i fascicoli della procura militare tenuti fino a quel momento occulti, quasi in una sorta di rimozione.

A tutt’oggi si contano 5500 episodi dal 1943 al 1945 ( i venti mesi della lotta di Resistenza), che sono costati la vita ad oltre 23.000 persone.

Quale può essere il senso di una ricerca e di un lavoro di inchiesta che ha portato a dibattimenti processuali e conseguenti udienze in aula, che hanno visti coinvolti personaggi anche ultranovantenni, come nel caso di Erick Priebke?

Fare i conti con il passato e con una memoria dolorosa che non è stata affatto superata, come un trauma collettivo che resta non curato e che produce a tutt’oggi i suoi nefasti effetti che si chiamano “fascisti del terzo millennio” e suggestioni neonaziste; occorre rivivere questo trauma fino in fondo e metabolizzarlo, solo allora sarà possibile eradicare la visione del mondo nazifascista che puntualmente rispunta fuori in momenti di difficoltà sociale ed economica (stavo per dire anche morale…), e che risulta essere attraente per gli ormai troppo numerosi cittadini che non vanno più a votare sfiduciati dalla politica e dal sistema dei partiti.

Qui il link all’Atlante ed alla sua pagina Facebook

Qui l’articolo dell’ANPI sull’Atlante, corredato da una bibliografia

Riccardo Infantino

Marco dopo aver letto questa riflessione di Riccardo  ci ha voluto ricordare una delle più vili e disumane  la stragi nazifasciste.

Parliamo di Stragi Nazifasciste una delle più famose e tragiche fu quella di Sant’Anna di Stazzema in Versilia una ridente località trasformata in un Inferno dai Nazifascisti dove i Fascisti tradirono i propri concittadini per farli giustiziare dai Nazisti. In questo luogo furono raccolte moltissime persone di questa località furono fucilate donne vecchi e bambini quindi accatastati davanti al prato della chiesa insieme agli arredi sacri e dati alle fiamme in questo prato non crebbe più l’erba per moltissimi anni io ci sono stato nel 1980, 36 anni dopo, e non c’era l’erba. Circa 600 persone fucilate e date alle fiamme. Anni dopo un orribile personaggio di nome Spike Lee fece un film revisionista per gettare fango sui Partigiani e raccontare falsità sulla vicenda storica in chiave antipartigiana e filostatunitense.

Marco Marcucci

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DOMENICA 17 settembre 2017

Tre riflessioni questa settimana due di Riccardo ed una di Silvio, cosa significa essere italiano e la propaganda ingigantita della destra razzista e fascista dilagante sui social. Due dei tanti post ci possono aiutare a riflettere, i giovani sono attratti da un impeto di ordine sociale e da un superamento degli ideali delle masse, quale società ci aspetta?

  1. La cosiddetta ”legge Fiano”,elaborata per combattere il fantomatico ”pericolo fascista”,è la cosa più ipocrita e liberticida che io abbia mai visto.

Chi fa il saluto romano rischia fino a due anni di carcere.
E chi alza il pugno chiuso invece?

Chi divulga immagini del partito fascista finisce al fresco.
E chi propaganda immagini comuniste invece?

Chi vende articoli con la faccia di Mussolini va a finire a Rebibbia.
E chi fa la stessa cosa con Stalin,Mao,Che Guevara,Fidel Castro e Pol Pot invece?

Sono due facce della stessa medaglia ma vengono adottate due misure diverse.

I veri nostalgici sono loro.

       2. “Oggi la Apple presenta l’iPhone8 noi in parlamento siamo costretti dal PD a discutere di fascismo vs comunismo …fatevoi “ ??????

Chi vuole commentare e far comprendere meglio questo stato di cose può mandare una mail a viterbo.provinciale@anpi.it con il permesso alla sua diffusione su questo sito.

 

Essere cittadini italiani

Italiano vuol dire…essere italiano cosa significa?

Mi frulla ormai da parecchio in testa la domanda di cui sopra, diciamo da molto prima che si scatenasse la bagarre sullo ius soli – che detto per inciso ha rivelato il fondo opportunista di chi cavalca l’onda del si e del no al solo scopo di accaparrarsi consensi e dunque anche voti -.

Da almeno cinque anni ho alunni figli di genitori non italiani – albanesi, ucraini, romeni e cingalesi in particolare – nati in Italia, istruiti nel nostro sistema scolastico fin dalla materna, ragazzi che hanno imparato praticamente prima i dialetti delle zone di residenza, poi l’italiano (si vede dal loro linguaggio…) e la lingua dei genitori.

Per la legge non sono italiani fino ai 18 anni, malgrado si siano formati alla nostra cultura e si dimostrino perfettamente integrati con i coetanei “nativi”…più di uno di loro mi aveva espresso il desiderio di frequentare uno dei licei militari che poi conducono in Accademia, ma ho dovuto con molta amarezza rispondere che non potevano perché l’accesso alle prove selettive è riservato ai cittadini italiani.

Ultimamente sto molto attento ai discorsi delle persone che incontro per strada (il miglior termometro della situazione, data la quasi assoluta spontaneità delle loro affermazioni): mi colpisce il sentimento del “noi” e “loro”: troppi stranieri, molti non sono affatto profughi, portano le malattie, abbassano le tariffe sindacali, possono diventare pericolosi…tralascio la ormai banale sequela di frasi che riprendono fedelmente quello che ci sentimmo dire noi quando emigrammo fuori dall’Italia, e mi preoccupo nel constatare che il sentimento di avversione verso chi non ha antenati italiani almeno fino alla quinta generazione sta prendendo piede soprattutto “grazie” a quella destra fascista e razzista che si concretizza nella Lega, Casapond e Forza Nuova, tanto per non fare nomi.

Ormai non si tratta più di pochi estremismi isolati, è una opinione largamente diffusa, difficile da sradicare, che ha già portato a manifestazioni di violenza prima impensabili (la ragazza di colore incinta presa a calci, ed è solo un esempio tra tanti).

Anche la polemica sullo ius soli è indicativa della paura utilizzata come arma di propaganda elettorale e di governo: il nemico è nel nostro paese, è pericoloso e dunque si rende necessario bloccare l’immigrazione (e infatti con gli ultimi accordi con la Libia ci stiamo rendendo complici di un massacro dei migranti fermati perché rinchiusi in carceri lager, come denunciato da Medici senza Frontiere), e magari espellere chi non ha il pedigree italico puro al 100%.

Essere italiano vuol dire vivere in questo paese e contribuire a farlo funzionare con il proprio lavoro, magari dopo essersi formati come cittadini attraverso un corso di studi che ha attraversato tutta l’infanzia e l’adolescenza nella scuola del nostro paese.

Nell’articolo 2 della nostra Costituzione si parla di eguaglianza e di pari diritti – doveri di tutti gli esseri umani, non si fa riferimento al “noi” e “loro”; proprio ieri, parlando ai ragazzi della nascita di Roma, ho fatto osservare come la città abbia subito praticata una politica di accoglienza per chi veniva da fuori: uno dei modi per acquisire la cittadinanza romana era, ad esempio, porre la propria residenza a Roma, oppure arruolarsi come legionario.

Devo pensare che siamo più arretrati dei nostri lontani progenitori?

Riccardo Infantino

 

CONTRO LO STUPRO DELLE MASSE!

134 anni fa, 13 settembre 1883, nasceva a Costantinopoli il biologo, sociologo e agitatore politico russo-tedesco SERGEI TSCHACHOTIN. Assistente di Pavlov, ne assunse le teorie per l’analisi delle reazioni psichiche e fisiche collettive dinanzi alla propaganda, soprattutto politica nel ’900, espressa in slogan, simboli e immagini di sintesi. Ne sortirà il saggio Lo Stupro delle masse.

Di simpatie mensceviche, aderiva quindi alla Socialdemocrazia tedesca (Spd), spronandola a cercare un armamentario capace di fronteggiare, teoricamente e praticamente, l’offensiva nazionalsocialista. A tal proposito elaborava un simbolo: le TRE FRECCE, di norma tracciate parallelamente da destra con inclinazione delle punte a sinistra. Un simbolo che trasmette movimento e dinamismo, di facile fattura a mano ed efficace per cancellarvi la svastica: una volta tracciate sopra le tre frecce, il segno ricoperto non è più in risalto, anche con il ricalco del medesimo. L’espediente grafico trovava immediato successo e veniva assunto, nel 1931, dall’Eiserne front, Fronte d’acciaio, l’organizzazione paramilitare socialdemocratica a difesa della Repubblica di Weimar, diffondendosi anche nelle mobilitazioni antinaziste in generale. L’Spd si limitò ad usare le tre frecce nei manifesti elettorali (tra l’altro anche in funzione anticomunista, con le frecce che colpiscono, rispettivamente, corona, svastica e falce e martello), senza voler assumere appieno il dettato di Tschachotin che si trasferiva in Francia e trovava udienza soprattutto presso la Sinistra socialista, impegnata ad organizzarsi militarmente contro il terrorismo fascista d’Oltralpe. Il “bio-sociologo” tornerà in fine nella madrepatria. Morirà a Mosca alla Vigilia di Natale del 1973.

Le tre frecce sono diventate politicamente patrimonio comune del socialismo, adottate in vari momenti dai partiti socialisti in Francia, Austria e Stati Uniti. In Italia, nel 1947, saranno sottoposte alla falce e martello nel simbolo del Partito socialista dei lavoratori italiani di Saragat, poi Psdi.

Negli ultimi anni, a livello internazionale, le tre frecce sono divenute il logo della Rash, Red & anarchist skinheads, organismo informale in cui si riconoscono le teste rasate di orientamento marxista e/o libertario, e riproposte in genere anche nelle dimostrazioni Antifa. Vengono spesso associati ad esse i termini “Libertà, uguaglianza e giustizia” o “Un Nemico, un fronte, una lotta”.

Silvio Antonini

 

Propaganda e paragoni insostenibili. 


Voglio scrivere di getto questo articolo sollecitato dalla ennesima condivisione in Rete della storia di Giuseppina Ghersi, tredicenne indicata come vittima di violenza di gruppo da parte di un gruppo di partigiani e poi uccisa (saranno almeno tre anni che vedo la foto della ragazzetta circondata da uomini armati che gira sui social).

La polemica, nata da una una targa commemorativa del fatto, è diventata uno degli innumerevoli tentativi di porre sullo stesso piano partigiani e fascisti (diciamo meglio, repubblichini), entrambi autori di inenarrabli violenze.

Fermiamoci un momento, non ragioniamo come chi mi viene a dire che fascismo e comunismo sono i due estremi che si toccano: stiamo parlando di due elementi assolutamente non paragonabili in una fase storica in cui la lotta di liberazione dal fascismo dovette procedere attraverso l’uso delle armi, e purtroppo quando si imbraccia un mitra si rischia di perdere la propria umanità, e di compiere azioni poco umane.

Ho voluto citare nel titolo di questo pezzo Il partigiano Johnny di Fenoglio ed il partigiano Nello Marignoli perché sono stati testimoni (il primo nel racconto, il secondo per esperienza diretta durante la militanza con i partigiani jugoslavi) di come nelle formazioni combattenti antifasciste abusi di questo tipo fossero puniti immediatamete con la fucilazione.

In uno dei capitoli del libro di Fenoglio il protagonista viene informato da un suo compagno di lotta di un partigiano passato per le armi perché colpevole di stupro e rapina; in Drug Gojko, la pièce teatrale dedicata a Marignoli, ci viene raccontato di un drammatico confronto tra una ragazza vittima di vioenza carnale ed il suo violentatore, che subito dopo è portato in un bosco e fucilato dagli altri partigiani.//

Basta questo per chiedere di farla finita con la macchina del fango che da troppo tempo è stata messa in moto contro la Resistenza?

Oppure dobbiamo riempire i social con i resoconti delle violenze fasciste perpetrate contro i civili (si badi bene, contro i civili, non i partigiani combattenti), che sono state ben più numerose di quelle ormai entrate nella memoria collettiva, come Sant’Anna di Stazzema?

http://www.straginazifasciste.it/

Riccardo Infantino

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DOMENICA 10 settembre 2017

Pensieri in direzione positiva

Stavolta voglio proporre una mia riflessione personale sul momento difficile che stiamo attraversando, sul senso di impotenza di fronte ad un deficit democratico che si presenta come inevitabile ed inarrestabile (un paio di anni fa sulla stampa italiana ha iniziato a circolare il termine democratura, la dittatura travestita da democrazia) e sulla perniciosa diffusione di suggestioni autoritarie e fasciste.

Nella convinzione che nulla sia immutabile per definizione – e del resto ogni regime autoritario o pseudo democratico si presenta come l’unica alternativa praticabile – e che si possa fare tanto per modificare un assetto apparentemente cristallizzato sono andato a cercare ispirazione nelle parole del partigiano Sandro Pertini che in una lettera alla madre dal carcere di Portoferraio dice: …”nella vita talvolta è necessario saper lottare, non solo senza paura ma anche senza speranza”.

Mi permetto di interpretare le parole di quest’uomo che ebbi la fortuna di incontrare al ginnasio in un incontro organizzato dalla mia classe di allora (e da quel momento la mia vita cambiò): l’andare avanti apparentemente senza più un motivo può far rinascere la possibilità di un vero cambiamento di ciò che appare ormai immutabile.

Nella mia esperienza di antifascista iscritto all’ANPI e di insegnante ho visto più di una volta sorgere dei ragionevoli dubbi (da me instillati piano piano…) nelle giovani menti dei ragazzi sedotti dal mito del grande uomo e del “quando c’era lui”.

Del resto il partigiano Mariano Buratti percorse la stessa strada di “redenzione” politica.

Scendiamo a livelli quotidiani e praticabili, per carità.

Come fare?

Una azione quotidiana condivisa, anche se non eclatante e di piazza, magari all’interno di un sistema che per la sua rigidità intrinseca è durissimo ma estremamente fragile.

Riccardo Infantino

 

13 agosto 1977: quarant’anni fa la Battaglia di Lewisham

“..Sei così terrorizzato a parlare di giorno senza un migliaio di poliziotti che proteggono il tuo diritto a minacciare, offendere e incitare alla lotta, ma chi mi proteggerà da te durante la notte?” 

Specials, Why? 

Mentre in Italia il Movimento del Settantasette volgeva al termine, impegnato nei preparativi del Convegno contro la repressione che si sarebbe tenuto nel settembre a Bologna, a Londra si consumava una Battaglia campale contro il neofascismo, così come noi lo conosciamo oggi, densa di significato e di conseguenze. 
Tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi dei Settanta si era iniziata a registrare in Occidente la fine del “ciclo espansivo” seguito alla Seconda guerra mondiale: lo sviluppo che, integrato con il welfare, aveva portato al boom economico, con l’aumento progressivo del benessere, anche presso i ceti subalterni. Il trentennio della nostra Età dell’oro caratterizzata, psicologicamente, dall’ottimismo e dalla fiducia nel futuro. 
A dare un segnale inequivocabile dell’inversione di rotta, lo Shock petrolifero a seguito della Guerra dello Yom Kippur del 1973, quando i paesi produttori aumentavano del 70% il costo al barile del petrolio, la principale fonte di energia. Ci si rendeva innanzitutto conto che le risorse, e le ricchezze ad esse collegate, non fossero infinite. A questa constatazione si accompagnava, grossomodo contemporaneamente, l’idea che lo stato sociale e quello di diritto, con la rete di solidarietà e sensibilità civile che ne era scaturita, fossero un oneroso peso morto da scrollarsi di dosso: da qui le teorie che poi abbiamo chiamato neoliberiste. 
L’aumento vertiginoso della disoccupazione portava gli individui a tornare a ragionare in termini egoistici, e la percezione dell’insicurezza sociale faceva il resto. Con le dovute ed ovvie differenze, si assisteva ad un revival del post-Ventinove. Si diffondeva un’inquietudine che spesso trovava sfogo nel razzismo, con lo spauracchio sempre più esteso dell’immigrazione, e che consentiva all’Araba Fenice dell’estremismo di destra di rigenerarsi dalle sue ceneri, mai del tutto spente, assorbendo nuova linfa vitale. Il Regno Unito è senza dubbio la culla di questa rinascita. Qui, negli anni Trenta, la Britsh union of fascists (Buf) di Oswald Mosley aveva, prima tra le forze fasciste del Vecchio Continente, fatto leva sulla questione immigrazione, incolpando come nemici della nazione britannica gli immigrati ebrei scappati a fine Ottocento dai pogrom dell’Est Europa. Con il Secondo dopoguerra toccherà agli immigrati delle Indie Occidentali, con gli eredi della Buf tra gli accusatori, e, infine, negli anni Settanta, ai pakis, abbreviazione dispregiativa con cui venivano accumunati quanti provenissero dall’Asia Centrale e dal Subcontinente Indiano. Aveva, inoltre, attraversato i decenni la discriminazione in merito all’immigrazione “interna” degli irlandesi.
La nuova stagione del razzismo britannico era stata inaugurata dal politico conservatore Enoch Powell che, in un’assise dei tories, a Birmingham, il 20 aprile 1968, aveva pronunciato un intervento che passerà alla storia come il Discorso dei fiumi di sangue, in cui Powell denunciava l’immigrazione e il multiculturalismo che avrebbero ridotto la Gran Bretagna a colonia dei neri, paventando scenari apocalittici di caos e rivolte. Si diffonde lo slogan Enoch is right, Enoch ha ragione. 
Attorno alla metà degli anni Settanta a trarre consensi e profitto elettorale dagli istinti razzisti è il British national front, noto come National front (Nf), veemente, omofobo, razzista e antiabortista, ma con qualche accorgimento diplomatico formale, rispetto all’apertamente nazionalsocialista, e coevo, British movement, e disposto di una leadership in doppiopetto. L’Nf è quello che riesce meglio a capitalizzare il malessere, riproponendo per il vero i vecchi slogan del periodo Buf, come Britons first!, e le vecchie soluzioni che, evidentemente, tornavano a funzionare. Tra il 1974 e il 1977, l’Nf ottiene infatti risultati ragguardevoli, in particolare alle elezioni locali, raggiungendo spesso le due cifre percentuali e, in qualche caso, andando oltre il 40%. Un seggio ove i risultati sono particolarmente positivi è quello londinese di Bethnal green, nell’Est londinese, che della Buf era stata la roccaforte quarant’anni prima. Il Front cura particolarmente il reclutamento dei giovani, anche attraverso “The Bulldog”, il periodico della Sezione, appunto, giovanile, e quello dei fumetti, “The Stormer”. Riesce, a tal proposito, ad arruolare molti skinheads, derivanti da una cultura che trovava origine proprio negli immigrati giamaicani di colore ma che, in contemporanea con il punk ‘77 e con la riproposizione, provocatoria, dei simboli del nazismo, aveva subito delle sbandate: la parodia aveva superato la realtà. 
Com’era stato nella Guerra di movimento scatenata dai fascismi a partire dagli anni Venti, anche l’Nf commette atti di violenza contro i diversi e gli avversari ma, nella sua veste ufficiale, lancia sfide nelle zone reputate ostili, dove rivendica il diritto all’agibilità, attraverso marce provocatorie, per il vero massicciamente scortate dalla polizia. Le zone ostili sono, va da sé, i quartieri più massicciamente popolati dagli immigrati. Tra questi l’operaio e multirazziale Lewisham, nel Sudest di Londra. Qui, l’Nf fissa una marcia per sabato 13 agosto 1977, per denunciare la violenza e il degrado causati dalla gente di colore. Ma la marcia non faceva in tempo ad iniziare che si sollevava l’intero quartiere accorrendo ai sui lati, dov’erano i cordoni di scorta della polizia, per inveire contro i manifestanti e scagliargli contro ogni tipo di oggetto: particolarmente efficaci i bidoni della spazzatura fatti rotolare contro i marcianti. Una folla di contestatori di circa diecimila persone, chiamate dalla All Lewisham campaign against racism and fascism (Alcarf), Campagna contro il razzismo e il fascismo di tutto il Lewisham, 
perlopiù giovani: bianchi, di colore e asiatici, tra punk, rasta, militanti politici e sindacali, anche con le famiglie. La risposta della polizia britannica, che per la prima volta usava gli scudi antisommossa, si dimostrerà particolarmente violenta: decine e decine di arresti tra gli antifascisti, anche finiti i disordini, con una caccia all’uomo per le strade, ma i militanti Nf si erano costretti a sciogliere le fila e a battere ritirata. 
È la Battaglia di Lewisham, seconda a quella di Cable street con la quale, il 4 ottobre 1936, era stata impedita la marcia della Buf nell’East end, decretandone altresì il declino. Da Lewisham sortirà la Anti-nazi league (Anl), promossa principalmente dal più consistente partito trotzkista britannico, il Socialist workers party (Swp), nella constatazione, rivelatasi esatta nel contrasto alle insorgenze nazi che si erano avute dopo Cable street, che per combattere il fascismo bisognasse fare un lavoro costante nei quartieri, sia di informazione che di supporto alle esigenze, soprattutto abitative, su cui la propaganda razzista faceva particolarmente leva. Si presentava poi l’urgenza dell’attività culturale da cui, come braccio artistico dell’Anl, nasceva il Rock against racism (Rar), un circuito di musicisti, scrittori ed artisti di vario genere, venuto già in essere sull’onda di indignazione suscitata dalle dichiarazioni shock di Eric Clapton, artista intimamente legato al blues, durante il concerto a Birmingham il 5 agosto 1976, in cui si era detto in accordo con il Discorso dei fiumi di sangue pronunciato in quella città da Powell otto anni prima. Il Rar organizza happening e concerti per il Paese, nel nome, si legge in un documento, di “una battaglia per l’anima del proletariato giovanile inglese. Una musica che faccia capire chi sia il vero nemico”. Il debutto, al Carnival antinazi del 30 aprile 1978, con corteo da Trafalgar square e concerto al Victoria park di Londra, culminato con l’esibizione dei Clash. 
Queste mobilitazioni non hanno impedito certo al fascismo britannico di riproporsi, in diverse forme e vesti, riadattando di volta in volta i suoi propositi e scegliendosi nuovi capri espiatori, ma ad ogni sua ripresentazione si è assistito ad una mobilitazione di contrasto, tenace ed intransigente, pronta a respingerlo salvaguardando l’unità delle comunità. 
Da lewisham, in buona sostanza, si getteranno le basi per un lavoro di contrasto ai nuovi fascismi su tre fronti: quello di strada (sviluppato poi dall’Anti-fascist action nel decennio successivo), quello sindacale – rivendicativo e quello artistico – culturale. 
Una lezione di strategia valida oggi più che mai.

Silvio Antonini

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DOMENICA 3 settembre 2017

L’Europa dei muri e l’Europa di Ventotene

 

Quando si parla di antifascismo – quello vero, vissuto nell’agire quotidiano e non solo nelle dichiarazioni sui social network o nei proclami ufficiali – non si ricorda a volte un documento che è tra i suoi fondamenti: il Manifesto di Ventotene.

Come è noto venne concepito e redatto nell’agosto del 1941 al confino fascista di Ventotene da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, che con la preveggenza che sarà tipica dei Padri Costituenti immaginarono l’Europa del post nazifascismo e della fine del colonialismo militare e politico.

Posero le basi per quella che sarebbe stata l’Europa del Trattato di Roma e della Unione Europea (per favore, accantoniamo un momento la polemica europeisti ed antieuropeisti) che sarebbe stata fondata suo princìpi della sovranità popolare, della solidarietà reciproca e della apertura nei confronti degli altri continenti.

Iniziava nel dopoguerra il lungo e tormentato processo di decolonizzazione, e la “vecchia” Europa avrebbe dovuto prendere coscienza di aver schiavizzato per tre secoli forza lavoro e risorse di uomini che – almeno in linea di principio – erano uguali nei diritti ai loro (ex) dominatori.

Non è stato proprio così, e gli effetti di questo atteggiamento sono visibili anche nella politica dei muri: erigere barriere di tipo fisico, legislativo e culturale per escludere dal nostro benessere (?) chi fugge da guerre e dalla povertà (i motivi sono sempre quelli, lo sono stati anche per i nostri emigrati) delle quali siamo spesso i principali responsabili.

In particolare mi colpisce ogni volta che lo leggo questo paragrafo (alla fine della pagina 6 del testo linkato poco prima):

“E quando, superando l’orizzonte del vecchio continente, si abbracci in una visione di insieme tutti i popoli che costituiscono l’umanità, bisogna pur riconoscere che la federazione europea è l’unica garanzia concepibile che i rapporti con i popoli asiatici e americani possano svolgersi su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avvenire, in cui diventi possibile l’unità politica dell’intero globo. “
La democrazia occidentale si poggia sulla terna liberté – egalité – fraternité,,,peccato che quando queste tre parole vennero fissate nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino non valevano per le colonie sparse nel resto del mondo.

I muri potranno tenere lontani i profughi per…non certo un tempo lunghissimo o indeterminato; nel 2012 il loro numero era di oltre 63 milioni – e tra questi almeno due erano profughi ambientali -; il nostro è un pianeta che ha risorse tali da poter mantenere dignitosamente fino a dieci miliardi di persone, e non occorre certo essere un politologo o un economista per capire che la redistribuzione equa della ricchezza è garanzia di pace e di sviluppo.

Riccardo Infantino

 

La scuola buona, corta e promossa

Regalare la promozione indipendentemente dai meriti? Ecco la farsa della democrazia.

Chi avrà alle spalle una famiglia culturalmente ed economicamente attrezzata, scrupolosa riguardo all’educazione dei propri figli, continuerà a studiare, per ottenere alte valutazioni, per senso del dovere, per essere premiato, per timore delle reazioni a casa.

Per gli altri: liberi tutti. Liberi di diventare dei subumani incapaci di pensiero logico-deduttivo, tecnicamente sprovvisti di strumenti per comprendere quello che gli succede intorno. Merce da lavoro a bassissimo costo, buoni a nulla e quindi intercambiabili, carne da macello per le multinazionali.

La democrazia non ha niente a che fare con tutto questo: un’istruzione democratica dovrebbe fornire al cittadino i mezzi culturali attraverso cui prendere coscienza di sé, liberarsi dai bisogni sviluppando le proprie qualità e inclinazioni, riuscire a capire il mondo che lo circonda, e, in misura più o meno ampia, a cambiarlo.

Per acquisire questi mezzi occorre fatica, non si esce da questo assunto. Occorre disciplina.

Inoltre: eliminare le bocciature per decreto sottrae autorità agli insegnanti e contribuisce alla loro perdita di credibilità davanti agli studenti e alle famiglie, con progressivo peggioramento (in realtà già iniziato da anni) dell’istruzione pubblica nel suo complesso.

So bene che alle medie si bocciava pochissimo anche prima, ci ho lavorato un anno, un ordine simile mi fu impartito sotto forma di caloroso incoraggiamento. Ma così è peggio, così ci si arrende prima di cominciare. È proprio alle scuole medie che avviene il tracollo, la biforcazione dei destini tra chi sarà destinato a capire qualcosa di quello che gli succede e chi vivrà la sua vita senza comprenderla, accodandosi.

Gabriele Busti

 

La scuola è servita

La Legge 107, la cosiddetta legge della buona scuola, ha realizzato il sogno del disfacimento della scuola statale, iniziato con quel geniaccio di Berlinguer (Luigi) più di 20 anni fa. E il personaggio è dietro anche la “buona sola”. Ci hanno messo tempo, ma ci sono riusciti. Da vent’anni, in maniera scientifica e programmata, non è accaduto per caso. Scuola azzerata: corpo insegnante disorientato e diviso in mille rivoli a farsi la guerra per due “merendine”, genitori che non fanno i genitori ma dettano legge, dirigenti che si sentono finalmente unici decisori del “loro” istituto, taglio di ore e di interi anni scolastici, balla spaziale dell’alternanza scuola-lavoro (non sia mai che i ragazzi stiano qualche ora al giorno a scuola, poi c’è il rischio che imparino qualcosa!), test a crocette che nemmeno quando si prende la patente se ne fanno tanti, asservimento dell’intera categoria docente, organi collegiali mandati al macero. Tutto è stato costruito per trasformare un sistema scolastico statale che si basava sui principi costituzionali in un’aziendina scadente che fa la concorrenza come  un qualunque discount. Qui è il regno incontrastato del gregge, da qualunque parte lo si guardi, dell’omologazione più becera, dell’americanismo yankee rampante.

Rossella De Paola

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DOMENICA 27 agosto 2017

Rendiamo più belle le gabbie

Una considerazione che forse è venuta in mente a tanti comuni cittadini è il binomio sicurezza e libertà di circolazione, proprio in riferimento agli ultimi fatti di Barcellona (e di quelli non troppo lontani di Nizza), che dimostrano come qualsiasi oggetto o veicolo possa essere strumento di un massacro.

Quale soluzione è stata attuata iniziando da Milano?

Chiudere al transito delle vetture (dei probabili furgoni lanciati sulla folla) con la posa di barriere in cemento, i cosiddetti jersey, i blocchi anti sommossa, insomma.

Oppure, se proprio si devono installare le barriere anti terrorismo, che almeno siano costituite da alberi o presentino un aspetto gradevole nella forma e nel colore, così da smorzare l’effetto trincea, e renderle reversibili in caso di necessità (il passaggio di una ambulanza, ad esempio).

Facciamo appello al buon senso comune, che vale sempre più di una laurea: chi ci garantisce che un attentatore suicida non ripieghi sulle famigerate cinture esplosive, o trovi un altro modo per compiere una strage, una volta che gli fosse impedito di passare con un camion per lanciarsi sui passanti?

Il sospetto forte è che queste ulteriori misure di sicurezza, che integrano le pattuglie di militari a guardia degli obiettivi sensibili, da provvisorie diventino permanenti, come da condizione eccezionale stanno divenendo permanenti lo stato di emergenza e l’annessa politica securitaria.

Di nuovo torna alla mente la frase di Bush junior all’indomani dell’attentato alle Torri Gemelle: la guerra infinita contro il terrorismo.

Meglio fermarsi qui, non essendo tra l’altro esperti di sicurezza o funzionari del Viminale impegnati nella protezione dei cittadini: l’unica certezza sono i morti e la lenta agonia dei diritti fondamentali sui quali una democrazia si fonda, a beneficio di una sicurezza che si mostra inevitabilmente come illusoria, e avanzare una proposta: estirpare e bonificare le condizioni di miseria sociale e ìd economica che alimentano la propaganda del terrorismo e degli attacchi suicidi, per eliminarlo definitivamente.

Le armi uccidono i terroristi, la cultura elimina il terrorismo, ci ricorda Malala Youssuf.

Riccardo Infantino

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DOMENICA 20 agosto 2017

Due fatti accaduti pochi giorni fa e già caduti nel dimenticatoio. La strage di Barcellona ha risvegliato le paure del terrorismo. Un terrorismo come qualcuno lo ha definito, semplice, con poca pianificazione con terroristi ragazzi, manovalanza a basso costo o lavaggio del cervello su cittadini ai margini di una società che non cambia e si chiude verso le richieste di aiuto che vengono dalla moltitudine sempre crescente di immigrati di prima, seconda generazione ma anche da noi uomini e donne che non riusciamo a far sentire le nostre angosce e dolore del vivere quotidiano. 

Un’altra via ad un fascista, il ritorno dell’ambasciatore italiano in Egitto. sono segnali. 

 

Il fascismo non va in vacanza, l’antifascismo neppure: a proposito di Via Pino Rauti a Cardinale (Cosenza).

Leggo nell’articolo pubblicato su Il fatto quotidiano della delibera del comune di Cardinale in provincia di Cosenza riguardo alla intitolazione di una via a Pino Rauti.

Devo ammettere che non sono rimasto perplesso più di tanto, visto l’attuale trend di sdoganamento degli ideali fascisti e la discutibile volontà di far passare la cosiddetta “parte buona” del fascismo; complici anche forze che dovrebbero essere antifasciste per definizione (il centrosinistra tanto per non fare nomi) non c’è giorno che non si tenti di far passare il messaggio che si, è vero, il ventennio fu una dittatura, ma fece anche molte cose buone per l’Italia, e non fu poi così malvagio come poi è stato dipinto in seguito.

Sempre secondo questa logica gli ideali perseguiti dal Movimento Sociale Italiano e dai suoi scissionisti (tra i quali Pino Rauti, poi rientrato, e personaggi quali Stefano delle Chiaie e Mario Tuti – entrambi nomi chiave dell’eversione nera stragista – )

Le attuali compagini di estrema destra (Casapound e Forza Nuova tra tutte) si richiamano apertamente a questi personaggi, Rauti in particolare, che in effetti esercita ancora una sorta di fascinazione anche dopo la sua morte (basta visitare il suo sito ufficiale per rendersene conto).

Fu tra i protagonisti dello scenario che portò alla fondazione di Ordine Nuovo, per ora l’unico gruppo ad essere stato sciolto, nel 1973, in base alla disposizione transitoria XII della Costituzione ed alla legge Scelba, in quanto associazione mirante alla ricostituzione del disciolto partito fascista.

Rauti, oltre ad essere stato indagato – e poi prosciolto – per la strage di Piazza Fontana del 1969, aveva documentati contatti con Junio Valerio Borghese, protagonista del tentato golpe neofascista del 1970.

Mi fermo e non vado oltre, lascio agli esperti della storia di quegli anni un discorso più ampio, e mi limito a chiedermi quanto possa essere pericoloso per una democrazia ora traballante come la nostra un processo di revisionismo storico come quello in atto da troppo tempo.

L’antifascismo non va in ferie, e forse dovrebbe di nuovo fischiare il vento.

Una ultima considerazione: quando a Viterbo passo per la Circonvallazione Giorgio Almirante mi viene sempre la tentazione di correggere la dicitura “statista” con quella di “fascista e repubblichino”…

Riccardo Infantino

 

1) Due anni fa, al meeting di Comunione e Liberazione, Renzi fece la più allucinante delle aperture di credito al regime di Al Sisi, fummo l’unica democrazia sulla terra a legittimarlo, con parole che farebbero arrossire un Kissinger: pacificatore, statista, argine al terrorismo.
2) Il regime di Al Sisi è una dittatura terrificante, l’omicidio Regeni è un piccolo prontuario di come vengono trattati gli oppositori politici: spietatezza, tortura, sistematico insabbiamento delle prove, ipocrisia di facciata, palesi minacce. L’intervista che il dittatore concesse a Repubblica ad andarla a rileggere oggi mette i brividi.
3) La stampa statunitense le domande le fa, non sarà facilissimo metterla sotto silenzio, al contrario del marchettificio editoriale italiano, che ha dato legittimità alle giustificazioni più infami: “Giulio Regeni è pagato dai servizi segreti, era andato a un festino gay, aveva dell’hascisc, se l’è andata a cercare… “
4) pare che l’amministrazione Obama abbia fornito al governo italiano le prove di tutto l’affaire;
5) pare che il governo Renzi abbia fatto finta di non sapere nulla e continuato a chiedere “la verità, anche dagli amici” insabbiando prove certe, rimuovendo l’ambasciatore dopo tre mesi solo su pressione della famiglia, reinsediandolo alla chetichella per non turbare lo statista;
6) pare che il ministro degli Esteri fosse un certo Paolo Gentiloni, e che alla Farnesina vi fosse un certo Angelino Alfano.
7) La famiglia Regeni andrà avanti, auguri a tutti i sostenitori della real politik al tamarindo.

Gabriele Busti.

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DOMENICA 13 agosto 2017

Pensieri informali sul Venezuela

InfantinSu sollecitazione di Piero Belli vorrei compiere alcune riflessioni frammentarie, dato che non ho conoscenza diretta, di persona, dei fatti, su quello che sta accadendo in Venezuela.

Come faccio spesso mi vado a documentare attraverso le testimonianze di chi vive lì ed è testimone della terribile situazione che il paese sta attraversando: allo stadio attuale carenza quasi totale di generi di prima necessità, cibo, medicine, fonti energetiche (per uno dei principali produttori al mondo di petrolio è davvero un dato inquietante), ma soprattutto una guerra civile in atto, ed un conseguente esodo di migliaia di persone in direzione del Brasile e della Colombia.

Mi raccontava pochi giorni fa una mia carissima amica di Caracas che se si è obbligati ad uscire in strada anche solo per tentare di trovare del cibo non si è sicuri di tornare vivi, perché gli scontri a fuoco sono ovunque, e chiunque può finirci in mezzo.

Ugo Chavez tentò, come è noto, la via del socialismo reale attraverso la nazionalizzazione delle fonti energetiche (come fece il nostro Enrico Mattei, che saltò in aria due mesi dopo averla annunciata al paese…) ed una politica di sussidi pubblici (una sorta di reddito di cittadinanza) che avrebbero dovuta rilanciare il paese e migliorare le condizioni dei lavoratori, anche grazie ad un stretto controllo dell’economia da parte dello Stato.

Nicholas Maduro ha continuato la politica chavista, ma il risultato è la situazione attuale.

Già da anni – mi raccontava la mia testimone diretta – parecchie fabbriche erano state chiuse dopo la nazionalizzazione, gli impianti estrattivi erano fermi e soprattutto il salario garantito era utilizzato in molti casi come “obolo eterno” governativo e non come soluzione temporanea in attesa di un nuovo ricollocamento nel mercato del lavoro.

Sono tratti che discordano radicalmente da quanto ha prodotto l’informazione ufficiale , che parla di ripresa economica e di riappropriazione del potere da parte del popolo attraverso la gestione delle cooperative.

Un articolo inviato al Fatto quotidiano da Robert Criollo, un ingegnere di Caracas che si è trasferito quattro anni fa nel nostro paese non ha dubbi: la disastrosa situazione attuale è il punto di arrivo di una politica rovinosa di sperperi dei guadagni ottenuti con il petrolio, che è sfociata in una guerra del governo e dei suoi gruppi paramilitari contro i civili e non del socialismo contro il capitalismo di marca americana; quello che viene presentato ai media stranieri non sarebbe altro che l’immagine preconfezionata da una stampa pilotata dal potere pubblico.

Di ben diverso parere sono un gruppo di nostri connazionali immigrati o figli di immigrati che hanno inviato una lettera aperta nella quale indicano Chavez (e Maduro) come il primo leader che abbia affrontato in modo serio la condizione di povertà e di apartheid di milioni di venezuelani dopo un secolo di miseria diffusa.

La rivolta, sempre secondo i firmatari della lettera, è scoppiata nei quartieri più ricchi della capitale Caracas, capeggiata dall’ultradestra e sponsorizzata generosamente da paesi esterni (e non sarebbe certo la prima volta, mi permetto di aggiungere), con lo scopo di tornare ad un possesso elitario di tutta la grande ricchezza del paese a danno di milioni di poveri.

Sono due fonti dirette, come si vede andandole a leggere, e allora?

Un interessante e più distaccato punto di vista è espresso dal gruppo venezuelano, Marea Socialista, che in uno scritto critico anche verso Maduro ed i modi di realizzazione del socialismo bolivariano parla della elezione della Assemblea Costituente come del punto di inizio della disgregazione della identità nazionale venezuelana, massacrata da una guerra combattuta tra le due élite – quella maduriana attualmente al potere, resasi protagonista di episodi ben poco democratici, e quella dell’ultradestra, appoggiata dagli Stati Uniti.

Il Venezuela – prosegue Marea Socialista dovrà attraversare un periodo di violenze inaudite e di instabilità totale, e solo alla fine, morte le vecchie oligarchie, potrebbe nascere qualcosa di nuovo, che viene definito dalla stampa estera “chavismo critico”, che potrebbe attuare la Costituzione del 1999, e restituire ai venezuelani dignità e sovranità.

Questi, almeno sulla carta, gli intenti.

Devo ammettere che a questo punto sono più confuso di prima, ma al tempo stesso rafforzato nella mia convinzione di cittadino e membro dell’ANPI: quando la sovranità appartiene veramente al popolo (già sentita questa frase, vero?), quando tutti i cittadini, nessuno escluso, prendono in mano ciò che è loro di diritto non è necessario alcun leader carismatico interno conduttore di folle, oppure il generoso” aiuto di qualche nazione esterna preoccupata di ridare la “democrazia” ad una nazione in grave sofferenza, ma una forza politica in grado di esprimere al meglio le esigenze di tutti i cittadini.

Riccardo Infantino

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DOMENICA 6 agosto 2017

Una brutta democrazia è sempre meglio di una bella dittatura. Non so chi l’abbia detta, ma se si riferiva ad una “democratura” allora il quadro di cosa sia una brutta democrazia ce lo ricorda Riccardo

Marco invece ci racconta a modo suo come il mondo sia cambiato in peggio e chi ci ha guadagnato con la rottura di equilibri formatisi dopo la seconda guerra mondiale, non è stata certo la democrazia degli stati europei ma la destra, quella che comanda la pancia dei popoli.

Il dissenso nell’epoca fascista e nell’epoca della democratura (?)

Prima di tutto chiedo scusa per il mio non essere moderato ed imparziale, ma quando è in gioco un diritto fondamentale come quello di informazione e di libera espressione, sancito dall’articolo 21 della Costituzione non si può non scegliere tra “si, è garantito e praticabile ” e ” no, viene represso e reso di fatto pericoloso nella sua attuazione”.

Mi riferisco in modo particolare ad un brutto episodio accaduto durante il flash mob (autorizzato dalla questura di Roma) organizzato da Amnesty per la Giornata Mondiale del Rifugiato; come in tutte le iniziative di questo tipo chi vuole prende educatamente (l’avverbio è funzionale a far comprendere il carattere civile e composto, ma fermo della manifestazione) la parola ed altrettanto educatamente dice la sua, dato che dovremmo (anche qui il condizionale è d’obbligo…) essere in una democrazia.

Nel filmato di cui fornisco il link alla fine di questa mia amara riflessione si vede uno dei presenti che al microfono espone le ragioni per cui ritiene il decreto Minniti Orlando incostituzionale e lesivo dei diritti umani (ma basta aprire il sito web di Amnesty per trovare argomentazioni al riguardo, no?).

Si avvicina un funzionario della Digos che lo identifica, si rivolge a Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia e gli domanda se si dissocia dalle parole del ragazzo che aveva appena parlato; testimoni presenti riferiscono di identificazioni compiute a campione tra i partecipanti al flash mob.

Ho vissuti gli anni di piombo mentre ero al ginnasio, in un periodo in cui bastava pronunciare il nome Brigate Rosse anche solo per scherzo e ti trovavi tre agenti intorno, ma una cosa simile non era mai accaduta.

Da semplice iscritto all’ANPI mi viene in mente la politica repressiva del dissenso praticata prima con le intimidazioni, poi con la violenza ed infine la soppressione fisica attuata nel ventennio, e comincio, sinceramente, a provare un brivido nella schiena…vorrei credere che l’episodio sia dovuto al’iniziativa di un troppo solerte funzionario di Polizia, perché in caso contrario il termine democratura (dittatura travestita da democrazia) esprimerebbe l’attuale condizione politica del nostro paese.

Qui il filmato:

http://www.fanpage.it/in-italia-non-si-puo-criticare-il-decreto-minniti-orlando-siamo-a-un-passo-dal-reato-di-opinione/

Riccardo Infantino

 

Le radici della C Star Generazione Identitaria

Il 9 Novembre 1989 il grande Alessandro Natta disse «Qui crolla un mondo, cambia la storia… ha vinto Hitler… Si realizza il suo disegno, dopo mezzo secolo.» (Alessandro Natta il 9 novembre 1989 dopo la caduta del muro di Berlino) e infatti é andata così mentre quel giorno certa Sinistra Esultava Paolo Ferrero compreso i Gruppi Neonazisti e Neofascisti Europei che covavano nella Cenere esultavano anch’essi e si organizzavano anche rapidamente vedi gli Ustascia Croati di lì a poco si scatenarono sanguinose rivolte e la Guerra Civile in Yugoslavia “mio nonno paterno disse vedrai che con il crollo del Muro di Berlino non si scateni qualche guerra e non era nemmeno Natale” ci fu il crollo dell’Unione Sovietica la Guerra civile in Yugoslavia e altro ancora che portò un imponente flusso migratorio e profughi in Europa. Tornando indietro nel tempo vi ricordate Ungheria 1956 e Cecoslovacchia 1968 somigliano molto alle Rivoluzioni Colorate e le Primavere Arabe orchestrate da Soros e appoggiate dagli USA appoggiate anche da qualche Governo di Sinistra o Presunto tale. Queste Rivoluzioni Colorate e Primavere Arabe hanno creato guerre civili crisi rivolte e un ingente flusso migratorio e profughi in Europa tali da fomentare i gruppi neonazisti e neofascisti europei in un unica organizzazione Generazione Identitaria che con la Nave C Star hanno creato una pericolosa organizzazione Nazifascista in Europa facendo Manifestazione per ottenere consenso in tutte le Città Europee e Italiane Viterbo compreso “Mi domando dove fosse ANPI Viterbo per non fare una Contromanifestazione per Contrastare tale manifestazione di Generazione Identitaria”
Una Soluzione é unire le forze di Sinistra e Comuniste nel PCI che é ritornato a tale scopo.

Marco Marcucci

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DOMENICA 30 Luglio 2017

Il Web per alcuni aspetti potremmo considerarlo come la stampa clandestina che veniva distribuita ed affissa nei muri durante il Risorgimento o la stampa della Resistenza “volantinata” a rischio della propria vita durante la dittatura fascista. In generale però Internet senza andare a settorizzarlo è lo “specchio tecnologico” della nostra civile ed avanzata società. Nella Rete ci troviamo tutto, informazioni utili e inutili, vere o false, serie o sciatte, rispettose dei diritti umani o razziste, la gioia o il dolore di uomini, donne e di tanti ragazzi e ragazze. Non c’è altro da dire la nostra cultura democratica deve aiutarci a capire subito cosa stiamo leggendo altrimenti cadiamo nella trappola. 

Razzismo fascista di tipo accattivante e “neutrale”

InfantinSeguendo la vicenda della nave C-Star, utilizzata da Generazione Identitaria per – ha dichiarato il responsabile della sezione italiana Lorenzo Flato – monitorare le attività delle ong e “mostrare come il loro lavoro sia un attrattore dell’immigrazione clandestina usato dagli scafisti” (qui l’intervista), ho esplorato il sito web di questa organizzazione, che sta conoscendo una certa diffusione tra le ultime generazioni, proprio quelle che utilizzano la Rete.

Il loro simbolo mi ha già date alcune indicazioni…richiama nella struttura grafica quello di altre ben note congreghe di ultra (ma proprio ultra) destra; essendo io un vintage mi ha fatto tornare alla mente il logo del FUAN, nota alla DIGOS e a quelli che sono stati vittime delle sue aggressioni: cone inizio non c’è male.

La veste grafica, francamente, ricorda quella delle ONG che dicono di voler contrastare…(ma forse è l’effetto del modello preconfezionato di pagine web che viene utilizzato da molti, ong comprese…diamo il beneficio del dubbio), dunque un aspetto gradevole, di facile esplorazione e soprattutto molto leggibile.

Inizio ad addentrarmi nel menu e lì inizia lo svelamento della vera identità: alla voce “chi siamo” incontro subito i vocaboli “democratica, patriottica, apartitica, europea”, ma all’interno dei paragrafi si parla di “lottare insieme contro i nostri nemici” (quali?) per giungere alla liberazione dell’Europa (da chi?), il contrario dello spirito del Manifesto di Ventotene, che voleva un continente democratico, solidale e aperto al resto del mondo.

Nella sezione “cosa facciamo” viene fuori la verità: “le strade d’Europa ci appartengono per diritto di nascita”, “le Identitarie combattono il femminismo e difendono la complementarietà tra uomo e donna; esse scendono sul campo in protezione della famiglia e dei connazionali in stato di difficoltà” (e chi non è connazionale o non è uomo o donna, ma in difficoltà serie come dovrebbe fare?), e la perla finale: “Non è possibile difendere il tuo popolo se non sai difendere nemmeno te stesso! Per questo motivo organizziamo seminari e incontri, in Italia e all’estero, dedicati agli sport marziali ed all’autodifesa” (si intende anche dei tuoi cari…mi ricorda la legittima difesa armata notturna; non sarebbe meglio fare pressione pubblica per aumentare i fondi alle forze dell’ordine a beneficio della scurezza, invece che procurarsela da soli?).

L’apoteosi di questo fasciorazzismo arriva nella sezione “temi”: qui la Generazione Identitaria si rivela per ciò che è, una organizzazione a sfondo razzista e molto poco democratica, come ha invece sostenuto prima.

Preferisco riportare citazioni testuali dai diretti interessati per non essere frainteso: “rimarca il possesso degli Italiani su di un’area determinata”, a proposito della integrazione (che ovviamente è una menzogna pericolosa) “I risultati di questo inganno li vediamo quotidianamente: lo sradicamento delle terze generazioni genera islamismo radicale, gansterismo, mafie e terrorismo; l’incapacità di comprendere i diritti delle donne genera una cultura dello stupro imperante” (ma il terrorismo e le mafie non avevano certo bisogno di aspettare l’aumento della popolazione musulmana in Europa per svilupparsi, altrettanto dicasi per la cultura dello stupro).

Dopo una serie di indicazioni sui servizi sociali ed il welfare che dovrebbe essere privilegio esclusivo dei cittadini italiani (molti dei quali sono ormai di origine non italiana…), quando l’articolo 2 della Costituzione protegge e tutela i diritti inalienabili di tutti gli uomini (non solo dei cittadini) altra considerazione illuminante: “ L’immigrazione massiva è la più grande dichiarazione di guerra ai Diritti dei Lavoratori da inizio secolo a questa parte” (allora i nostri bisnonni emigrati in massa facevano la guerra ai diritti dei lavoratori praticamente in mezzo mondo…), e la cosa che mi ha davvero lasciato a bocca aperta: “Revoca della cittadinanza italiana agli ex-cittadini stranieri che si siano macchiati di reati di qualsiasi tipo negli ultimi dieci anni”: la legislazione fascista Rocco prevedeva per gli oppositori del regime la privazione della cittadinanza _ la morte civile, in altre parole -, per questo l’articolo 22 della Costituzione impedisce che tale misura possa essere attuata.

Conclusione di questo noioso discorso: un uso accorto e sapiente dei media e della Rete può far passare in una bella forma come lecito ed inevitabile ciò che calpesta i diritti umani fondamentali e la nostra Costituzione; vale la pena di fare molta attenzione.

Riccardo Infantino

Commento giunto alla mail del comitato viterbo.provinciale@anpi.it di Marco Marcucci 

Carissimi Compagni e Compagne ho letto l’articolo di Riccardo Infantino su Generazione Identitaria e C Star, il Partito Comunista Italiano ha già Manifestato contro di loro in Sicilia praticamente il PCI ha già preso una posizione ed é quella di contrastare Generazione Identitaria e la sua nave C Star. Il discorso della forte avanzata della Estrema Destra Neonazista e Neofascista in Europa parte dal 1985 anno in cui Tragicamente fu eletto Gorbaciov a capo dell’Unione Sovietica con il più Tragico giorno del 9 Novembre 1989 “Caduta del Muro di Berlino” con la Famosa frase del Grande Alessandro Natta il discorso é lungo e da approfondire. Il PCI é ritornato l’unione fa la forza, rispettare le leggi Scelba e Mancino.

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lunedì 24 Luglio 2017

Questa volta Didomenica “esce” di lunedì (problemi di pc e di rete riscontrati). Due argomenti di scottante attualità. 

La scuola buona o la scuola che non riesce più a motivare le nostre giovani generazioni? Rossella prova a portare conoscenze scomode che però devono farci riflettere, su cosa, in questi anni, la scuola è diventata e soprattutto la classe docente cosa ha lasciato fare?

Riccardo analizza e ci racconta cosa sta succedendo nei “social”, quali sono gli argomenti più discussi e quale il tono di frasi violente che vengono scritte nei confronti di migranti e sulla cittadinanza agli stranieri nati in Italia. Ne esce un quadro decisamente desolante.

Cari professori …

Cari prof., si è chiuso (deo gratias) un altro ciclo scolastico, è tempo, dunque, di bilanci: come da fin troppo facile previsione vi siete rivelati una perfetta delusione. D’altra parte contro la codardia, la mediocrità, l’ignoranza qualunque battaglia è persa in partenza. Far sì che si esca da cinque anni di scuola col nulla assoluto in mano, ci vuole dell’indiscutibile talento da parte vostra. Al massimo, giusto per essere molto generosi, quattro risicate nozioncine relative a qualche disciplina, per il resto vi va riconosciuto il “merito” di averli costretti ad essere autodidatti, autonomi, indipendenti. Complimenti davvero! Quando entrate in una classe, siete di fronte a occhi pieni di luce, di entusiasmo, di energia, di sogni che non chiedono che stimoli culturali importanti, grandi; anime che necessitano ricchezza di contenuti e profondità, di crescere “pieni”, di essere “saziati” e sollecitati nel loro bisogno di sapere e conoscere. E voi? Per tutta risposta vi adoperate per spegnerli, bruciate loro le ali, abiurando al senso stesso della vostra professione. Avete tra le mani “materiale umano” in formazione, in evoluzione, potreste fare miracoli con i ragazzi, chiunque dovrebbe invidiare il vostro lavoro per questo. Non li fate volare, non li fate sognare, anzi, vi adoperate per trascinarli e sprofondarli nel vostro nulla, nel vostro vuoto, nella vostra superficialità, con l’unico obiettivo di appiattirli, uniformarli, omologarli. E loro vi vedono, vi sanno leggere meglio di chiunque altro. Conoscono tutti i vostri limiti, le vostre piccolezze, i piccoli interessi, sanno distinguere la mediocrità, le meschinità, l’attivismo apparente, il menefreghismo, i vassallaggi. E nel tempo, si dimenticheranno di voi, faranno fatica a ricordare volti e nomi: l’oblio, nient’altro. Che tristezza, che amarezza. Anni trascorsi a difendere a spada tratta la scuola pubblica statale nella piena consapevolezza di difendere un principio, un ideale costituzionale ma, in realtà, di difendere l’indifendibile. E non saranno le rarissime eccezioni a fare la differenza. La scuola merita la rovina attuale, è grazie a voi se ci siamo arrivati. La “buona scuola” è un vostro strepitoso successo, a coronamento e maggior gloria di vent’anni di inerzia, viltà, insipienza, inettitudine, analfabetismo civile. Ci vorranno parecchie generazioni per cominciare a recuperare anche solo parte dei danni incommensurabili compiuta dalla classe docente più indecorosa e deplorevole della storia patria. Sentiti ringraziamenti.

Rossella De Paola

 

Incontri in Rete con i fascisti di cervello

“Se non li conoscete chattateci un minuto…li riconoscerete dal tasto risoluto…”.

Stavolta – non avendo la conoscenza del luogo e della memoria partigiana di molti iscritti all’ANPI di Viterbo e non solo – vorrei parlare di come ho osservato il fascismo nella forma di atteggiamento mentale.

La Rete è un luogo privilegiato per osservare questo fenomeno, perché il cosiddetto effetto schermo – il cadere di qualsiasi freno inibitorio di fronte alla possibilità di nascondersi dietro un monitor – provoca la liberazione, non di rado, dei peggiori istinti verbali, che rivelano immediatamente cosa si è e quale considerazione si ha del prossimo.

Partendo dal semplice presupposto che per fronteggiare un nemico – e magari tentare anche di farlo ragionare – ne è indispensabile la sua conoscenza ho iniziato, un paio di giorni fa, a commentare dei post in rete sulle questioni dello ius soli e dell’accoglienza, utilizzando frasi volutamente esplicite per vedere cosa succedeva.

Ovviamente non dirò nelle bacheche di chi ho lasciate le mie riflessioni, e neppure i nomi di chi mi ha risposto, mi piace essere rispettoso della sfera privata altrui (alla faccia dei social…), mi limiterò a riportare il senso delle fulminanti risposte ai miei commenti.

Sullo ius soli mi ha colpito una risposta che mi ha lasciato stupìto: “gli stranieri che sono nati ed hanno studiato in Italia arricchiranno i cromosomi dell’italica stirpe”…potremmo definirla tesi bipartisan fascistico-cromosomica… forse il mio interlocutore confidava nell’apporto di geni esterni per rafforzare quelli degli italici camerati, pardon!, degli italiani doc.

Caso isolato di linguaggio sopra la media: gli altri commenti, come potete ben immaginare, andavano da “rispediamoli tutti a casa loro”, “vengono a rubarci il lavoro e portare le malattie”, e via di questi passo (sempre per pudore ho edulcorati aggettivi e vocaboli irripetibili e non proprio adatti nel definire esseri umani); vani sono stati i miei tentativi di rammentare a questi difensori strenui dell’italica razza che noi stiamo rovesciando sui profughi (per favore, chiamiamoli con il nome giusto, non sono esattamente persone che hanno deciso volontariamente di andarsene da casa loro) le accuse che altri lanciavano ai nostri bisnonni emigrati magari in Germania o negli States, non c’è stato nulla da fare…cervici dure come un manganello!

Non è andata meglio con l’argomento dell’accoglienza, anzi: qui gli eroi del web si sono scatenati con commenti del tipo “gli stranieri stanno sostituendo gli italiani” (e dire che la percentuale di immigrati in questo momento arriva a malapena all’1%), “dalle tue parole si vede che sei un Pdiota” (il PD perse il mio voto quando ancora aveva un altro nome e 18 anni fa votò a favore dei raid aerei su Belgrado e Mostar spacciandoli per missioni di pace…), fino ad arrivare a minacce quali “la gente si è rotta…(etc.), spera di non incontrarmi (e subito dopo un bellissimo insulto, sempre irripetibile) perché altrimenti proverai di persona un comportamento incivile”.

Conclusione tratta da una esperienza illuminante: prima di parlare del fascismo in senso politico dovremmo considerare l’atteggiamento mentale da cui scaturisce. L’atteggiamento di esclusione intollerante che di istinto vuole l’eliminazione fisica (altro che metodi non violenti, come mi ha detto qualche ingenuo ragazzo a scuola, sedotto dal dux mea lux…) di chi potrebbe rappresentare un pericolo per la tua condizione sociale ed economica (la guerra tra poveri, insomma), e la profonda preoccupazione per chi abbocca a queste idee (e la rete sta diventando sempre più pesante).

Si, perché se quelli che dicono “spariamo ai barconi” ragionano con la pancia invece di usare il cervello ed il cuore (leggi: senso dell’umanità) chi propaganda questi pseudo ideali è intelligente, e parecchio, al punto tale da confezionare bugie seduttive che – come diceva un certo Goebbels, ministro della propaganda nazista – ripetute mille volte (e sappiamo bene come i fake si diffondano e si duplichino velocemente in Rete) diventano vere.

Ciao a tutti.

Riccardo Infantino

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domenica 16 Luglio 2017

Anche questa domenica due riflessioni di nostri iscritti, Riccardo e Maria.

LA PACE questa sconosciuta anzi, conosciuta per giustificare le azioni di intervento contro paesi esterni ritenuti nemici alla libertà e amici al terrorismo internazionale, La propaganda utilizzata per convincere che si sta facendo una cosa necessaria.

LA PROPAGANDA appunto, il fascismo se ne e enormemente servito negli anni del regime, e una Repubblica antifascista deve difendersi da qualsiasi attacco propagandistico di una dittatura che ha condotto in miseria e alla guerra il popolo italiano. Ben vengano le leggi antifasciste e il paragone con il comunismo non regge, il fascismo è  stato la rovina del popolo italiano.

L’eterna guerra contro l’-ismo

InfantinDa buon iscritto (spero non indegnamente) all’ANPI voglio stavolta essere completamente partigiano, nel senso che esprimerò una posizione di parte, la parte della pace come opposto della guerra, non come assenza di conflitti garantita magari da forze militari in perenne condizione di preallarme.

Dopo il termine della seconda guerra mondiale nasce, come è noto a tutti, l’ONU, con lo scopo dichiarato di evitare nuovi conflitti al genere umano, e nel 1949 viene redatta e sottoscritta la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (che, detto per inciso, è la base portante di Amnesty), che avrebbe dovuto inaugurare, si disse all’epoca, una nuova era di pace e benessere per tutto il pianeta.

Cosa non ha funzionato, dunque?

È ancora noto a tutti che dopo la divisione di una parte del mondo in blocco occidentale e blocco orientale ci furono prima la guerra di Corea e poi la anche troppo citata guerra del Vietnam, sulla quale varrebbe la pena di spendere qualche parola.

Come ci ricorda Hanna Harendt in una sua opera non molto nota, La menzogna in politica, il conflitto vietnamita venne preparato (come è per tutte le guerre) da una azione propagandistica a largo raggio: si trattava di andare a difendere gli interessi americani da un nemico che poteva essere pericoloso (e dopo di lui c’era la terribile Cina di Mao).

Il conflitto, lo sappiamo, durò dieci anni, e segnò in modo indelebile la coscienza dell’americano medio; a mano a mano che i morti aumentavano, e veniva ordinato alla CNN di non mostrare più le immagini dei sacchi di palstica contenenti i cadaveri di chi era convinto di andare a morire per il bene del proprio paese, diventava sempre più arduo per il Pentagono convincere la nazione della necessità inevitabile di questo conflitto; alla fine gli addetti alla propaganda non riuscirono a trovare altra giustificazione che quella della guerra al comunismo, che rischiava di allargarsi ed attaccare, per poi distruggere, la “libera” società occidentale.

Veniamo all’11 settembre 2001 ed all’”attentato” alle Torri Gemelle (il virgolettato, di cui mi assumo la responsabilità, è dovuto al fatto che quella tragedia è piena di incongruenze e spiegazioni quanto meno illogiche dei fatti, come risulta dai documenti ufficiali delle commissioni di inchiesta governative e delle associazioni delle vittime, grazie alle quali sono saltate fuori contraddizioni a dir poco significative): subito dopo il massacro di 2500 innocenti (si, perché alla fine sono stati solo loro a rimetterci) l’allora presidente Bush Jiunior dichiarò aperta la Guerra Infinita al terrorismo Globale (sono parole sue).

Non c’è bisogno di essere un iscritto alla nostra associazione per capire come una guerra di cui non si vede la fine è iniziata e proseguita con lo scopo di erodere un po’ alla volta i diritti umani fondamentali (non si può garantire la liberta del cittadino in tempi di emergenza terrorismo, giusto?); se poi viene appoggiata da una propagamda incessante e ben congegnata sui mainstream il consenso popolare dovrebbe essere assicurato, in tutto l’Occidente bersaglio di attacchi ieri come oggi…

Un momento, questa è un’altra guerra contro un -ismo…il mio cervello purtroppo macina in continuazione, e pensa: non è che siamo di fronte ad un nuovo “conflitto” (il virgolettato è sempre mio, come sopra) funzionale ad altro, ad esempio alla sostituzione delle garanzie costituzionali più elementari con una politica securitaria e di controllo giustificata dalla sempre incombente possibilità di attentati, cosa probabile dopo l’11 settembre 2001?

Il fascismo si resse su di una emergenza costruita che durò venti anni, e per una di quelle strane coincidenze della Storia (quella che, cantava De Gregori, dà torto o ragione) ormai dal 2001 di anni ne sono passati quasi sedici; vuoi vedere che allo scadere del ventennio verrà fuori una verità molto diversa da quella che viene martellata dopo ogni attentato?

Essere antifascisti significa anche non farsi ingannare da una comunicazione guidata e sponsorizzata così generosamente da generare telegiornali che sono praticamente identici tra di loro, e lavorare, come ci raccomandarono i Padri della Resistenza (che consegnarono subito tutte le armi appena concluso il conflitto), per un presente di pace vera, non di intervallo tra due guerre.

Riccardo Infantino

 

Apologia del fascismo

Non vorrei che si scadesse nella strumentalizzazione di qualsiasi legge solo perché proposta dal PD (penso che Il PD abbia sbagliato tutto o quasi e continuo a pensare che dobbiamo mandarli via… PUNTO).

Questo però non voglio che influenzi la mia riflessione sull’ultima proposta di legge volta ad inasprire la pena per reati che riguardano l’apologia del fascismo presentata da Emanuele Fiano (Suo padre si chiama Nedo Fiano, sopravvissuto alla deportazione nazista nel campo di concentramento di Auschwitz… e questo è un fatto)

La proposta di legge di Fiano si chiama “Introduzione dell’articolo 293-bis del codice penale, concernente il reato di propaganda del regime fascista e nazifascista”. La proposta ha un unico articolo e dice:

«Nel capo II del titolo I del libro secondo del codice penale, dopo l’articolo 293 è aggiunto il seguente:

Art. 293-bis.(Propaganda del regime fascista e nazifascista). – Chiunque propaganda le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero delle relative ideologie, anche solo attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne richiama pubblicamente la simbologia o la gestualità è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.

La pena di cui al primo comma è aumentata di un terzo se il fatto è commesso attraverso strumenti telematici o informatici».

La proposta vuole dunque introdurre nel codice penale una nuova fattispecie relativa al reato di propaganda del regime fascista e nazifascista. Sono già in vigore delle leggi in materia, la numero 645 del 20 giugno 1952 (la cosiddetta legge Scelba) e la numero 205 del 25 giugno 1993 (la cosiddetta legge Mancino). L’obiettivo della proposta vuole però delineare una nuova fattispecie che consenta di colpire solo ALCUNE CONDOTTE CHE CONSIDERATE INDIVIDUALMENTE NON RIENTRANO NELLE NORMATIVE GIÀ ESISTENTI.

Nella presentazione della proposta si dice per esempio che «la legge Scelba colpisce a vario titolo le associazioni e i gruppi di persone volti a riorganizzare il disciolto partito fascista e in particolare la costituzione di un’associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque che persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista (…). Tuttavia, sembrano sfuggire alle maglie di queste fattispecie di reato comportamenti talvolta più semplici o estemporanei, come ad esempio può essere il cosiddetto saluto romano che, non essendo volti necessariamente a costituire un’associazione o a perseguire le finalità antidemocratiche proprie del disciolto partito fascista, finiscono per non essere di per sé solo sanzionabili». A marzo del 2015, per esempio, il tribunale di Livorno aveva assolto quattro tifosi veronesi ripresi durante una partita mentre facevano il saluto romano. Il giudice, dopo aver ricostruito il quadro storico in cui erano state approvate la legge Mancino e la legge Scelba, aveva ritenuto che il fatto non costituisse reato in quanto ai fini della sussistenza dello stesso era imprescindibile che il comportamento censurato determinasse un pericolo concreto e attuale di riproposizione di quei movimenti. Insomma, il «gesto in sé» non costituiva reato.

I rappresentanti del M5S hanno depositato il loro parere contrario in commissione: il documento, quello fotografato e pubblicato su Facebook da Fiano, parla apertamente di provvedimento «liberticida» perché restringerebbe la libertà di opinione. Il timore del M5S è cioè che la legge faccia diventare penalmente rilevanti anche «condotte meramente elogiative, o estemporanee che, pur non essendo volte alla riorganizzazione del disciolto partito fascista, siano chiara espressione della retorica di tale regime, o di quello nazionalsocialista tedesco».

http://www.ilpost.it/2017/07/10/m5s-legge-apologia-fascismo/

Scusate ma ciò è paradossale e chiaramente strumentale…

andava votata la legge PUNTO.

Maria Chetta

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domenica 9 Luglio 2017

InfantinSulla libertà di stampa ed il diritto alla segretezza delle fonti

Confesso che sono seriamente preoccupato per il progressivo trasformarsi della democrazia del nostro paese in democratura (dittatura travestita da democrazia, tirannia soft, insomma), visti gli sviluppi della vicenda di Marco Lillo, il giornalista de Il Fatto Quotidiano.

Il giornalista stava conducendo un’inchiesta sul caso CONSIP, la ben nota vicenda legata alla società attraverso la quale la PA acquista beni e dispositivi necessari al proprio funzionamento, ed avendo osato parlare dell’indagine e del conseguente arresto di Alfredo Romeo, imprenditore accusato di aver corrotto un dirigente della CONSIP stessa , è stato raggiunto da una querela.

Fino a qui nulla di strano, dato che l’Italia è il paese delle citazioni in giudizio, ma il 6 giugno sono state effettuate una serie di perquisizioni – da premettere che Marco Lillo non è iscritto in nessun registro degli indagati, né ha ricevuto alcun avviso di garanzia – ad opera della Guardia di Finanza con successivo sequestro di materiali (telefoni, hard disk e personal computer) – alcuni dei quali restituiti – di proprietà del giornalista e di due suoi colleghi, Fabio Corsi e Federica Sciarelli, che poco o nulla avevano a che fare con il lavoro di Lillo.

Il resoconto della perquisizione è descritto nell’articolo de Il Fatto Quotidiano del 6 giugno 2017; per avere un riscontro in altre fonti sono andato a vedere cosa diceva la FNSI, la Federazione Nazionale Stampa Italiana: si parla di “una azione dai chiari contorni intimidatori“, e tutto questo a séguito di una querela per diffamazione presentata dai legali di Romeo (…).

Una delle caratteristiche principali della professione di giornalista è la disponibilità delle fonti, e la facoltà di farle restare anonime, per ovvie e comprensibili motivazioni di sicurezza e di etica professionale; se così non fosse sarebbe vanificato il diritto alla libera informazione, come è dichiarato nell’articolo 21 della Costituzione e nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (sottoscritta anche dall’Italia…) all’articolo 19.

Detto in altri termini si è proceduto contro Lillo (ed alcuni suoi colleghi) per la querela di un imprenditore agli arresti, come se si volessero porre dei limiti alla sua indagine (non aprire quella porta, insomma).

Sempre spinto dal desiderio di verificare su fonti diverse sono andato a vedere quello che scrive il Corriere della Sera (un giornale non propriamente rivoluzionario, direi), e Virginia Piccolillo, autrice dell’articolo, intervistando Lillo ci informa del “coinvolgimento” del padre del giornalista (un signore di novantasei anni…) e soprattutto dell’equilibrio con cui ha raccontata la vicenda: nessun rancore contro le procure di Roma e Napoli e tantomeno contro i finanzieri che si sono mostrati corretti e professionali; un dubbio è stato sollevato: perché al padre di Lillo e non al padre di Renzi, indagato per lo scandalo CONSIP?

Il libro Di padre in figlio, il risultato del lavoro di inchiesta, potrebbe essere considerato censurabile?

A questo punto mi pongo seriamente il problema.

Riccardo Infantino

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domenica 2 Luglio 2017

Anche questa Domenica Riccardo ci aiuta a capire meglio come il fascismo si nasconde e anzi nemmeno più di tanto nei tantissimi siti che si trovano in rete e con il culto della razza stia minando lo ius soli sul diritto di nazionalità ai figli degli immigrati nati in Italia.

Gabriele sposta la nostra attenzione su una riforma molto triste che purtroppo, diventando legge dello Stato, ha stravolto in peggio la già delicata situazione dell’Istruzione. Se si vuole risollevare la scuola bisogna togliere di mezzo in toto la Legge. Altrimenti guardiamoci Studio Sport.

 

Razionalità, bontà e senso della razza

 

InfantinNella mia attività di cyberantifascista (perdonate l’ardito neologismo, ma se l’antifascismo va dove ci sono i fascisti la Rete è, senza dubbio, un luogo ottimale per i nostri scopi) vedo – e visito, sempre per conoscere meglio chi si deve contrastare – più di una pagina che va dal dichiaratamente “a noi!” all’allusiva indicazione (prima gli italiani, attenzione alle malattie che potrebbero arrivare in Italia e via di questo passo).

L’ANPI ha individuate almeno 500 pagine web di ispirazione più o meno dichiaratamente fascista, ma non voglio parlare di un lavoro che altri hanno compiuto molto meglio di me; come altre volte condivido con tutti voi la mia esperienza di cybernauta ed antifascista di Rete.

Parto dalla favoletta del fascismo buono, quella che dice che si, è vero, Mussolini ha perseguitati gli oppositori, portata l’Italia in una guerra rovinosa e via discorrendo, ma ha anche create strade e città, risollevate le condizioni di un popolo stremato dalla fame e dalla disoccupazione, bonificate le paludi, create le pensioni (?…) ….

Lascio ad altri la smentita di queste considerazioni, perché nella riflessione di oggi vorrei concentrarmi su una delle componenti fondamentali dell’atteggiamento mentale fascista, il senso della razza: noi Italiani (Italici…) siamo un popolo civile che è andato in Abissinia, Libia ed Eritrea a civilizzare tanti Faccetta nera…evvabbuò!

Saremmo dunque stati una razza superiore, allora, più civile; stando a quello che è uscito fuori sui vari stermini di massa perpetrati da Rodolfo Graziani (che il macellaio di Etiopia era chiamato per questo) proprio no, e dunque?

Il culto della razza (volutamente non uso il vocabolo razzismo) non presenta, se non in casi estremi, manifestazioni eclatanti tipo Ku Klux Klan o “negri di m…” “musulmani terroristi”, “maledetti ebrei” (mai passato di moda, ahimé), stranieri incivili e massacratori di donne e bambini (…).

Come mi è capitato proprio ieri leggendo una pagina web del gruppo Azione Identitaria il culto della superiorità della razza (italica) è travestito da considerazioni umanitarie ed economiche; mi riferisco in particolare alla polemica sullo ius soli, che ormai in troppi utilizzano come arma di propaganda sulla pelle di chi vuole solo salvarsela e ricominciare da capo in un altro paese.

Nella pagina in questione (qui il link) si prospettano conseguenze rovinose se venisse applicato lo ius soli: No ai nuovi negrieri è scritto, perché l’assunzione della cittadinanza italiana da parte di un numero non precisato di immigrati fornirebbe mano d’opera sfruttabile in Italia invece che nelle ex colonie, perché le donne incinte del Terzo mondo sarebbero spinte a venire qui da noi per i propri figli rischiando la morte in mare, perché l’impatto di milioni di africani su di un paese problematico come il nostro avrebbe conseguenze imprevedibili.

Non voglio dilungarmi su come smontare queste argomentazioni che seguono, devo dirlo, un percorso razionale e sono presentate come verificabili, ma non reggerebbero alla prova dei fatti (gli africani in arrivo non sono milioni, ma arrivano appena allo 0,4 % della popolazione totale del nostro paese, altro che invasione…), solo faccio notare come in maniera insidiosa la concezione che italiani si nasce e non si diventa, la mancata integrazione legata al terrorismo in Francia e Germania (cito sempre la pagina di Azione Identitaria) e soprattutto le motivazioni “umanitarie” forti che respingono lo ius soli, paventando una balcanizzazione (ma non era una islamizzazione?), in quanto legge – cito testualmente – razzista, suprematista e neocolonialista, sono la faccia pulita del sentimento razziale.

Ci si è dimenticati che le migrazioni sono il motore della Storia e della civiltà, e che gli occidentali ideali di Liberté – Egalité – Fraternité (siamo vicino al 14 luglio) sono stati elaborati quando un quarto degli uomini schiavizzava e sfruttava tutto il resto dei propri simili, e che solo nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1949 è crollata (almeno nei princìpi) la barriera Occidente colonizzatore – Resto del mondo colonia civilizzabile e sfruttabile.

Mi viene in mente il ladro di professione che dice al comune uomo della strada di non azzardarsi a rubare….

RICCARDO INFANTINO

 

Era meglio Studio sport

 

L’una e dieci, su Italia uno c’è Studio sport ma se poco poco ti sbagli viri sul sette e ti trovi davanti la MINISTRA DELL’ISTRUZIONE: “penso che un insegnante debba arrivare a prendere tremila euro al mese, ovviamente non da subito, ma va assolutamente elaborato un piano di avvicinamento a questo tetto”.

Intanto tolga la buona scuola, via l’aziendalismo dei ruffiani, le promozioni “regalate”, l’obbligo di mille valutazioni tutte finte e sufficienti, via la burocrazia, via i ricatti, via una forma subdola di lavoro gratuito, via gli incentivi alle lingue più efficienti, via i concorsi truffaldini, i corsi-farsa per acquisire punteggi, basta con le classi pollaio, alla minaccia dei ricorsi, all’isolamento ricattatorio tra l’incudine della dirigenza e il martello di troppi genitori che brigano solo a strappare promozioni.

Insomma prima si toglie questa legge ingiusta, chiedendo scusa per tutte queste tristissime vicende … Tremila euro al mese quando un barista fatica a prenderne ottocento… Il modo giusto per metterci contro tutti, mentre intanto non ne prendiamo neanche mille e quattro…

Insomma era meglio Studio sport.

GABRIELE BUSTI

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domenica 25 Giugno 2017

Caro Professore, in questo Comitato Provinciale  resterai sempre nei nostri cuori e nelle nostre menti.

Mentre ripesco un filmato che ho condiviso su Facebook per l’articolo di questa domenica mi imbatto nella notizia (appresa da Repubblica e da Il Fatto quotidiano) della morte di Stefano Rodotà.

Resto un momento senza fiato…muore un partigiano della Costituzione e dei diritti innati dell’uomo, talmente al passo con i tempi, con i suoi 84 anni, da presiedere una commissione per il Diritto alla Connessione, che garantirebbe a tutti la pluralità e la libertà di espressione ed informazione tipica del web.

Parlavo poco fa con Piero Belli, e gli scrivevo (eravamo in chat) di come ho sentito parlare Rodotà in alcune manifestazioni, in particolare quella contro la legge bavaglio: lo vedo nella piazza di Montecitorio – manifestazione autorizzata, ma non era stato concesso uno straccio di palco con un minimo di amplificazione (la censura ha molto facce) – salire su una cassetta di frutta e parlare a braccio a tutti noi, che lo ascoltavamo praticamente ad un metro di distanza.

Oppure alla Facoltà di Fisica, discutere con gli studenti della libertà del web, accanto al giornalista Alessandro Giglioli ed ai ragazzi che gestiscono il sito OpenPolis.

Tante volte ho citate le sue riflessioni e le sue azioni ai miei ragazzi a scuola, perché sono il nostro futuro: il diritto di avere diritti, il principio irrinunciabile di accesso alla connessione, la difesa della Carta Costituzionale…chissà, magari una scintilla sua in loro sta crescendo.

Avverto in me la sensazione di non essere più libero come prima.

Altro non voglio dire, se non grazie per la tua opera, professor Rodotà.

Riccardo Infantino

 

Ciao, professor Rodotà, saresti stato un ottimo Presidente, forse… Niente è certo, ma io, per lo meno, mi sarei sentito meno lontano da tutta questa gente.

Ricordo che ci rimasi molto male, in quei giorni, a vedere come ti trattavano coloro che per vent’anni s’erano fregiati del tuo bel nome in lista. E mi sembrò meschino anche chi, pochi mesi più avanti, ti scaricò come un ferro vecchio dopo averti tirato per la giacchetta…

Intanto qui si continua a servire, riverire e omaggiare chiunque usi con cinismo quel po’ di potere che si ritrova, il teorema della ricattabilità regna ancora incontrastato: se non hai scheletri nell’armadio non sei riscattabile e nessuno ti metterà mai nei posti di comando, che infatti sono pieni di squali e di mediocri. Un sistema perfetto per cacciare via tutte le persone libere, talentuose e competenti.

Io però non mi ci arrabbio più e non accendo quasi più la televisione.

Comunque ciao ancora e grazie di tutto.

Gabriele Busti

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domenica 18 Giugno 2017

Oggi riportiamo due riflessioni sul fascismo una di Riccardo e l’altra di Gabriele in un post su facebook relativamente alla vile aggressione  del branco ai danni di un loro coetaneo accaduta alcuni mesi fa qui nel centro storico di Viterbo che pare non sia per motivi politici, ma la dinamica del branco richiama azioni di tipo squadrista.

Una delle forme contemporanee del fascismo

InfantinForse ciò che sto per dire risulterà criticabile e non condivisibile, ma dato che il trovarmi nell’ANPI ormai da alcuni anni mi ha raffinate le percezioni nel riconoscere cosa sia il fascismo vorrei condividere con voi tutti questo mio pensiero.

Analogamente al vocabolo “democratura” (dittatura sotto mentite spoglie di democrazia” è stato coniato un paio d’anni fa un altro interessante neologismo, fascismo bancario.

Mi sono tornati alla mente leggendo proprio in questi giorni lo studio della giornalista Naomi Klein sulla shock economy: una catastrofe naturale o provocata volutamente destabilizza completamente una popolazione di un paese, la annienta e la stacca dal proprio passato, praticamente un foglio sbiancato su cui si può scrivere qualsiasi cosa.

L’esempio più eclatante è stato lo tsunami del 2004, che ha rasa al suolo una parte del Sud Est asiatico,e che una volta passato non ha aperte le porte alla ricostruzione delle abitazioni civili, ma dei villaggi turistici realizzati dai più grandi colossi dell’edilizia mondiale (guarda caso si trovano negli USA…); con il terremoto aquilano abbiamo assistito alla stessa cosa: un anno dopo il sisma sono stato a L’Aquila, e mentre parlavo con la gente che viveva ancora nei container e nelle casette mi è stato fatto osservare con quale prontezza è venuto su dal nulla un centro commerciale molto prima delle abitazioni, sempre “grazie” ad una società leader nel settore delle costruzioni.

In entrambi i casi queste soluzioni sono state presentate come le uniche possibili, non ce n’erano altre valide, occorreva fare così per ricominciare una nuova epoca dopo il disastro…

Il neoliberismo funziona esattamente così: di fronte ad un terremoto, ad una emergenza terrorismo senza fine (ricorda qualcosa?), l’unica alternativa è quella di abbandonare le antiche abitudini e gli antichi diritti (come si possono garantire i diritti umani fondamentali se ogni volta che prendiamo la metro rischiamo di saltare in aria?) per far posto ad una nuova società basata sulle inevitabili ed assolutamente necessarie politiche di sicurezza e di controllo.

Sono aumentate esponenzialmente le vendite di sistemi di sorveglianza a circuito chiuso, perché così si è più sicuri, come sono lievitate le spese militari per la “guerra al terrorismo”, assolutamente necessaria per la sopravvivenza del mondo.

Tutta questa paranoia securitaria produce solo guadagni per le banche proprietarie delle industrie di armi e dispositivi di sorveglianza, che vengono immessi sul mercato con la certezza che cambieranno in meglio la vita di chi li acquisterà.

Fascismo bancario: in un paese in cui regnano disoccupazione, criminalità e terrorismo non c’è altra via che farsi guidare da un pugno di uomini eletti che hanno il polso ed i mezzi per contrastare tutto questo (certo a loro vantaggio, un dettaglio secondario).

In tutti i filmati dell’Istituto Luce Mussolini così si presentava: la grande figura che si accollò il peso di una Italia allo sfacelo e la rese una nazione felice e prospera (…), inaugurando la altrettanto prospera e felice Era Fascista, iniziata nell’ottobre del 1922 con la Marcia su Roma, al punto da aggiungere alla data tradizionale quella in numeri romani.

Il vero fascismo, ci ricorda Pasolini, è il mercato che ha azzerata la cultura dei nostri padri e ci ha resi tutti eguali (stavo per dire uniformi come i Balilla) perché compratori seriali di una nuova epoca.

Non sarà che anche presentare come inevitabile (e saranno dolori per chi non obbedirà) una scarica di dodici vaccini in un sistema immunitario di un bambino di nemmeno tre anni ,a livello di massa, sia anche questa una forma di fascismo (bancario)?

Riccardo Infantino

 

Busti

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domenica 11 Giugno 2017

Infantin

Pier Paolo Pasolini resistente

Una illuminante (e molto estesa…) citazione da Pier Paolo Pasolini, tratta dalla pagina Facebook Pasolini eretico e corsaro (citazione della quale ho richiesta la fonte esatta), su come si diventa antifascisti in un paese apparentemente “normale”, ma repressivo nella sostanza:

No, perché ero nato nell’era fascista, in un mondo fascista, e non mi accorgevo del fascismo, come un pesce non si accorge di trovarsi nell’acqua. Questo, quando ero bambino. Ma verso i quattordici-quindici anni smisi di leggere racconti d’avventura e di recitare le mie avemarie; diventai agnostico e incominciai a coltivare le prime ambizioni letterarie; mi diedi alla lettura dei primi autori seri, Dostoevskij e Shakespeare. Contemporaneamente si manifestò una frattura fra me e la società, ma il mio antifascismo era di carattere esclusivamente culturale. Non appena ebbi cominciato a leggere autori come Dostoevskij e Shakespeare, e poi poeti come Rimbaud e gli ermetici, esponenti di una cultura che il regime disapprovava e respingeva, mi sentii al di fuori della società (o fui io che cominciai inconsciamente a sfidarla). Fu la conseguenza dell’aver letto quei poeti. Come per i contadini e per il friulano, mi ci volle solo un momento per rendermi conto di essere all’opposizione. Inizialmente, la mia opposizione era qualcosa di ingenuo, si poneva solamente sul piano delle idee; pensavo che fosse giusto e normale discutere le cose e quando parlavo di qualche argomento letterario in pubblico, ai GUF o a qualcuna di quelle riunioni pseudoculturali che i fascisti organizzavano di tanto in tanto, discutevo apertamente e ingenuamente, senza nemmeno capire che era un atto di ribellione. Poi, man mano, me ne resi conto e passai dalla parte della Resistenza.

Riccardo Infantino

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domenica 04 Giugno 2017

Vignanello 6/8 giugno 1944

Il 5 giugno il paese di Vignanello comincia ad essere attraversato da reparti tedeschi in ritirata. Durante la ritirata alcune bande partigiane cominciano ad agire attaccando reparti di passaggio. Un camion viene attaccato all’ingresso del paese. Un altro camion e una moto con sidecar vengono fermati nei pressi del paese. I tedeschi vengono disarmati e costretti ad allontanarsi. Il primo italiano viene ucciso da una pattuglia tedesca che lo sorprende nel pomeriggio del 6 alla guida della moto. Nelle ore successive un reparto tedesco passa per il paese scortando dei militari americani prigionieri. Dei civili lanciano cibo e sigarette ma alcuni di loro vengono colpiti da raffiche di mitra sparate dai soldati di scorta. Nella notte tra il 6 ed il 7 il gruppo partigiano “Carosi” attacca il comando tedesco di Casale Nesbit (presso l’aeroporto di Piedilupo) disarmando e mettendo in fuga i militari tedeschi. L’attacco causa due morti tra i tedeschi. All’alba del 7 altri partigiani attaccano il campo di aviazione di Piedilupo, causando altri morti tra le truppe tedesche.

Il 7 giugno reparti delle SS entrano in paese ma vengono accolti da alcuni partigiani che piazzati sulla torre campanaria sparano ferendo un milite. Poco dopo il gruppo di fuoco partigiano viene eliminato con l’ausilio di una autoblinda, mentre altri reparti di SS entrano in paese cominciando un vasto rastrellamento che porta alla fucilazione di 32 persone. Gli ultimi caduti vengono uccisi il giorno 8.

Con queste parole Amedeo Osti Guerrazzi, storico e curatore della pagina di Vignanello nell’Atlante delle Stragi naziste e fasciste analizza l’accaduto.

 

Ogni volta che si deve parlare di una strage presso una comunità che ha subito una violenza così bestiale, ci si trova sempre in gravi difficoltà. Anche se sono passati ormai più di settanta anni, per un paese come Vignanello la morte di decine di persone rappresenta una ferita che neanche i decenni possono rimarginare. La paura quindi di ferire sentimenti profondi, di toccare dei tasti ancora dolenti, rende gli storici estremamente cauti. Ma lo storico ha anche il compito di cercare di comprendere i fatti di allora, senza tentare di dare giudizi morali o di scadere nell’apologia. Se ha un senso il lavoro dello storico, è quello di tentare di capire le cause che portano a tali crimini e a tali sofferenze.

Per capire la strage del giugno 1944 bisogna allora cercare di capire prima di tutto il contesto in cui è avvenuta.

Una comunità pacifica, lontana dal fronte di guerra. Un territorio tutto sommato non ancora pesantemente toccato dal conflitto. Una situazione che si può definire tranquilla, ed ancora più tranquilla alla fine della primavera del 1944, quando oramai i tedeschi sono in ritirata e gli Alleati sono alle porte. Sicuramente per i cittadini di Vignanello, in quei giorni, il sentimento più forte era la gioia per l’imminente fine di ogni sofferenza e di ogni ansia. Stavano per arrivare gli americani e, con essi, la pace. Quindi fine della paura, fine della fame, fine di un periodo che sembrava interminabile.

E’ ovvio che per la maggior parte dei cittadini l’unica preoccupazione è che i tedeschi in ritirata passino senza fare danni; che non ci siano saccheggi, stupri o violenze di qualsiasi tipo. Questo però non basta alle bande partigiane che operano in zona, che invece intendono attaccare i soldati tedeschi. I fatti sono noti. Le prime scaramucce avvengono il 6 giugno, e culminano nell’attacco al paese da parte di un reparto tedesco che, oltre ad occupare Vignanello, attua un vasto rastrellamento che culmina con la fucilazione di decine di civili.

Che scopo hanno avuto le azioni partigiane? Qual è stata la logica della reazione dei militari tedeschi?

Ovviamente in questi casi bisogna procedere per ipotesi, data la mancanza di fonti dirette, ma il contesto generale permette di proporre alcune idee.

Cominciando dai partigiani; l’attacco aveva lo scopo principale di dare un contributo alla lotta complessiva di liberazione di tutto il territorio nazionale. Era ovvio che in breve almeno il centro Italia sarebbe stato abbandonato dalla Wehrmacht, ma questo non voleva assolutamente dire che la guerra sarebbe finita in tempi brevi anche per la parte settentrionale. Non attaccare i tedeschi, per quanto con azioni limitate, avrebbe voluto dire semplicemente rifiutarsi di combattere, lasciando poi il problema alle popolazioni dei paesi più a Nord. Nel contesto generale della guerra di Liberazione, permettere a reparti tedeschi di ritirarsi intatti avrebbe voluto dire permettergli di proseguire il conflitto senza aver ricevuto perdite in uomini e materiali. Una ritirata tranquilla, senza scontri, avrebbe permesso alle truppe di Hitler di riordinarsi e di riprendere fiato senza troppi problemi, per attestarsi più a settentrione. In sintesi, non combattere avrebbe voluto dire estraniarsi volontariamente dallo sforzo complessivo che il paese stava facendo per cacciare gli invasori. Una scelta facile, sicuramente, una scelta saggia, che avrebbe permesso di evitare lutti e distruzioni, ma certamente non particolarmente coraggiosa.

Per i tedeschi invece la situazione era totalmente diversa: si trattava di un esercito sconfitto, in ritirata, gonfio di frustrazione e di rabbia.

La frustrazione proveniva da una battaglia persa, che aveva dimostrato lo strapotere delle forze armate alleate, ma anche dalla fatto che i comandi non avevano alcuna intenzione di arrendersi, nonostante tutto. I soldati tedeschi si trovavano intrappolati in un paese ostile, pullulante di partigiani, sottoposti agli incessanti attacchi aerei dell’aviazione alleata. Stavano risalendo una specie di collo di bottiglia, la Penisola, con poche strade, quasi sempre montagnose, facilmente interrompibili da una qualsiasi pattuglia partigiana. Ai soldati in ritirata bastava incontrare una interruzione stradale, un ponte danneggiato, per perdere il contatto con il proprio reparto e rimanere esposti alle imboscate dei partigiani.

Non solo, ma alla frustrazione ed alla paura si aggiungeva anche la rabbia e l’odio nei confronti del popolo italiano. Un popolo che aveva tradito con l’armistizio dell’otto settembre e che continuava a tradire attaccando alle spalle con la guerriglia. Un popolo considerato razzialmente inferiore, e che però continuava a combattere mettendo in seria difficoltà il “popolo signore” e il suo esercito.

Infine bisogna tenere conto degli ordini provenienti dagli alti comandi della Wehrmacht. Il Maresciallo Kesselring, comandante del fronte Sud, aveva dato praticamente carta bianca alle proprie truppe nella lotta antipartigiana. Qualsiasi atto di violenza, anche contro donne e bambini, non solo non riceveva alcuna sanzione, ma veniva spesso anche approvato.

Bastava un niente, un qualsiasi atto considerato ostile dai soldati, per scatenare una violenza terribile anche contro la popolazione civile.

Il messaggio doveva essere sempre estremamente chiaro. Qualsiasi tentativo di attaccare le forze armate tedesche doveva essere represso con la più spietata brutalità. Questo atteggiamento dichiaratamente offensivo e criminale lo si vede anche nelle vicende di Vignanello. Bastò che dei cittadini lanciassero del cibo a dei soldati americani prigionieri, perché la scorta reagisse sparando conto dei civili disarmati, provocando dei feriti.

In mezzo a questi due eserciti rimaneva la popolazione civile di Vignanello, il cui unico interesse era quello di sopravvivere, possibilmente senza troppi danni.

Ovviamente per i civili ogni violenza doveva sembrare assolutamente incomprensibile. Stupida e controproducente quella dei partigiani; criminale e irrazionale quella dei tedeschi. Chi ha perduto uno o più familiari, chi ha visto la propria casa distrutta, non può che recriminare contro chi ha causato il proprio dolore, e non può essere diverso. Vignanello è uno dei moltissimi casi di “memoria divisa”, ovvero di una comunità spaccata tra chi considera i partigiani dei folli, e chi li considera invece degli eroi. Si pensi, ad esempio, a quello che è successo a Roma, in seguito all’eccidio delle Fosse Ardeatine. I partigiani Bentivegna e Capponi, decorati con medaglie al valore e celebrati eroi della Resistenza, denunciati e costretti a difendersi in lunghissimi processi (civili e penali), davanti a tribunali di quella stessa Repubblica che hanno contribuito a far nascere.

Eroi per alcuni, pazzi criminali per altri.

Stranamente, però, quasi nessuno considera gli occupanti tedeschi come responsabili, oppure i fascisti, che dei tedeschi furono complici. La violenza della Wehrmacht o delle SS è considerata “normale”, “logica”, “razionale”. Che per un soldato ucciso in battaglia vengano trucidati dieci civili che non hanno nulla a che fare con lo scontro viene troppo spesso considerato normale.

E invece era la politica tedesca, gli ordini tedeschi, l’occupazione tedesca che non erano assolutamente normali. Il contesto in cui si svolse la strage di Vignanello è stato quello della guerra di conquista del III Reich, una guerra condotta per assoggettare l’Europa ad un regime folle e tirannico. La strage non fu altro che la “logica” (questa volta si), conseguenza di una politica che voleva un popolo di signori al vertice di una piramide di popoli schiavi. Fu in questo contesto che imbracciare le armi non fu una imprudenza, ma una tragica necessità.

Vignanello fu una delle migliaia di cittadine europee che subirono l’occupazione nazista, e che furono costrette a difendersi per liberarsene.

Soltanto ricordando la necessità della Resistenza, è possibile dare un senso ad un dolore che non sembra avere alcuna giustificazione.

bibliografia:  http://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=2212

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domenica 28 Maggio 2017

Voglio abbandonarmi a riflessioni spontanee e magari scollegate tra di loro, e vi prego di scusarmi per questo, ma ora la testa mi guida in questo modo.

Primo flash: democratura.

Il vocabolo è stato coniato un paio di anni fa, e l’ho trovato per la prima volta in un articolo de Il fatto quotidiano, a proposito di una dittatura travestita da democrazia (il lupo vestito da agnello, insomma); mi torna alla mente quella geniale definizione del dittatore moderno, che non ha più la mascella volitiva di Mussolini o il baffetto hitleriano, ma il volto sorridente del conduttore di un talk show televisivo.

 

Secondo flash (forse più pertinente con gli scopi dell’ANPI): fascismo bancario.
Si intende la pervasività delle banche non solo come erogatrici e padrone dei debiti che siamo costretti a fare per acquistare beni e servizi, ma come portatrici di un pensiero unico che vuole impossibile una qualsiasi economia al di fuori di quella (retta sulla compravendita di debiti e sul denaro inesistente) governata dagli istituti di credito.


Terzo flash: il fascismo, diceva Pasolini, non è solo il mussolinianesimo, ma il mercato che vuole renderci tutti uguali, compratori indifferenziati; aggiungerei che il fascismo è quella forma mentale che non prevede nessuna alternativa al di fuori di se stessa, e che presenta le altre come impossibili da realizzare o addirittura dannose

 

Quarto flash: i vari movimenti come Casapound e Forza Nuova sono solo la manovalanza di chi si presta ad usare la brutalità violenta a beneficio di qualcuno che ha l’abilità di indottrinare al punto di farti credere che l’unica via per sfuggire dalla crisi e dalla corruzione della politica sia, si diceva una volta, il santo manganello.

Mussolini definiva il totalitarismo come nulla al di fuori o al di sopra dello Stato, tutto dentro lo Stato; ora lo Stato è in via di dismissione, smantellato dal neoliberismo che si manifesta nel potere bancario…forse questo è il fascismo 2.0

Riccardo Infantino

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domenica 21 Maggio 2017

Oggi riportiamo due riflessioni una del nostro Presidente sul ricordo  e la partecipazione alla marcia di Barbiana. La seconda riguarda l’invito a leggere due articoli inviatici da Riccardo Infantino.
marcia-barbiana-istituzioni

L’Anpi di Viterbo alla marcia di Barbiana – 27 maggio 2017.

 

Sabato 27 maggio torna “La marcia di Barbiana” a Vicchio, nel Mugello: un’occasione per ripercorrere la strada verso il luogo che ospitò don Milani e la sua scuola e per tornare a riflettere sul suo insegnamento, tuttora attualissimo e capace di ispirare e orientare gli uomini di buona volontà,  a qualunque orientamento civile e/o religioso appartengano. Nell’insegnamento di don Milani la Costituzione era costantemente presente  e costituisce un punto di orientamento costante di tutti i suoi scritti. I ragazzi di Barbiana vedevano nella Costituzione non solo la legge fondamentale dello Stato, ma le indicazioni per la costruzione di una società nuova e diversa, capace di dare pari diritti e dignità a tutti.

A Barbiana è stato realizzato il Sentiero della Costituzione, definito “un libro di strada” perché lungo il tratto di strada nel bosco che fece don Lorenzo la prima volta che arrivò a Barbiana, sono stati posti 45 grandi pannelli che salgono fino alla scuola. Ogni pannello contiene un articolo della Costituzione Italiana illustrato con i disegni dei ragazzi di diverse scuole d’Italia.

Quest’anno, in occasione del cinquantesimo anniversario della morte di don Milani, e nel giorno in cui l’Anpi promuove in tutta Italia iniziative di contrasto giuridico, sociale e culturale “ai fascismi”, l’Anpi di Viterbo ha scelto di partecipare (come del resto già negli anni passati) alla marcia, con spirito di piena condivisione dei valori  che improntarono tutta l’attività educativa, civile e sociale  di un grande uomo ed un grande educatore.

Ci piace ricordare, in tale contesto, una celebre ed eloquente affermazione di don Milani contenuta nella storica “lettera ai giudici” del 1965 con la quale spiegava (ai giudici, appunto, che lo dovevano processare) le ragioni che lo spingevano a difendere gli obiettori di coscienza, assurdamente accusati di “viltà” da alcuni cappellani militari.

“In questi cento anni di storia c’è stata anche una guerra ‘giusta’ (se guerra giusta esiste). L’unica che non fosse offesa delle altrui patrie, ma difesa della nostra: la guerra partigiana. Da un lato c’erano dei civili, dall’altro dei militari. Da un lato soldati che avevano obbedito, dall’altro soldati che avevano obiettato.

Quali dei due contendenti erano, secondo voi, i ‘ribelli’ , quali i ‘regolari’?..”.

E’ pertanto a pieno titolo, con grande condivisione ed entusiasmo, che l’Anpi  (per la memoria ed i valori che rappresenta) parteciperà anche quest’anno alla marcia di Barbiana.  

Enrico Mezzetti

Presidente provinciale ANPI Viterbo

 

Altro contributo alla lettura  

 

Riccardo Infantino oggi ci ha mandato questo invito a leggere questi due articoli, i link sono qui sotto.

https://andreastaid.wordpress.com/2017/05/15/antropologia-di-casapound-una-conversazione-con-maddalena-gretel-cammelli/

e

http://contropiano.org/news/politica-news/2017/05/19/un-partito-dichiaratamente-fascista-ammesso-alle-amministrative-092067

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domenica 14 Maggio 2017

Sempre a proposito di fascismo(i) 2.0

Il neoliberismo è una forma di fascismo

Nessun testo alternativo automatico disponibile.Questo è il titolo (chiedo scusa per la mia pessima traduzione) di un interessante articolo della presidente del Sindacato Avvocati del Belgio), Manuela Cadelli, pubblicato su Le soir del 3 marzo 2016.

“Le libéralisme était une doctrine déduite de la philosophie des Lumières, à la fois politique et économique, qui visait à imposer à l’Etat la distance nécessaire au respect des libertés et à l’avènement des émancipations démocratiques. Il a été le moteur de l’avènement et des progrès des démocraties occidentales.”

(Il liberismo è una dottrina dedotta dalla filosofia dei Lumi, ad un tempo politica ed economica, che mirava ad imporre allo Stato la distanza necessaria per il rispetto delle libertà e all’avvento delle libertà democratiche; è stato il motore dell’avvento e del progredire delle democrazie occidentali)

“Le néolibéralisme est cet économisme total qui frappe chaque sphère de nos sociétés et chaque instant de notre époque. C’est un extrémisme.”

(Il neoliberismo è quella dottrina economica che infrange ogni sfera delle nostre società ed ogni momento della nostra epoca; è un estremismo.)

“Le fascisme se définit comme l’assujettissement de toutes les composantes de l’État à une idéologie totalitaire et nihiliste.”

(Il fascismo si definisce come l’assogettamento di tutte le componenti dello Stato ad una ideologia totalitaria e nichilista.)

Manuela Cadelli prosegue la sua analisi elencando i presupposti del neoliberismo:

– deformazione del reale e del linguaggio che lo esprime (Pasolini parlava di aziendalizzazione della lingua…)

– Culto della valutazione (o sei classificabile in base a quanto produci o sei fuori)

– La giustizia non tenuta in conto (guarda un po’…)

– Una casta al di sopra delle contese (ahi…)

– Ideale securitario (mi ricorda qualcosa…)

La via di uscita che viene proposta: “Le salut dans l’engagement” (la salvezza nell’impegnarsi).

Riccardo Infantino

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domenica 7 Maggio 2017

Leggittima difesa

Nessun testo alternativo automatico disponibile.Giovedì scorso la Camera ha approvata la legge che ridefinisce tempi, luoghi e modi della legittima difesa: non so se so non più sbalordito o rattristato.
Proprio in questi giorni, parlando ai miei ragazzi a scuola delle radici dell’Europa e della nostra Costituzione, ho fatto loro notare che tanto nel Manifesto di Ventotene che nel dettato costituzionale la parola “solidarietà” rappresenta un asse portante.
In effetti essere solidali con il proprio prossimo non collima precisamente con la possibilità di sparargli nelle ore notturne nel caso in cui tentasse d’introdursi in casa tua.
Sto notando come si tenda a confondere sempre di più il diritto di ognuno alla sicurezza con la possibilità di provvedere da soli alla propria incolumità…in altri tempi si sarebbe detto farsi giustizia da soli.
Se una legge simile dovesse passare anche al Senato l’effetto potrebbe essere devastante: furti e rapine nelle case avverrebbero di giorno, e tanto per stare tranquilli I ladri potrebbero provvedere ad usare loro le armi per primi, dato che sarebbe assai probabile “visitare” abitazioni nelle quali è presente un’arma da fuoco (scommettiamo che ci sarebbe una impennata nelle richieste dei permessi per il porto d’arma?).

 

Quando vennero liberate le città italiane dai nazifascisti, e per i fascisti  Calamandrei utilizzò la definizione di “cricca di delinquenti al potere”, I nostri padri partigiani ricevettero dai vari comandi l’ordine di deporre le armi, perché da quel momento la sicurezza dei cittadini sarebbe passata nelle mani della forza pubblica (non a caso poco dopo nacque la Polizia di Stato).

 

Spero tanto che questa assurdità venga bloccata in senato, potrebbe sfuggire di mano agli stessi che l’hanno proposta, magari per errore potrebbero essere presi a fucilate…

Riccardo Infantino

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domenica 30 Aprile 2017

Oggi riportiamo l’intervento del nostro Presidente avv. Enrico Mezzetti alla manifestazione svoltasi ieri 29 Aprile – VITERBO INSIEME PER LA PACE – Il video è stato girato dalla giornalista Emanuela Dei

Apri il video

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domenica 23 Aprile 2017

FESTA DELLA LIBERAZIONE

Nessun testo alternativo automatico disponibile.Non ho intenzione di lanciarmi in un discorso a ridosso del 25 aprile, persone ben più importanti di me come il nostro presidente nazionale Carlo Smuraglia o provinciale Enrico Mezzetti lo faranno senz’altro meglio nelle sedi opportune, e spero che vengano ascoltati da una platea reale e virtuale assai numerosa.
Voglio solo dire che seguo con grande tristezza le polemiche sulla partecipazione o meno alle manifestazioni per la Liberazione, e mi chiedo se queste divisioni non facciano il gioco dei fascisti (quelli 2.0, molto più pericolosi di quelli dell’epoca del Movimento Sociale Italiano).

Come ci ricorda Carlo Smuraglia nello statuto della nostra associazione all’articolo 2, lettera m, è chiarito che :”L’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia ha lo scopo di…dare aiuto e appoggio a tutti coloro che si battono, singolarmente o in associazioni, per quei valori di libertà e democrazia che sono stati fondamento della guerra partigiana e in essa hanno trovato la loro più alta espressione”.
Volevo infine precisare che sono iscritto all’ANPI da alcuni anni, che sono un convinto sostenitore della causa palestinese e che aderisco alle iniziative di boicottaggio di Israele promosse dalla rete internazionale BDS…allora, sono degno di partecipare ai festeggiamenti per la Liberazione?

Riccardo Infantino

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domenica 16 Aprile 2017

Resistenza 2.0


Nessun testo alternativo automatico disponibile.Mi è venuta in mente questa definizione dopo aver lette le parole del nostro presidente Carlo Smuraglia, che a Roma ha sottolineato come allo scadere del suo mandato la direzione dell’ANPI verrà affidata ad un iscritto che, per ovvie ragioni anagrafiche, non partecipò alla lotta di liberazione.

Sarà un’ottima occasione per dimostrare come uno dei valori fondanti della nostra associazione, l’antifascismo, più che mai è vitale e continua il suo necessario (fino a quando esisterà il fascismo stesso) cammino, adeguandosi alle mutazioni dei tempi e delle generazioni.

Cosa è la Resistenza 2.0: l’essere cittadino di un paese che dalla lotta partigiana ha tratta la propria origine, e coltivare questa mai invecchiata eredità in un mondo che ormai si intreccia con la Rete ed è, per definizione, globale.

Si, perché anche il pensiero antidemocratico nazifascista ha una dimensione internazionale, e la possibilità di comunicare istantaneamente offre la possibilità ai vari gruppi europei (Casa Pound, Alba Dorata e via discorrendo) di saldarsi in un unico fronte ed aumentare la loro pericolosità morale e politica.

La Resistenza 2.0 oppone a questo una comunicazione integrale e connessa, può unire le azioni di contrasto che si attuano nei vari paesi del mondo (non esiste un fascismo solo europeo, teniamolo bene a mente) e renderle di pubblico dominio, così da tentare di far capire alle numerose, troppe persone che ritengono inevitabile l’erosione dei diritti costituzionali fondamentali e dei princìpi di accoglienza e solidarietà (anche il negarli è una forma neanche tanto nascosta di fascismo) la pericolosità del momento storico che stiamo attraversando.

Resistenza 2.0 vuol dire lottare con i mezzi della informazione diffusa e parallela a quella ufficiale e, voglio utilizzare una parola grossa, governativa, nella speranza che ogni cittadino torni a sentire il bisogno di riprendersi la sovranità popolare e gestirla costantemente, diffidando di presunti grandi uomini che promettono di risolvere loro le questioni del Paese o annunciano riforme epocali che, alla resa dei conti, non sono esattamente come erano state presentate.

Significa, voglio dirla tutta, fare attenzione ad esperimenti di democrazia plebiscitaria che salta i corpi intermedi dello Stato, espressione della rappresentanza popolare, per rivolgersi direttamente agli elettori cercandone il consenso diretto (per questo c’è l’istituto referendario, se non vado errato).

Ora smetto questo mio polemico discorso, e chiedo scusa se mi sono lasciato trascinare, ma quando si parla di democrazia e di diritti umani non si può essere moderati, o ci sono o non ci sono.

Riccardo Infantino

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domenica 9 Aprile 2017

RESTIAMO UMANI

Nessun testo alternativo automatico disponibile.Non voglio dire nulla di fronte alla negazione dell’essenza umana perpetrata con armi chimiche o camion lanciati sulla folla, non c’è proprio bisogn di parole se non la bellissima frase con la quale Vittorio Arrigoni concludeva i suoi articoli da Gaza per il Manifesto: restiamo umani.
Più che mai la ritengo necessaria ora, ciao a tutti.

Riccardo Infantino

 

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domenica 2 Aprile 2017

Venerdì 31 marzo si è svolto un incontro presso la ex sede storica del PCI a Pianoscarano, qui a Viterbo, una tavola rotonda dove Silvio Antonini, Enrico Ciancarini e Enrico Mezzetti hanno esposto le loro ricerche e argomentato negli  anni difficili che sono stati quelli subito dopo la prima guerra mondiale e l’avvento del fascismo a Viterbo ed a Civitavecchia. ripercorrendo la vita e le azioni di Ferdinando Biferali Ardito del popolo.

Pensiamo che queste iniziative devono essere fatte sempre per ricordarci da dove veniamo e se siamo ancora in uno stato democratico, lo dobbiamo a uomini e donne che hanno dato la vita affinché potessimo vivere liberi.

Ricordiamoci tutti che se un po’ del nostro tempo lo utilizzassimo per partecipare ad incontri su temi della nostra storia recente non può che farci bene.

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La seconda riflessione che ci ha mandato Riccardo riguardano fatti recenti che stiamo vivendo e che non riusciamo ad affrontare con serenità e solidarietà. Non possiamo neanche immaginare le dure condizioni che gli immigrati uomini, donne, bambine e bambini stanno vivendo  e di cui non hanno nessuna colpa. Manifestare contro l’immigrazione significa manifestare contro noi stessi. Gli altri siamo noi. Dobbiamo sapere solo da che parte stare.

Didomenica in domenica facciamo un passo avanti.

Nessun testo alternativo automatico disponibile.Oggi volevo, magari arbitrariamente, collegare due circostanze che riguardano i diritti umani ed i valori dell’accoglienza e della solidarietà: la delibera del 7 marzo del Comune di Chiaravalle in cui, all’unanimità, la Giunta ha stabilito di non  concedere spazi pubblici nel momento in cui siano richiesti per propagandare valori che, direttamente o indirettamente, siano legati alla cultura fascista.

Uno di questi (dis)valori è – potremmo dire – la consapevolezza razziale…il considerare il divario tra “noi” e “gli altri”; l’ultima assemblea di istituto della mia scuola ha avuto, tra i temi in discussione, quello della immigrazione, ed è stato davvero istruttivo vedere le molteplici reazioni della platea (di ragazzi ed insegnanti) alle parole del prof. Savino, docente di diritto amministrativo all’Unituscia e studioso del fenomeno.
Mi ha colpito in particolare la domanda di uno studente, che chiedeva se l’immigrazione fosse una cosa buona o cattiva; la risposta di Savino è stata in effetti prudente, può essere buona o cattiva a seconda di come viene gestita (e potrebbe anche esserci un fondo di verità in questa affermazione), ma non tiene conto che l’immigrazione è, punto.
Vivendo tra Roma ed il viterbese ho modo di constatare come si stia diffondendo in modo preoccupante un atteggiamento di diffidenza e di paura nei confronti di chi “viene da fuori” (e chissà perché a me ricorda tanto la politica della paura) in entrambe le realtà, una piccola ed una molto grande.
Sono preoccupato per quelli che domani saranno adulti, rischiano di essere sedotti da apparentemente rassicuranti politiche securitarie di esclusione nei confronti di quelli che – a detta di molti, troppi – tolgono il lavoro, portano malattie e delinquenza e chissà cos’altro.
Sbaglio, o sono le stesse accuse che venivano rivolte ai nostri trisnonni emigranti?
Cosa ricavo da questo mio noioso discorso?
La necessità di proseguire un’azione quotidiana di esempio in senso contrario.
Buona domenica a tutti.

Riccardo Infantino

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domenica 26 Marzo 2017

 

 

Questa domenica pubblichiamo due interventi  il primo di Riccardo che fa una riflessione quasi a caldo sui fatti accaduti a Wenstminster e sul summit di sabato a Roma, per i sessanta anni della Carta che ha fondata l’UE.
Il secondo di Massimo invece riguarda un ricordo scritto un anno fa sul partigiano ortano Tito Bernardini, martire alle Fosse ardeatine.

Come sempre questi interventi dei nostri iscritti hanno lo scopo di tenere alta l’attenzione sui fatti attuali ma anche a non dimenticare mai quello che i nostri padri o nonni hanno passato e grazie ai loro sacrifici viviamo ancora in un Paese democratico e antifascista.

Da alcune settimane ho visto intensificarsi sui media in modo spasmodico i vocaboli “sicurezza”, “pericolo” “terrorismo”, “controlli a tappeto”, e subito mi è venuto alla mente il governo della paura…paura del terrorismo, dell’Altro (immigrato se possibile, di preferenza musulmano, anche se nel Corano non esiste traccia di apologia del suicidio a scopo di omicidio).
Mi verrebbe da dire, parafrasando ciò che scrisse il buon Machiavelli riguardo la religione, che la paura è un instrumentum regni, un (efficace, a dire il vero), metodo di governo: se il cittadino medio ha paura è disposto a farsi sorvegliare anche quando – perdonatemi l’ardita metafora – è al gabinetto perché tanto lui non ha nulla da temere, non avendo commesso alcun reato, dunque cosa dovrebbe avere in contrario?
L’al0tro grave pericolo che stiamo correndo è la cultura del sospetto: tutti siamo potenziali criminali, tutti potremmo diventare fiancheggiatori o complici del terrorismo jihadista (e dagli, jihad significa sforzo di diffusione della fede musulmana, non esattamente guerra).
Bene, andiamo avanti così, e finiremo per denunciarci l’uno con l’altro alla minima frase equivocata o distorta, realizzando ciò che si vuole da noi: la guerra di tutti contro tutti.
Altra circostanza che mi spinge a sospettare (diceva il fu Andreotti che a sospettare si fa peccato, ma ci si azzecca sempre): come mai gli attentati più feroci (che guarda caso colpiscono solo civili inermi) avvengono sempre in coincidenza di importanti scadenze politiche, quali la discussione di leggi restrittive degli irrinunciabili diritti della persona, perché c’è l’allarme terrorismo, e simili?
Forse la mia ammirazione per Orwell e la società della sorveglianza di massa descritta nel romanzo 1984 mi ha reso paranoico e, come usa dire oggi, complottista, ma mi chiedo se eon sia più efficace combattere l’humus che alimenta il terrorismo: guerre (nelle quali noi occidentali siamo compromessi fino al collo), emarginazione economica e sociale, e soprattutto ignoranza.
Oggi un collega a scuola mi ha detto che vedo sempre il pericolo di una deriva fascista nel nostro paese: non c’è bisogno di essere iscritti all’ANPI (cosa di cui vado fiero) per capire che è in atto la liquidazione progressiva della democrazia e della sovranità popolare che ci hanno lasciate in eredità Calamandrei, Pertini, Dossetti, Anselmi e tutte le partigiane ed i partigiani che combatterono per un paese libero.
La cosa peggiore è che sta avvenendo con il silenzio assenso di una cospicua fetta dell’opinione pubblica, che ha paura…un sentimento normale nell’essere umano,e così potente da poter essere sfruttato per erodere piano piano ogni diritto fondamentale, magari per finire nel confidare in un grande uomo che risani una situazione critica…ci siamo già passati, e non mi pare sia andata troppo bene.
Che ne dite?

Riccardo Infantino

Ora a Orte c’è piazza Tito Bernardini

Tra un po’ di tempo si vedrà sulle mappe istituzionali, poi su quelle in rete, qualcosa in più ci vorrà perché appaia anche nelle mappe dei navigatori satellitari… poco importa, ora c’è! Finalmente, a distanza di 72 anni da quei tragici giorni, la cittadinanza di Orte si  è riunita intorno alla propria storia e ha coperto una lacuna che, un po’ inspiegabilmente, persisteva da troppo tempo.

Ma chi era Tito Bernardini? Nato a Orte nel lontano 1898, Tito aveva trovato lavoro presso le regie ferrovie, ma, dopo l’inizio della dittatura fascista, aveva dovuto abbandonare il posto di lavoro. Si era trasferito a Roma, sbarcando il lunario attraverso i lavori più disparati e umili. Quando l’Italia capitolò, l’8 settembre del ’43 – con un re fuggiasco, un esercito italiano allo sbando e i carri armati tedeschi che occupavano Roma – Tito si unì alla formazione partigiana «Bandiera Rossa», attivissima a Roma nella pur impari guerra contro i nazifascisti. Arrestato il 7 marzo del 1944, fu condotto nella famigerata prigione di via Tasso (oggi Museo della Liberazione) e lì ripetutamente torturato. Poiché non riuscivano a farlo parlare, arrivarono a cavargli gli occhi e a spaccargli la schiena a colpi di sprangate. Il 24 marzo dello stesso mese la sua agonia terminò: Kappler, il boia delle SS, lo aveva inserito nella lista dei 335 che sarebbero stati trucidati alle Fosse Ardeatine. Dove lui, in quelle condizioni, fu portato di peso… Tito, come molti altri, non fece in tempo a vedere il ritorno della pace.

A 72 (oggi 73) anni di distanza, sembrano passati secoli: la gente non ricorda, il nostro Paese ha sempre peccato di memoria corta. Oggi si cerca di ricucire ferite che probabilmente avrebbero dovuto e potuto esserlo tanti decenni fa, per esempio con la condanna dei tanti colpevoli che invece la fecero franca. Non è un luogo comune dire che solo dimenticando le cose queste possono riaccadere. Non è un luogo comune affermare che solo attraverso la conoscenza del nostro passato, anche di quello più esecrabile, possiamo ambire ad avere grandi mete, o anche piccoli obiettivi, nel futuro.

I cittadini di Orte presenti all’intitolazione – molti commossi – hanno semplicemente voluto ribadire questo; hanno fatto quindi non un atto di sola presenza ma d’impegno. Alla presenza delle massime autorità civili e militari, del gonfalone del Comune, del Medagliere delle Fosse Ardeatine – «accompagnato» da Aladino Lombardi, Segretario generale dell’A.N.F.I.M. (Associazione Nazionale Familiari dei Martiri e dei Caduti per la Libertà) – e di tante altre bandiere, il giovane Francesco ha suonato il Silenzio, il Sindaco ha scoperto la targa e Ireno Massaini ha recitato la sua poesia che proprio per Bernardini aveva scritto diversi anni fa.

È stato solo un inizio, un arrivederci ai prossimi 25 aprile che lì saranno celebrati e agli altri impegni che verranno. Ma soprattutto un atto di riconoscenza, anche se postuma, verso l’umile cittadino e ferroviere ortano – che fece la scelta giusta, quella di non chinare la testa – Tito Bernardini.

Massimo Recchioni, Presidente della Sezione di ORTE

dell’A.N.P.I. «Tito Bernardini»

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domenica 19 Marzo 2017

Questa settimana Silvio nella sua pagina in Facebook ha pubblicato un ricordo del tenente Argo che riportiamo in questa rubrica settimanale del sito. Buona riflessione a tutti.

AL TENENTE ARGO SECONDARI

Oggi (17 Marzo) ricorre il 75° anniversario della morte del Ten. Argo Secondari. Pluridecorato per il coraggio dimostrato durante la Prima Guerra Mondiale con i suoi Arditi, i reparti d’assalto dell’Esercito Italiano, fu tra i primi a capire l’importanza di opporsi al nascente fascismo.
Fondatore a Roma degli Arditi del Popolo di cui organizzò le Legioni composte da compagni di estrazioni differenti, combatté in prima linea il fascismo accanto alle sue “fiamme nere” distinguendosi per audacia e capacità di comando.
Aggredito a bastonate dai fascisti pochi giorni prima della marcia su Roma, rimase irreparabilmente leso a livello celebrale e fu rinchiuso in un manicomio dove passò gli ultimi 18 anni della sua vita. Pur dopo così tanti anni, alla sua morte nel 1942, la Questura ordinò di celebrare il funerale in gran segreto per evitare disordini.

Argo Secondari è una delle figure centrali che hanno ispirato la nascita di Patria Socialista, ed al suo onore dedichiamo la nostra lotta. Sicuri che nel vessillo degli Arditi del Popolo che anche quest’anno guiderà la nostra marcia per le strade di San Lorenzo, il suo indomito spirito continui a vivere.

Tenente Argo Secondari, A NOI!

Patria socialista

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domenica 12 Marzo 2017

 

Questa domenica riportiamo una riflessione di Riccardo su i fatti recenti di Napoli e due incontri che si terranno nel mese di Marzo  uno in via della Polveriera a Viterbo e l’altro a Capranica presso il circolo Zilleri.

 

Nessun testo alternativo automatico disponibile.

Salvini che parla a Napoli e gli scontri tra il corteo che lo contesta e le forze dell’ordine (ordine di chi, poi, è da vedere); Trump che governa, anche lui, con il sistema della paura (che siano i comunisti cattivi o gli immigrati brutti e sporchi, e magari anche ladri non importa, alla fine ci resteranno gli alieni); un intero paese solidale con un esercente che ha sparato ad un ladro, e via di questo passo. Quando venne Silvia Baraldini a Viterbo (incontro che ricordo sempre con grande piacere) si parlò di militanza armata, e dato che sono bastian contrario per vocazione me ne uscii fuori con il discorso della resistenza non violenta. Molti arricciarono il naso, ed in quel momento pensai: chi tra i presenti se la sentirebbe di far parte di un gruppo di fuoco, o di pianificare un attentato, sapendo che potrebbe costare la vita ad esseri umani? Gli scontri tra polizia e corteo di protesta anti Salvini: ogni volta che si verificano episodi del genere si offre una formidabile occasione a chi ha il potere per erodere ancora un po’ di quella poca libertà che è rimasta. Mi chiedo se combattere un sistema violento a tutti i livelli con lo stesso metodo in realtà non lo rimpiazzi, o piuttosto favorisca solo un cambio nella stanza dei bottoni.

Buona domenica a tutti.

Riccardo Infantino

 

celebrazione

valerio gentili volevamo tutto

24 Marzo

Nel 73° ann.rio della Strage nazifascista delle fosse Ardeatine, presentazione di VOLEVAMO TUTTO di Valerio Gentili allo Zilleri di Capranica

Presentazione di:
VOLEVAMO TUTTO
La Guerra del capitale all’Antifascismo, Una Storia della Resistenza tradita
di Valerio GENTILI
(Roma, Red star press, 2016)
Ne discute con l’autore:
David BRODER (London school of economics, redattore della rivista “Historical materialism”)
Coordina:
Silvio ANTONINI
ore 20.00
CENA SOCIALE
(necessaria prenotazione entro le 20.00 della sera prima, al cell. 380.5474239)
Nel corso del 2015, due anniversari hanno segnato in modo importante la propaganda di un assetto politico – quello capitalista – talmente potente da manovrare a suo piacimento la memoria storica insieme alla percezione del presente. I «festeggiamenti», nella fattispecie, hanno riguardato i settant’anni trascorsi dalla Liberazione italiana dal nazifascismo e il secolo che ci separa dall’ingresso dell’Italia nella Grande guerra. Due ricorrenze che recano, per la sinistra, un fardello doloroso e ingombrante: la Prima guerra mondiale, infatti, produsse il fascismo che fu all’origine della Seconda. La sinistra perse, inizialmente, la battaglia contro la guerra e poi quella contro il fascismo. Cosa determinò questa duplice sconfitta? E perché, successivamente, con la vittoriosa parentesi resistenziale, non si riuscì a sconfiggere, insieme al fascismo, quell’ordine sociale ed economico che ne era stato all’origine?
Rispondendo a queste domande, Valerio Gentili dà corpo a una storia scomoda e normalmente rimossa dalle narrazioni mainstream, restituendo la parola a una Resistenza che continua ad accusare l’uso strumentale di un patrimonio di valori antitetici non soltanto rispetto alla politica di riconciliazione del Secondo dopoguerra, ma anche, e soprattutto, in rapporto agli schemi imposti oggi dai trattati internazionali e dall’Unione europea.Valerio Gentili (Roma, 1978), è uno dei principali studiosi italiani dell’Antifascismo militante in relazione al combattentismo di guerra e alla Storia del movimentooperaio, anche attraverso il coordinamento dell’Archivio internazionale dell’azione Antifascista, blog (www.archivioantifa.org) e pagina Facebook.Tra le sue pubblicazioni: Roma combattente (Purple press, 2010), Bastardi senza storia (Castelvecchi, 2011) e, per la Red Star Press, Dal nulla sorgemmo. La Legione Romana degli Arditi del Popolo (2012) e Antifa, Storia contemporanea dell’antifascismo militante europeo (2013).
  • Ingresso gratuito

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domenica 5 Marzo 2017

Manifestazione4Marzo

Video di Emanuela Dei

Ai sindaci dei Comuni di Canepina, Vallerano, Vignanello

Egregi sindaci,

nell’impossibilita’ di essere presente alla manifestazione contro la violenza promossa dai vostri Comuni che si svolgera’ oggi, 4 marzo 2017, vorrei esprimere con questa lettera il mio sostegno all’iniziativa.

E’ infatti necessario che tutte le persone di volonta’ buona, la societa’ civile e le istituzioni democratiche esprimano una corale, persuasa, ferma risposta alla grave aggressione squadrista subita da un giovane alcune settimane fa da parte di una banda di teppisti neofascisti.

Ed e’ bene che questa risposta si esprima nella forma di un impegno nitido e intransigente contro tutte le violenze, in difesa della vita, della dignita’ e dei diritti di ogni essere umano; si esprima nella forma della civilta’ che si oppone alla barbarie; nella forma della democrazia che si oppone al fascismo.

  • L’iniziativa odierna testimoniando la comune solidarieta’ di ogni persona senziente e pensante con la vittima dell’aggressione di alcune settimane fa, testimonia altresi’ la comune solidarieta’ con tutte le vittime della violenza.

E quindi testimonia anche la comune opposizione a tutte le forme di sopraffazione e di intimidazione, di imposizione di rapporti di dominio e rapina, di devastazione e disumanizzazione.

E quindi testimonia anche la comune opposizione a tutti i poteri criminali e a tutte le ideologie e le strutture totalitarie.

E quindi testimonia anche la comune opposizione alla guerra e a tutte le uccisioni.

E quindi testimonia anche la comune opposizione al razzismo e a tutte le persecuzioni.

E quindi testimonia anche la comune opposizione al maschilismo e a tutte le oppressioni.

  • La manifestazione di oggi e’ dunque un appello a un impegno che deve proseguire ogni giorno; un impegno per il bene comune dell’umanita’ che e’ una; in difesa dei diritti di ogni essere umano; e in difesa di questo unico mondo vivente casa comune dell’umanita’ intera.

Ne discendono doveri concreti e coerenti.

Agire per la pace, il disarmo, la smilitarizzazione.

Agire per soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto; agire per riconoscere ad ogni persona il diritto di giungere nel nostro paese in modo legale e sicuro e trovarvi una vita degna; agire per abolire tutte le infami e insensate misure razziste che opprimono in Italia milioni di persone innocenti; agire per contrastare la schiavitu’ e i poteri criminali che lucrano su di essa; agire per il riconoscimento del diritto di voto ad ogni persona che nel nostro paese risiede.

Agire per far cessare la violenza maschilista, che e’ la prima radice e il primo paradigma di ogni altra violenza.

Agire in difesa della biosfera di cui l’umanita’ stessa e’ parte.

Agire per ripristinare il primato delle persone, dell’eguaglianza di diritti, della responsabilita’, della fraternita’ e sororita’, del bene comune e della comune liberazione, sconfiggendo la logica mortifera dell’accumulazione rapinatrice delle ricchezze, del consumismo onnidistruttivo, della massimizzazione del profitto che riduce l’umanita’ a merce tra merci, e dei totalitarismi comunque camuffati, delle dittature che tutte sempre e solo negano la dignita’ umana.

Vi e’ una sola umanita’ e tutti gli esseri umani ne fanno parte, ogni persona diversa dalle altre e tutte eguali in dignita’ e diritti, tutte responsabili del bene comune, tutte bisognose di riconoscimento e di aiuto, tutte degne di rispetto e di solidarieta’.

  • Chiamiamo nonviolenza questa scelta di opporci a tutte le violenze.

Chiamiamo nonviolenza questa scelta di responsabilita’ per il mondo.

Chiamiamo nonviolenza questa scelta di riconoscimento e solidarieta’ per e con l’umanita’ intera.

La nonviolenza che e’ la lotta la piu’ nitida e la piu’ intransigente in difesa della dignita’ umana contro ogni oppressione, ogni crimine, ogni barbarie.

La nonviolenza che e’ l’antifascismo vivente, la democrazia in cammino, l’umanita’ che si autocomprende e si libera, la forza della verita’ e del bene che si oppone alla menzogna e al male.

Un cordiale saluto,

Peppe Sini, responsabile del “Centro di ricerca per la pace e i diritti umani” di Viterbo

Viterbo, 4 marzo 2017

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domenica 26 Febbraio 2017

Riflessione

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domenica 19 Febbraio 2017

Isabella Lorusso con Victor Alba

Isabella Lorusso con Victor Alba

Una donna contro

Intervista ad Isabella Lorusso

Isabella Lorusso, pugliese, agitatrice politica e culturale, giramondo. Da anni si occupa, tra le altre cose, di conservare la memoria, soprattutto al femminile, della Guerra civile spagnola che imperversava ottant’anni fa, nella fattispecie per quanto concerne il versante libertario e del Partido obrero de unificacion marxista (Poum), stroncato dalla repressione della Repubblica, ancor prima della capitolazione dinanzi a Franco. A tal proposito, ha curato la pubblicazione di due raccolte di interviste Spagna 1936, Voci dal Poum (2011) e Donne contro (2013).

Isabella, l’8 aprile, sarà allo Spazio Arci Claudio Zilleri di Capranica (Vt) per un incontro pubblico su questi argomenti

Silvio Antonini

 

Quali circostanze ti hanno portato ad interessarti delle vicende storiche in merito alla Guerra civile e sociale spagnola?

A dire il vero il tutto è iniziato per caso. Erano gli anni Novanta del secolo scorso, stavo finendo l’università, ero iscritta a Scienze politiche, e vinsi due borse di studio, una per Londra e l’altra per Barcellona. A Londra decisi di non andarci quindi scelsi Barcellona: dovevo scrivere la mia tesi, e quale miglior argomento della Guerra di Spagna?

Come sei venuta a contatto con le persone che hai intervistato nei tuoi lavori?

All’inizio il mio lavoro fu di ricerca storica: passavo giornate intere nelle biblioteche della città dove, sempre per caso, trovai informazioni validissime sul Poum. Mi appassionò tanto la storia di questo partito che divoravo i libri sull’argomento e un giorno il Direttore di una biblioteca mi disse: “Ma sai che i militanti del Poum sono appena rientrati dall’esilio e si riuniscono qui a Barcellona? Se sei interessata ti posso mettere in contatto con Victor Alba, l’intellettuale del gruppo”. Detto fatto, contattai Victor e lui mi portò alle loro riunioni.

Il celebre Manifesto Poum Obreros a la victoria!

Il celebre Manifesto Poum Obreros a la victoria!

Nelle tue due pubblicazioni tratti la Guerra civile soprattutto in relazione all’anarchismo e al Poum. Tra breve ricorrerà l’80° anniversario dei fatti di maggio a Barcellona, quando, a seguito dell’occupazione della Centrale telefonica da parte della base delle organizzazioni anarchiche, si consumava palesemente la divisione tra le forze a sostegno della Repubblica, che interpretarono il gesto come sabotaggio, e quelle che premevano per una soluzione rivoluzionaria del conflitto, anarchici e poumisti. Questa divisione, a tuo parere, ha favorito la vittoria del franchismo?

Non solo a mio parere ma anche a parere di tutti i militanti che ho intervistato, questa terribile lotta interna portò alla vittoria schiacciante del franchismo e alla demoralizzazione del fronte rivoluzionario che fu represso nelle case, nelle strade, nelle carceri e nei campi di battaglia.

Si sarebbe potuta vincere la guerra se, anziché reprimere, torturare e uccidere, si fosse deciso di dialogare nel rispetto delle differenze? credo proprio di sì

Secondo te, il messaggio lanciato dai movimenti libertari e dai comunisti ereticali dalle barricate iberiche del 1936-37 conserva una sua attualità? Puoi fare esempi del presente in cui si possa riscontrare l’eco di quelle pulsioni?

Come mi fece notare sui Pirenei spagnoli Cristina Nin, la nipote di Andreu Nin, leader del Poum, sequestrato, torturato e barbaramente ucciso ad Alcalà de Henarez [dalla polizia della Repubblica spagnola – n. d. i.], i militanti di quel partito non ebbero neanche il tempo di “imborghesirsi”, perché tra la nascita, lo sviluppo e la scomparsa del loro gruppo politico non passarono neanche due anni: il Poum fu creato nel 1935 e fu “distrutto” nel 1937. I militanti del partito furono davvero dei rivoluzionari che non potettero neppure, per questione di tempo, commettere degli errori. Ho sentito la loro voce in tanti luoghi del mondo dove ho incontrato gente che ha difeso coi denti, e a costo della vita, i propri valori. Mi vengono in mente i rivoluzionari del gruppo Tupac Amaru, Mrta [Movimento rivoluzionario d’ispirazione guevarista celebre per l’occupazione dell’Ambasciata giapponese a Lima, stroncata con l’irruzione delle forze speciali di Fujimori, il 22 aprile 1997: un massacro che pose fine al gruppo guerrigliero capeggiato da Nestor Cerpa Cartolini, caduto nella strage – n. d. i.]  che ho conosciuto nelle carceri peruviane dove ho insegnato italiano per molti anni. Mi viene in mente il coraggio di Jaime Castillo Petruzzi, italo-cileno, responsabile dei sequestri del gruppo e recentemente uscito di prigione dopo più di vent’anni. E penso anche a Emilio Villalobo, responsabile politico del gruppo che è ancora lì, nel Castro Castro di Lima, ma penso anche a tanti compagni e compagne rivoluzionarie, penso alle donne combattenti del Rojava, agli studenti, ai precari, agli indigeni, ai lavoratori in lotta in ogni parte del mondo.

Nel tuo impegno politico sei attiva sul fronte lgbt e di genere. A parere di molti, nei decenni passati si è troppo posto l’accento sui diritti civili tralasciando quelli sociali, da cui, tra l’altro, il prevalere oggi del cosiddetto populismo. Il “dirittocivilismo” ha avuto il suo momento di gloria dopo il crollo del Muro di Berlino. Nell’ultimo decennio del Secolo breve, ad esempio, il dibattito in seno alle organizzazioni giovanili della sinistra e antagoniste è stato occupato nella sua quasi totalità dall’antiproibizionismo. È stato così almeno fino all’11 Settembre e alla Enduring freedom, cioè la serie di guerre Usa e Nato che ne ha fatto seguito, ammantatesi proprio del proposito di difendere i diritti – il che non sarebbe, beninteso, una novità – considerati perciò un’efficace scusante per le guerre imperialiste. Domandato in parole povere: secondo te, diritti civili e sociali sono ancora conciliabili? 

Miliziana anarchica della Guerra di Spagna

Miliziana anarchica della Guerra di Spagna

Non solo sono conciliabili, ma non sono dissociabili né negoziabili. Se lottiamo per un mondo più bello, più giusto e più umano non possiamo includere dei gruppi ed escluderne degli altri. La rivoluzione a scaglioni non convince più nessuno. O tutto e subito o nulla perché, come dice lo scrittore cileno Pedro Lemebel, più si è froci più si lotta per un mondo migliore, perché in quel mondo “frocio” si garantisce un tetto, un letto d’ospedale, un banco di scuola ma anche una vita, sociale e sessuale, degna di questo nome, a tutti. Inutile liberare prima gli uomini, poi le donne, i gay, le lesbiche, i transgender… Quanto tempo dovremmo vivere per liberare tutti? La vita ci sfugge dalle mani, se i nostri referenti politici e culturali fossero neri e transgender potremmo pensare che la rivoluzione, come nella Spagna del ’36, la stiamo vivendo e non solo sognando.

Hai in progetto nuove pubblicazioni o lavori di altro genere?

##Prima dell’estate spero di pubblicare un nuovo libro, in spagnolo, sulla mia vita in Perù e nel resto dell’America latina. Si chiamerà Potosì, come la città del sud della Bolivia dove c’era un’immensa miniera d’oro e d’argento il cui sfruttamento ha permesso a noi, cittadini del “Primo” e opulento mondo, di vivere una vita da nababbi. Che ci piaccia o no, sei milioni di indigeni morirono in quella miniera di sangue, che ci piaccia o no, dobbiamo delle scuse.

In italiano sto invece scrivendo un nuovo romanzo: è la storia di tante donne che si trovano in Puglia e raccontano la loro vita e la vita di altre donne. Poi ho ancora in mente di continuare a fare ricerca, sì, appena termino con questi lavori ne inizierò altri, sulle donne, per il recupero della memoria storica in Europa e in altre parti del mondo.

 

 

Italiani brava gente? Non tutta.


 

 

Ottant’anni fa la feroce strage di Debrà Libanòs che seguì l’attentato contro il viceré
italiano ad Addis Abeba

di Giannantonio Stella

Feci tremare le viscere di tutto il clero, dall’Abuna all’ultimo prete o monaco», ringhiava quel macellaio di Rodolfo Graziani. Rimorsi? Zero: rivendicava anzi la strage di Debrà Libanòs, dove aveva affidato agli ascari islamici lo sterminio di tutti i preti e i diaconi del cuore della Chiesa etiope, come «titolo di giusto orgoglio». E giurava: «Mai dormito tanto tranquillo».

Sono passati ottant’anni, da quei giorni di orrore. Tutto inizia la mattina del 19 febbraio 1937. Ad Addis Abeba il viceré Graziani e le autorità italiane che da nove mesi governano un terzo del Paese e son decise a prendere il controllo del resto con ogni mezzo (compreso l’uso di 552 bombe caricate a iprite e fosgene autorizzate dal Duce, documenterà lo storico Angelo Del Boca), celebrano la nascita del primo figlio maschio di Umberto di Savoia. Improvvisamente, da un balcone raggiunto superando i controlli, piovono ed esplodono una dopo l’altra otto bombe a mano. Sette morti, decine di feriti. Tra cui Graziani, colpito da decine e decine di schegge.

La rappresaglia è immediata. E non avendo sottomano gli attentatori, fuggiti, si abbatte violentissima su chi capita. Coinvolgendo tutti i fascisti della città. «Girano armati di manganelli e di sbarre di ferro, accoppando quanti indigeni si trovano ancora in strada», scrive nel diario il giornalista Ciro Poggiali. «Vedo un autista che, dopo aver abbattuto un vecchio negro con un colpo di mazza, gli trapassa la testa da parte a parte con una baionetta. Inutile dire che lo scempio si abbatte contro gente ignara e innocente». Una carneficina. Racconterà il vercellese Alfredo Godio: «Fra le macerie c’erano cumuli di cadaveri bruciacchiati. Più tardi, sulla strada per Ambò, vidi passare molti autocarri “634” sui quali erano stati accatastati, in un orribile groviglio, decine di corpi di abissini uccisi». «Per ogni abissino in vista non ci fu scampo in quei terribili tre giorni», ricorderà l’attore Dante Galeazzi: «In Addis Abeba, città di africani, per un pezzo non si vide più un africano».

Deciso a farla finita coi ribelli a dispetto di ogni trattato, il Duce dà ordine che «tutti i civili e religiosi comunque sospetti devono essere passati per le armi». Tutti. Compreso Destà Damtù, il genero di Hailé Selassié. Che importa dello sdegno internazionale? «E nello scroscio del plotone di esecuzione echeggiò la più strafottente risata fascista in faccia al mondo», esulta la «Gazzetta del Popolo». «Schiaffone magistrale (…) sulle guance imbellettate della baldracca ginevrina». Bilancio complessivo? Migliaia di morti. Compresi «cantastorie, indovini e stregoni», rei di auspicare il ritorno del Negus: «Ho ordinato che fossero arrestati e passati per le armi. A tutt’oggi ne sono stati rastrellati ed eliminati settanta» Il peggio, però, arriva a maggio. Quando Graziani decide di inviare il generale Pietro Maletti, di cui apprezza la cieca obbedienza, a spazzare via preti, diaconi, fedeli di Debrà Libanòs, l’amatissimo monastero fondato nel XIII secolo che considera «un covo di assassini, briganti e monaci assolutamente a noi avversi»: è convinto che i due bombaroli di Addis Abeba siano passati nella fuga proprio di lì.

Se sono veri i rapporti firmati da Maletti stesso, scrive Del Boca in Italiani brava gente? (Neri Pozza), in due settimane le sue truppe «incendiavano 115.422 tucul, tre chiese, il convento di Gulteniè Ghedem Micael (dopo averne fucilato i monaci), e sterminavano 2523 arbegnuoc». Patrioti nemici dell’occupazione italiana. «Era tale il terrore che diffondeva che l’intera popolazione si dava alla macchia».

Terrore comprensibile. Per garantirsi la ferocia belluina senza crisi di coscienza tra i soldati cattolici chiamati a massacrare i cristiani di una Chiesa etiope che aveva 17 secoli, spiega Angelo del Boca, il generale rinunciò «a servirsi dei battaglioni eritrei, composti in gran parte da cristiani, e utilizzava ascari libici e somali, di fede musulmana, e soprattutto — parole sue — “i feroci eviratori della banda Mohamed Sultan”».

Il generale e i suoi macellai di fiducia circondarono il complesso la sera del 19 maggio, festa di San Michele, presero prigionieri tutti e, ricevuto l’ordine del viceré Graziani di passare per le armi «tutti i monaci indistintamente compreso il vice priore», cercarono il posto giusto per la mattanza. La scelta cadde sulla piana di Laga Wolde, …

Sorgente: E Graziani massacrò i monaci etiopi…

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domenica 12 febbraio 2017

Sulla mancata onorificenza ai due poliziotti, nel ricordo di Angelo Ioppi 

di Silvio Antonini

La notizia del rifiuto da parte della Germania di conferire onorificenze ai poliziotti che hanno ucciso l’attentatore di Berlino, per le loro simpatie fasciste, mi riporta alla mente questa persona: ANGELO IOPPI, viterbese, Brigadiere dei carabinieri, durante la Resistenza in forze a Roma nella banda partigiana Reali carabinieri Filippo Caruso, facente capo al Fronte militare clandestino. Arrestato dai nazifascisti, è tradotto in via Tasso, dove sarà sottoposto a “28 martorianti interrogatori” per 90 giorni di reclusione, senza che gli aguzzini riuscissero ad estorcergli informazione alcuna. Arrivati gli Alleati a Roma, i tedeschi fanno per portarsi dietro gli internati di via Tasso: una camion parte ma si ferma al 14° km, in loc. La Storta. I 14 detenuti sono fatti scendere e fucilati. Tra loro Bruno Buozzi: sono i Martiri de La Storta. L’altro camion, con a bordo Ioppi, non riesce nemmeno a partire. I reclusi sono ricondotti nel carcere ma vengono liberati dalla popolazione. Ecco la celebre foto che ritrae Ioppi all’uscita di via Tasso, sorretto alle braccia in quanto impossibilitato a camminare per le torture subite. Nel 1945 editerà le sue memorie resistenziali col titolo: “Non ho parlato“. Sarà insignito della Medaglia d’oro al valor militare. Carabinieri, poliziotti, forze dell’ordine e armate in generale forse non sanno di questo eroe. 

 


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