Didomenica 18

Riccardo Infantino

Ricordanze antifasciste

Perdonatemi il termine leopardiano (deformazione professionale…) che mi serve per introdurre l’ultimo articolo per questo 2018.

Ricordanza va oltre il ricordo, è la capacità di raggiungere i fatti e le esperienze del passato ed essere in grado di riviverlo nella propria persona.

Di questi ultimi giorni del 2018 mi piace sempre ricordare con grande emozione il 27 dicembre, giorno in cui, nel 1947, venne promulgata la nostra amatissima Costituzione, entrata poi in vigore il primo gennaio del 1948.

Ve lo devo proprio dire (facciamo outing a fine anno, non guasta…): ogni volta che osservo le firme di Enrico De Nicola e degli altri padri che hanno controfirmata la Carta Costituzionale mi emoziono, vorrei provare quello che hanno vissuto gli italiani in quei giorni di liberazione dal fascismo, e poterlo raccontare a chi sta arrivando dopo di me.

Non potendo farlo per ovvie ragioni anagrafiche (essendo del 1962 ho vissuti gli anni di piombo ed il romanzo delle stragi, come lo ha chiamato Pasolini nel celeberrimo “Io so…” , nel Corriere della Sera del 14 novembre 1974) rileggo gli articoli e tento, per quanto mi sia possibile, di coglierne l’essenza umana, prima ancora che storica, forse nel presuntuoso tentativo di passarla ai ragazzi che cerco di educare a scuola e ormai anche ai colleghi più giovani, che tra non moltissimo mi sostituiranno nel compito che alla fine avrò svolto per quaranta anni ed oltre…far capire a chi viene dopo di me che la democrazia non è un dato acquisito una volta per sempre, ma un bene che va curato e protetto da chiunque voglia pervertirla, magari conservandone una integrità di facciata.

Oggi è il 28 dicembre, giorno in cui, nel 1943, vennero fucilati al Poligono di tiro di Reggio Emilia i fratelli Cervi; mi piacerebbe far vedere il film (datato, visto che uscì nel 1968) con Gian Maria Volonté (altro grande custode della ricordanza antifascista), per tentare di far capire ai quei ragazzi che mi continuano a sostenere che è esistito il fascismo buono cosa fu davvero l’ideologia con cui credono di raddrizzare l’Italia…speriamo tutti insieme di farcela, altrimenti potremmo dover affrontare un altro lungo periodo di barbarie (altro non saprei come definire il fascismo).

Auguri e saluti resistenti a tutt*

 

Gabriele Busti

Gli ululati razzisti contro un difensore centrale milionario portano allo sdegno nazionale. E vivaddio, per carità, ma allora perché tanta riprovazione verso il tizio che chiede due spicci davanti al supermercato? Il colore della pelle non è il dato preminente della riprovazione sociale, è solo un’aggravante, è la miseria a fare paura. La miseria, con tutto il suo carico di manifestazioni sociali, la miseria che veste di nero e fa scattare il riflesso condizionato, il dato di alterità.

Mudulo Commenti

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Gabriele Busti 

A un primo livello ci fu una sparuta minoranza di attivisti radicali capaci di coagulare le mille avanguardie del ’68 in un percorso referendario che avrebbe messo all’ angolo la classe dirigente democristiana: la gerarchia cattolica da un lato, il paese reale dall’altro.

A un secondo livello ci fu la potenza di fuoco del Partito Comunista Italiano, che fece sua la battaglia civile per il divorzio e l’aborto saldando le istanze civili alle masse popolari in un processo politico non scontato, oltre il tacito patto di non aggressione alla chiesa che Togliatti aveva sancito.

A un livello più profondo, il cambiamento sociale in atto lo raccontava in diretta il genio profetico di Pier Paolo Pasolini: “divorzio ed aborto non passeranno per la sacrosanta e legittima istanza di progresso che portiamo avanti da più di un secolo, non per compimento dell’Illuminismo, ma perché il mercato ha deciso che deve allargare i suoi ambiti, perché il modello consumistico, per compiersi, deve distruggere le strutture psico-sociali del mondo precapitalistico. Insomma, le battaglie sono giuste, ma non saranno vinte perché sono tali”.

Nessuno vuole sminuire l’importanza dell’azione politica dei Radicali, anzi, onore al merito, ma da qui a pensare che divorzio ed aborto ci siano stati donati da Emma Bonino in persona… Un minimo di senso delle proporzioni, suvvia.

 

Riccardo Infantino

Proprio ieri ho letto della denuncia del nostro presidente provinciale, Enrico Mezzetti, conseguente la assai poco gradita visita di un gruppo di ragazzi un po’ troppo fascisti (fascistelli usava dire quando ero studente…) durante una riunione alla sede ANPI di Viterbo.

Come ci racconta lo stesso Mezzetti i fascistelli hanno ripreso i volti dei partecipanti alla riunione, molestandoli con interventi di livello degno di loro e di chi ce li ha mandati.

Tra pochi giorni ci si reincontrerà di nuovo a Via Sacchi per parlare di antifascismo e ragazzi che vanno a scuola: la nostra associazione ha un protocollo con il MIUR dal 2014, perché le generazioni che dopo di noi costituiranno l’asse portante della società italiana devono essere fornite dei necessari anticorpi contro due malattie che si stanno ultimamente diffondendo nelle coscienze dei cittadini: l’ineguaglianza (sono superiore a te perché tu sei straniero o più povero di me. La guerra tra poveri, insomma) e la sfiducia nelle istituzioni parlamentari, con il bel risultato che la fiducia si consegna (stavo per dire si getta) nelle mani di un qualcuno che atteggiandosi a grande uomo del futuro che risanerà la patria in pezzi non fa altro che svilire i corpi istituzionali della Repubblica, calpestando i princìpi costituzionali fondamentali di sovranità popolare (che sta mutando in consenso plebiscitario, in stile Benito dal balcone di Piazza Venezia, per capirci) e solidarietà umana (interpretandola fantasiosamente come prima e solo gli italiani…ma quanti italiani “certificati” sono per metà o interamente di origine spesso non europea?

Emma Bonino è stata assai chiara nel suo ultimo intervento al Senato: si sta riducendo il Parlamento, l’organo propulsore della repubblica italiana, ad una farsa; il passo successivo (mi azzardo a dire), neanche troppo lontano, potrebbe essere quello di eliminarlo perché ormai inefficace e troppo poco pronto nei tempi delle sue decisioni (discorsi già sentiti, vero?).

Al punto in cui siano mi sembra che il rimedio più efficace sia continuare a parlare tra la gente di antifascismo e valori democratici e allattare con questi le ultimissime generazioni, magari armati di uno smartphone o di una telecamera per immortalare i volti dei fascistelli di cui sopra…hai visto mai che rivedendosi nel compiere le loro prodezze anche una coscienza come la loro si svegli di nuovo?

Tanti auguri e saluti antifascisti (e molto telegenici…) a tutt*

Mudulo Commenti

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Riccardo Infantino

Bagliori di speranza

Sono quelli che ho visti partecipando al sit in davanti al colosseo organizzato da Amnesty, Emergency, Action Aid, Oxfam e MSF lunedì 10 novembre di fronte al Colosseo, in occasione del 70° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

C’era anche l’ANPI:

con mia grande gioia ho incontrato tre iscritti di Roma, che mi hanno accolto con il calore di chi condivide l’impegno civile e morale antifascista per i diritti di tutti gli uomini.

La cosa che mi ha maggiormente colpito è stata la compostezza e la grande civiltà con la quale si è svolta la manifestazione, culminata nella lettura di tutti gli articoli della Dichiarazione, mentre il primo di loro veniva proiettato sugli archi del Colosseo, che avevamo davanti.

L’altra notizia più che positiva è stata l’assoluzione, in appello, di Cédric Herrou, che al confine italo-francese aveva aiutata una famiglia di migranti, venendo condannato per questo in primo grado per favoreggiamento della immigrazione clandestina…insomma, la solidarietà non è reato!

Ancora un segnale di speranza lo ha dato il tribunale di Milano, obbligando il Comune di Lodi a modificare il regolamento di accesso alle facilitazione per mense scolastiche e scuolabus per i bambini figli di immigrati non europei (l’articolo 2 della Costituzione parla chiaro: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”…non specifica se italiano, europeo, asiatico, africano o magari alieno…).

Ultima considerazione per questo articolo: l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione ha inviata una nota circostanziata a proposito della espulsione dei migranti ospitati nei centri di accoglienza prima che il decreto sicurezza cancellasse i permessi di soggiorno per motivi umanitari, ricordando ai Prefetti (in particolare quello di Potenza, così solerte nell’applicare la normativa…) che il nostro ordinamento giuridico non prevede che una legge abbia valore retroattivo…in pratica gli allontanamenti effettuati su persone che sono in possesso di un permesso ottenuto prima della emanazione del decreto stesso (il 27 novembre 2018) sono da considerarsi illegali…per fortuna l’Unione Europea ha avuto un bel sussulto di umanità, preventivando l’introduzione di visti umanitari europei, almeno per alleviare una situazione che si prospetta come drammatica.

Da tutto questo si può trarre una semplice, quanto profonda conclusione: la disumanità e la barbarie (disumano è il decreto sulla sicurezza, diciamo le cose come stanno) possono e devono essere vinte con l’azione del diritto umano (la legge non di rado è ingiusta) e dell’azione civile e quotidiana – e in questo noi dell’ANPI possiamo dare un bel contributo -.

Nota a margine non di poco conto: ho anche visto uno striscione della Chiesa Metodista, che con i Valdesi, organizza corridoi umanitari…e del resto anche la cattolica Charitas ha sollevata la propria voce contro la disumanità del decreto di cui sopra.

 Saluti resistenti a tutt*

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 Riccardo Infantino

Voglio restare umano

Voglio restare umano perché un decreto sulla sicurezza e l’immigrazione approvato tramite la fiducia e firmato dal Capo dello Stato inverte il rapporto libertà – sicurezza a favore della prima, danneggiando la seconda: non è vero che calando su tutti e tutto una rete capillare di controlli si è più liberi, anzi.

Chi arriva o transita nel nostro paese in fuga da una guerra o dalla miseria (ne sanno qualcosa i nostri nonni e bisnonni, vero?…) o da una devastazione climatica non è un delinquente pericoloso per principio, così come noi italiani non siamo costituzionalmente mafiosi; ha diritto ad una seconda opportunità, e magari fa bene al paese che lo potrebbe accogliere.

Voglio restare umano anche per questo, perché come accadde da un giorno all’altro agli ebrei immediatamente dopo la promulgazione delle leggi razziali così almeno diciannovemila immigrati sono divenuti improvvisamente irregolari, avendo un permesso per motivi umanitari dichiarato invalido il giorno prima.

Ma soprattutto voglio e devo restare umano per ciò che sento intorno a me sui mezzi pubblici, al lavoro, nel quotidiano: l’assuefazione al male, il restare indifferenti di fronte a gente che viene cacciata in strada, e non di rado sono famiglie con bambini, il ritorno della banalità del male.

Spero che questo mio sforzo di restare umano faccia venire ad altri il dubbio che se siamo tutti eguali forse abbiamo diritto tutti ad una vita dignitosa con i nostri simili, nessuno escluno (non uno di meno…).

Resto umano perché tento di credere ancora nella umana specie.

Saluti solidali e antifascisti a tutt*

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 Riccardo Infantino

Non una di meno La giornata contro la violenza maschile sulla donna vista da un uomo

Come (spero) tanti altri maschietti sto seguendo le iniziative del comitato Non una di meno in occasione del 25 novembre, Giornata contro la violenza maschile sulle donne, in particolare il manifesto di convocazione della manifestazione nazionale a Roma, il 24 novembre.

Scorrendolo mi è piaciuto il fatto che le organizzatrici non si sono limitate a rimarcare ancora una volta la sussistente presenza di un assetto tendenzialmente patriarcale nella sfera del pubblico come in quella del privato – assetto esercitato con forme di coercizione contro la donna non solo fisica ma anche politica (il decreto Pillon ne è un esempio lampante) e morale – , ma ricordano anche la assai meno mediatizzata, ma non per questo meno brutale, guerra contro gli individui LGBTQIA, messa in atto dalle norme a dir poco anticostituzionali (tale è il giudizio del Consiglio Superiore della Magistratura) del decreto sicurezza Salvini, che persegue una politica di controllo capillare ed atomizzante di tutte le persone presenti sul territorio nazionale.

Mi sono sempre chiesto, da uomo, cosa possiamo fare noi maschi per contribuire il più possibile nel modificare e cambiare questo stato di cose, ed avendo vissuto la mia adolescenza all’epoca del Movimento del Settantasette mi sono tornati alla mente slogan quali “Maschio represso masturbati nel cesso”, oppure “Maschio cretino pulisci il lavandino”, o ancora “L’utero è mio e lo gestisco io” (questo in effetti risale al Sessantotto).

Erano anni di contrapposizione forte e (non di rado) violenta, anche nel linguaggio, spesso di non comunicazione reciproca, con il disastroso effetto collaterale che il puntare tutta l’attenzione sullo scontro uomo vs donna lasciava in ombra la discriminazione forte (anche, lo devo proprio dire onestamente, da parte di donne) verso la comunità gay e trans.

Fortunatamente i tempi sono cambiati, e se purtroppo l’impostazione patriarcale violenta sta tornando in auge in perfetta sincronia con l’erosione dei diritti umani fondamentali (si, quelli della persona, che viene sempre prima di qualsiasi orientamento sessuale) compiuta da un capitalismo che – mi verrebbe da dire con Marx – sta iniziando a mangiare se stesso, una apertura concreta alle rivendicazioni di tutti gli orientamenti sessuali non maschili mi lascia ben sperare che potremmo non ricadere, chi più chi meno, in una divisione ognuno nel proprio orticello, possibilmente guardandoci tutti di traverso, come vuole chi ci pretende governati docili e ubbidienti (sono populista e banale? Forse si, ma è quello che penso).

Andando sul piano pratico cosa faccio come maschio per cambiare lo stato di cose di cui sopra (domanda da porsi sempre)?

Molto semplicemente cerco di considerare prima di tutto la persona, l’essere umano che ha valore di per sé, e poi, forse, il suo orientamento sessuale.

Tento di gestire il mio quotidiano infischiandomene della distinzione tra lavori da uomo e da donna: pulisce in casa chi sporca, e cucina chi arriva per primo, così magari gli altri lo aiuteranno dopo nelle faccende, come suggerirebbe quella meravigliosa cosa che si chiama buon senso…

Tengo sempre conto che ognuno di noi è costituito da una parte femminile e da una maschile che si intersecano (avete presente lo Yn e lo Yang?), e che non ci si deve vergognare dell’una o dell’altra, quando le si sviluppa in armonia.

Magari mi illudo, da maschietto ironicamente provocatore, di trovare l’Isola che non c’è…ma non vale la pena di provare a cercarla?

Hai visto mai tornasse nelle persone una dose di sano rispetto per chiunque, e magari (sempre sull’Isola che non c’è ma potrebbe esserci) potrebbe anche venire mutato il clima autoritario e patriarcale che sta tornando così di moda, e che non fa bene nemmeno a chi lo instaura?

Saluti antifascisti a tutt*

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 Riccardo Infantino

Prima di tutto siamo esseri umani

Una importante decisione è stata presa dall’Autorità Garante della Privacy riguardo le disposizioni impartite dal ministro dell’interno, Matteo Salvini, che ha “ordinata” l’eliminazione dalla modulistica ufficiale della dicitura Genitore 1 e 2, ripristinando quella precedente di Padre e Madre.

L’Autorità ha ritenuto non lecita la proposta di modifica perché potrebbe, ad esempio, portare a dichiarazioni non corrispondenti a verità nel caso – previsto dalla legge Cirinnà – di coppie omogenitoriali, tanto per fare un esempio.

Il ministro ha dichiarato che andrà avanti comunque, sostenendo che un bambino ha diritto ad avere un padre ed una madre.

La prima considerazione che mi è saltata alla mente appena letto della proposta di cambiamento nella definizione delle figure genitoriali ho, molto paranoicamente, pensato: ma viene prima il padre o la madre?…

Francamente pensavo che si tenesse conto del fatto che la legge Cirinnà pone su di un piano di (quasi) parità i cittadini, indipendentemente dal loro orientamento sessuale (e come tutte le leggi va molto migliorata, senza dubbio), e che non avesse più senso irrigidirsi in un tenace quanto ostinato binarismo sessuale (c’è solo l’etero maschio o femmina).

O forse lo ha ispirato la frase del suo collega Fontana, a capo del dicastero della famiglia, che sostiene la impossibilità della esistenza di famiglie omogenitoriali…

Tanto per capirci: l’OMS cancellò nel 1990 dalle malattie mentali l’omosessualità, ridando dignità umana a chi voleva e vuole legittimamente manifestare le proprie inclinazioni e rivendicare il diritto di formare una famiglia giuridicamente riconosciuta a tutti gli effetti.

Come essere umano, prima ancora che come partigiano (perdonate il termine eccessivo) dell’ANPI, penso a Luca Trapanese, che ha adottata una bammbina down rifiutata da ben sette famiglie dopo essere stata abbandonata in ospedale…conta qualcosa che sia single e gay? Penso proprio di no, basta guardare la foto che lo ritrae con sua figlia, l’amore di padre con cui la guarda.

Saluti resistenti a tutt*

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 Riccardo Infantino

Da San Giovanni in Laterano fino alla Stazione Termini una risposta forte al decreto sicurezza che creerà clandestini e strangolerà i diritti costituzionali.

Manif.DecSic1

Stavolta posto il pezzo dal corteo, piú precisamente di fronte al camion dal quale si stanno tenendo gli interventi: ha aperto Mimmo Lucano, hanno proseguito gli altri parlando dell’orrore di Lodi (i bambini stranieri esclusi dalla mensa scolastica), della nave Juventa, dell’oscenità del decreto Pillon.

Siamo una totale sinergia collettiva di tante individualità che cercano e rivendicano i diritti umani, che precedono qualsiasi ideologia.

Mai come ora sono orgoglioso di essere parte dell’ANPI.

Saluti antifascisti e antirazzisti – e perciò umani – a tutt*

Manif.DecSic

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 Riccardo Infantino

 

Noi e la Guerra

(se vuoi la pace prepara la pace)

Si, la Grande Guerra, quella che fa parte dell’immaginario collettivo italiano ed europeo, e di cui si parla come se ormai avesse assunti i contorni del mito.

Avendo la naturale predisposizione ad un pensiero un pochino divergente ho sempre pensato che la Guerra e le guerre (nelle quali siamo immersi tutt’ora…) non erano quelle dei monumenti alla vittoria di cui l’Italia è cosparsa, al pari delle lapidi che riportano le parole del generale Armando Diaz che annuncia la fine del conflitto, ma la massa compatta di dolore del poeta soldato Giuseppe Ungaretti, che dopo essersi arruolato sull’onda della fanfara patriottica del “coprirsi di gloria perché magari si muore per la Patria” provò su di sé quella che lui stesso, in una intervista alla RAI del tempo che fu (era il 1968) definì “l’atto più bestiale” che mai l’uomo possa compiere.

Come cittadino che crede all’articolo 11 della Costituzione, quello che “ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” e come iscritto all’ANPI provo non di rado un dilemma morale: forse non sarebbe stato possibile scrollarsi di dosso il macigno fascista se non tramite la lotta armata (mi perdoni chi è della mia generazione e di quella precedente, per le quali l’espressione che ho utilizzata significa Brigate Rosse, lo dico al netto delle polemiche e delle prese di posizione), ma allora come mai l’Italia nata dalla Resistenza antifascista e dèdita alla conservazione della pace era ed è coinvolta in azioni militari che di per sé sono l’antitesi del concetto di pace effettiva, e non di assenza di guerra mantenuta (diciamo meglio: cercata di essere mantenuta) con un controllo armato “preventivo”?

Forse non a torto mi viene dato dell’illuso, ma penso sempre alle parole del partigiano Sandro Pertini, che invitava a sperare sempre, anche quando la speranza pare non ci sia più.

Questi sono i momenti in cui sento forte il senso di una associazione come l’ANPI: conservare la memoria del passato – guerre incluse – per educare le generazioni che vengono dopo di noi alla pace non intesa come recita uno dei princìpi dello stato romano (perdonate la deformazione professionale…), “se vuoi la pace prepara la guerra” (si vis pacem para bellum), perché non è pace una non guerra mantenuta – magari attraverso missioni internazionali destinate a tutelare una non ben precisata sicurezza – con gli stessi strumenti che servono a scatenare un conflitto, ma una condizione stabile che non ricorra alle armi per mantenere se stessa: potremmo dire “se vuoi la pace prepara la pace” (si vis pacem pacem para).

Saluti resistenti a tutt*

 

  Silvio della Tuscia 

Tra la gente

In merito alla dichiarazione dell’esponente Pd Astorre, candidato alla Segreteria regionale, rilasciata a Viterbo su Casapound, non voglio abboccare di per sé all’amo della sintesi giornalistica, poiché è chiaro che questo politico, leggo di origini democristiane, non voleva intendere, al netto dell’infelicità ed inopportunità dell’esempio, di sposarne il programma ma il presunto attivismo pubblico.

Qui c’è da precisare, tralasciando il Pd su cui non intendo spendere una parola oltre a queste, che Casapound non deve quasi per nulla il suo successo allo stare tra la gente, dove semmai si fa largo con intimidazioni e violenze, ma al traino mediatico che le è stato concesso, frutto del revisionismo strumentale e dello sdoganamento che, sebbene in casi locali per ora limitati, ha significato anche successo elettorale.

E veniamo all’imperativo del tornare tra le persone di cui si parla da un decennio. La presenza fisica in giro, di per sé, da sola, non vuol dire nulla. Se così non fosse, “Lotta comunista”, che da sessant’anni, credo, non solo sta in piazza ma si spinge indiscriminatamente fino alle porte di tutte le case per diffondere la propria stampa, conterebbe oggi milioni di adepti. Se così non fosse, Rifondazione che, dieci anni fa, ha lanciato il Partito sociale, con i Gap e le Brigate di solidarietà che ne sono scaturiti, sarebbe ora un partito di massa, mentre da allora, non solo ha continuato a vedere l’inarrestabile caduta libera dei suoi consensi, ma ha ampiamente dimostrato la propria incapacità di farsi un soggetto politico incisivo diffuso. Tutto ciò, al netto certo della generosità dei militanti che si sono impegnati in quei progetti (a suo tempo, sulle prime, lo feci anch’io…).

Così come, almeno per fare mente locale, bisogna sgomberare il campo dalle illusioni elettoralistiche, dall’idea cioè che qua la risolviamo con qualsivoglia alchimia di coalizione per rimettersi in carreggiata sedendosi su qualche poltrona, bisogna farlo da quelle volontaristiche. La volontà è un presupposto indispensabile dell’azione politica ma il solo fare non è la soluzione, se non si accompagna ad un’idea, omogenea e disciplinata nella pratica, di trasformazione rivoluzionaria della società nel suo complesso. Bisogna, per concludere, tornare ad essere non semplici volontari od operatori ma militanti.

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OTTOBRE – In questa pagina inseriremo ricordi, racconti, riflessioni storiche di quanti vogliono narrare e riportare fatti accaduti negli anni o di recente attualità, riguardanti la storia e l’evoluzione sociale dei partigiani italiani. clicca qui (per lasciare un commento o una riflessione)

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 Riccardo Infantino

Il non fascismo fascista

Tranquilli, non sono impazzito (o almeno spero di no…per ora); il titolo del pezzo di questa settimana vuole mettere in guardia prima di tutto me stesso da un pericolo strisciante: il diventare fascista senza accorgersene.

Un meccanismo perverso della umana psiche è quello dell’adattamento progressivo ad input esterni martellanti e ripetitivi ben propinati per sopravvivere senza finire relegati in una condizione di isolamento che alla lunga potrebbe rendersi insopportabile.

Se ciascuno di noi iscritti all’ANPI si prendesse la briga di chiedere a una ventina di persone in modo diretto :”Scusa, ma tu sei fascista?”, certamente la maggior parte degli “intervistati” risponderebbe “No!, certo che no!”.

Ad una eventuale seconda domanda del tipo: “Secondo te è giusto che gli immigrati non paghino il ticket per le prestazioni sanitarie e che vengano ospitati in strutture di accoglienza” la proporzione si invertirebbe (fatta la prova…): la maggior parte risponderebbe “Non si può, non ci sono soldi per gli italiani, figuriamoci per gli altri!”.

Mi è venuto in mente questo banale esperimento di ingegneria sociale leggendo la notizia che il Parlamento Europeo , in una risoluzione del 17 ottobre scorso, ha chiesto ai paesi membri di mettere al bando i gruppi di ispirazione nazista e fascista, considerato il loro rinascere e proliferare al punto da essere ormai fuori da realtà di nicchia, come poteva essere non molto tempo fa.

Nel documento vengono citati gli ormai troppo numerosi episodi (alcuni finiti tragicamente) che stanno costellando le cronache non solo italiane ma europee, e in particolare viene sottolineata l’impunità con la quale agiscono e l’uso massivo della Rete per propagandare messaggi di odio e intolleranza contro chiunque non sia come loro.

Merita particolare attenzione il punto E, “considerando che i gruppi neofascisti e neonazisti si manifestano in varie forme; che gran parte di questi gruppi si richiama al principio della libertà di parola; che il diritto alla libertà di parola non è assoluto”: viene centrata la loro contraddizione più eclatante, l’appellarsi alla libertà di parola e di espressione di un credo che prevede l’eliminazione (non solo verbale…) di chiunque nazifascista non sia.

La democrazia fondata sulla sovranità popolare non può ospitare al suo interno (ce lo ricorda la Disposizione Transitoria XII della Costituzione e le leggi Scelba e Mancino) un qualcosa che propagandi l’esatto contrario, sarebbe come portare un cavallo di Troia nel proprio paese.

Tutto questo sembra pacificamente accettato, ma oggi – come nel periodo precedente il ventennio – molti degli “intervistati” di cui sopra direbbero, ad esempio, di non essere antifascista, ma di non essere nemmeno fascista; di provare umanità per gli immigrati, ma di non poterli proprio aiutare…e poi sono troppi, darebbero problemi, portano una cultura estranea alla nostra, e magari vorrebbero piano piano sostituirsi a noi…

Questi ed altri input quali il paventato pericolo di una invasione islamica o di una emergenza terrorismo, sempre di ispirazione islamica (il Corano non dice questo, basta andare a leggerselo…), e della necessità di non trascurare gli italiani a vantaggio di chi viene da fuori sono ripetuti continuamente ma non contemporaneamente, perché in questo modo chi se li sente ripetere a ciclo continuo durante il giorno inizia a pensare che forse non sono poi troppo stereotipi, non pensando che basterebbe metterli a confronto per notarne la inconsistenza.

Quando si perde di vista il quadro generale si è portati piano piano a farsi convincere che non è un atteggiamento magari severo nei confronto di chi “italiano” non è (ma allora i figli degli immigrati che nascono in Italia cosa sarebbero?) a far risorgere il fascismo; certo, il tuo, quello del tuo vicino, dei tuoi colleghi di lavoro, di qualche tuo amico o familiare…tutte forme di intolleranza parcellizzata che inevitabilmente verranno riunificate da qualcuno che non si è dichiarato fascista prima, ma che poi lo espliciterà magari con la connivenza di qualche illustre politico.

Avete presente l’occupazione (ormai storica) abusiva dello stabile di Roma in Via Napoleone III, divenuto il quartier generale di Casapound?

Sappiamo bene che nel pacchetto sicurezza Salvini è previsto lo sgombero di tutti gli immobili occupati abusivamente per restituirli ai legittimi proprietari; peccato che la Guardia di Finanza si è vista rinviare proprio quello del palazzo di cui sopra, senza che un Ministro degli Interni che ha fatto della cessazione di occupazioni illegali uno dei cardini del suo piano di sicurezza non abbia detto nulla al riguardo, perché non è una priorità…

Saluti resistenti a tutt*

 

  Barbara Cozzolino

Roma: quartiere San Lorenzo

Comunque nel quartiere San Lorenzo ci sono nata e ci ho vissuto fino a 3 anni e mezzo. I miei nonni hanno seguitato a viverci fin quando, avevo 12 anni, si sono trasferiti a casa nostra. La maggior parte dei miei Natali l’ho passata lì, in via dei Dalmati, dietro la Sapienza.

Ci sono tornata a 20 anni per l’università, frequentando quel quartiere per almeno 8 anni.

Questo decantato degrado non l’ho mai visto. Molti ne parlavano, lo indicavano come un pessimo quartiere. Io lo ricordo come un quartiere popolato per lo più da giovani studenti, sia di giorno che di sera. Pizzerie e pub erano frequentatissime dal lunedì al giovedì, un po’ meno il fine settimana, considerando che molti studenti fuorisede tornavano nelle loro città.

Conservo un bellissimo ricordo di quel quartiere. E, prima di me, lo conservano mia madre e i miei zii, che ci sono cresciuti.

Un ricordo un po’ meno bello lo avevano i miei nonni, che vissero il famoso bombardamento. In particolare mia nonna, che per un’osservazione ad alta voce rischiò di essere fucilata dai nazo-fascisti. Eppure quanta nostalgia ebbe quando, nel 1984, in seguito a un ictus, lei e mio nonno non potettero più vivere da soli ma furono costretti a trasferirsi da noi, a Cinecittà.

Quanti aneddoti mi raccontava, su San Lorenzo.

I miei nonni, folignano lui, civitavecchiese lei, vennero a vivere a Roma, quartiere San Lorenzo, negli anni ’40. Mia nonna amò subito quel quartiere. Il 19 luglio 1943 ci fu il famoso bombardamento. Mia nonna aveva già mia zia Assunta ed era incinta di mia zia Carla, che sarebbe nata un mese dopo. Si era sdraiata sul letto, faceva molto caldo. Mio nonno accorse dicendole che dovevano ripararsi, c’era stato l’allarme e lei raccontò che, nella fretta, dovette scappare senza rimettersi le mutande che si era tolta per riposare meglio. . Il giorno dopo, o pochi giorni dopo il bombardamento passeggiava con mia zia di un anno e mezzo e con il suo pancione di 8 mesi per i via adiacenti al cimitero Verano. Notò i soldati tedeschi che sradicavano le lamiere del tram divelte dal bombardamento e le venne da commentare: “Questi te se porteno via pure l’occhi!”.

Un soldato italiano la sentì e corse a dirlo ai soldati tedeschi, i quali, prontamente, la trascinarono verso un albero puntandole il fucile contro.

Per fortuna, anche tra i soldati tedeschi c’era un po’ di umanità. Uno di loro, scagliandosi contro il soldato con il fucile puntato, gridò nel suo italiano stentato: “Ahi! Donna bambino in braccio! No!”.

Mia nonna ha desiderato per tutta la vita reicontrare quel soldato “buono”, nonostante fosse tedesco, che le salvò la vita. Non aveva simpatia per i tedeschi, per ovvi motivi, ma sosteneva che il buono e il cattivo lo si trova in tutti i popoli.

Nonostante questo spiacevole episodio a San Lorenzo rimase sempre molto legata, anche quando lei e mio nonno furono costretti a trasferirsi da noi a Cinecittà.

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 Riccardo Infantino

Legittima (?) difesa

Stavolta vorrei parlare della iniziativa condotta dalla associazione Antigone riguardo la proposta di modifica della legge sulla legittima difesa, che inizierà il proprio iter parlamentare il prossimo 23 ottobre, e che potrebbe introdurre, se approvata, mutamenti profondi nell’articolato oggi vigente.

L’articolo 52 del Codice penale prevede infatti che sia legittima la difesa che si renda necessaria per proteggere la persona e che rispetti la proporzionalità rispetto all’offesa (detto in termini espliciti crivellare di colpi con un fucile qualcuno che si è introdotto in casa propria impugnando una mazza di ferro non lo è…).

Nel 2006 furono introdotti – proprio per volontà della Lega (…) due commi che introducevano la presunzione di proporzionalità della difesa nel caso in cui ci fosse stata violazione di domicilio o il fatto fosse accaduto in un esercizio commerciale, ma che comunque non escludevano o limitavano l’azione della Magistratura, il cui compito è quello di stabilire la effettiva sussistenza di legittima difesa e reazione proporzionata oppure no.

La proposta di modifica (si tratterebbe di aggiungere due commi all’articolato già esistente) acquisirebbe la presunzione di legittimità di difesa in ogni caso in cui si reagisca di fronte ad un presunto ladro o chiunque miri a “creare uno stato di agitazione o di paura nella persona offesa”.

In altre parole: qualcuno mi entra in casa, impugno un’arma e lo colpisco perché credo che sia venuto a rapinarmi o ad usarmi una qualche violenza; sia che lo ferisca o che lo uccida la legge mi riconosce comunque la legittima difesa (intendendo con tale termine una reazione proporzionata all’offesa).

In una analisi dettagliata l’associazione Antigone esamina tutti i rischi connessi al progetto di modifica:

– aumento delle armi in circolazione (e le richieste di porto d’armi hanno subìta una impennata proprio a partire dall’inizio del dibattito sulla legittima difesa)

– pericolo per i cittadini, dato che possedere una pistola o un fucile non significa necessariamente essere in grado di non usarli a sproposito o solo se assolutissimamente necessario

– i professionisti del crimine, di fronte alla possibilità di una reazione armata delle vittime, non esiterebbero ad usare le armi per primi, con conseguente aumento dei reati violenti – e l’Italia è il paese con il più basso numero di omicidi –

– vanificazione del ruolo della Magistratura, che non potrebbe indagare per valutare se ci sia stata legittima difesa od altro

– sostituzione dell’imprescindibile diritto alla vita con quello della difesa ad ogni costo della proprietà privata

Ultima considerazione: i procedimenti penali che si sono occupati di stabilire se la reazione armata fosse stata legittima e proporzionata all’offesa sono stati (dati del Viminale…) 5 nel 2013, 0 nel 2014, 3 nel 2015 e 2 nel 2016.

Non sono certo numeri così alti da far parlare di emergenza come invece si sostiene nel discorso di presentazione degli emendamenti alla legge e nella campagna mediatica che si sta scatenando in concomitanza con quella contro gli immigrai brutti, sporchi e cattivi…

Da questa pagina (io l’ho fatto, e spero di essere in grande compagnia) si può agire per far sentire la propria voce di dissenso.

Essere antifascisti e (magari) membri dell’ANPI significa anche adoperarsi per far prevalere l’attuazione della legge (e della conseguente sicurezza) attraverso i pubblici poteri, non demandarla ad una giustizia personale fuori da ogni controllo.

 

Saluti resistenti a tutt*

 

 Riccardo Infantino

Quando a parlare sono gli studenti

Leggo con grande emozione della lettera indirizzata dalla Rete degli Studenti Medi di Viterbo al dirigente scolastico del Paolo Savi in merito alle foto che ritraevano alunni dell’istituto che si esibivano in classe, nella vergogna (tale va definita) del saluto romano.

I ragazzi, che si mostrano perfettamente consapevoli della funzione democratica e di esempio antifascista della scuola (citano Calamandrei che la definì organo istituzionale) rivolgono al dirigente un accorato appello a far sì che episodi come questo – sentore di un clima assai poco democratico – non si ripetano oltre, e che si combatta il principio di esclusione del diverso che è una delle basi della mentalità fascista attraverso la pratica della diversità e della valorizzazione della sua ricchezza.

Davvero niente male, forse possiamo sperare in un futuro meno feroce dell’attuale presente?

Saluti resistenti a tutt*

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 Riccardo Infantino

Riace o della disobbedienza

La ormai fin troppo nota vicenda del provvedimento di arresto domiciliare comminato a Domenico Lucano, sindaco di Riace e quello del divieto di dimora a sua moglie ripropone, stavolta in modo così eclatante che nessuno potrà sentirsi neutrale (in altre parole ci si dovrà schierare pro o contro), un dilemma che era destinato a manifestarsi prima o poi: il conflitto tra una legge (e la sua procedura amministrativa) e la necessità di attuare senza se e senza ma quel principio di solidarietà che è dichiarato nell’articolo 2 della nostra Costituzione (che di ogni legge è la fonte ed il termine di confronto), che riconosce come inderogabili i doveri di solidarietà politica, economica e sociale.

Di cosa è accusato e per cosa è stato inquisito il primo cittadino di Riace? L’ordine di custodia domiciliare parla di gestione superficiale e disinvolta dei fondi destinati alla accoglienza, di organizzazione di matrimoni di comodo celebrati al solo scopo di far acquisire attraverso di loro la cittadinanza italiana, in altre parole (e la GdF porta come prova una serie di intercettazioni telefoniche) una serie di violazioni coscienti e deliberate di norme e procedure amministrative.

Gia…ma per quale scopo?

Sempre nel rapporto che il GIP ha firmato per procedere all’arresto viene ribadito chiaramente che questa lunga serie di comportamenti quanto meno disinvolti, al confine tra legale e non, mai si è tradotta nei reati contestati a Lucano: concussione, truffa e favoreggiamento della immigrazione clandestina; non c’è dunque danno per lo Stato, né profitto personale di alcun tipo.

Ancora più esplicita la Prefettura di Reggio Calabria a conclusione di una prima indagine nel 2017: Riace è un modello di accoglienza che restituisce dignità alla Calabria e la segnala positivamente in campo internazionale.

Personalmente ho trovato davvero equilibrato il giudizio di Amnesty: l’inchiesta in corso accerterà se Domenico Lucano abbia commesso o no illeciti, ma la sua azione umanitaria ha ridata vita ad una cittadina ormai in via di estinzione e soprattutto ha dimostrato che un modello di accoglienza diffusa può essere praticabile e gestibile a vantaggio di tutti.

Violare una legge ritenuta ingiusta e non consona ai diritti umani fondamentali per attuare questi ultimi: non è nuova questa considerazione, dato che proprio ottanta anni fa, dopo la promulgazione delle leggi razziali, molti cittadini violarono scientemente quelle norme per mettere in salvo altri esseri umani.

Oggi (giovedì 4 novembre) Mattarella ha firmato il decreto sicurezza, inviando contestualmente al Governo una lettera di esortazione al rispetto dei princìpi della Carta Costituzionale: personalmente non credo che sarà facile osservarli se il decreto diventasse legge, dato che inverte il rapporto libertà sicurezza a vantaggio della seconda (e quelli della mia generazione sanno bene che negli anni di piombo le leggi speciali antiterrorismo non portarono certo una difesa della libertà e della sicurezza, ma una sua drammatica decurtazione).

Forse potrebbe rendersi di nuovo necessario violare una legge per riaffermare la dignità umana?

Saluti resistenti a tutt*

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  Barbara Cozzolino

Due portafogli a paragone

L’altro giorno sono usciti nei quotidiani, locali e nazionali, due articoli riportanti due episodi analoghi: il ritrovamento e la successiva restituzione di un portafogli smarrito.

In entrambi i casi l’episodio ha visto protagonisti due soggetti. Nel primo caso si trattava di due ragazzini undicenni, in provincia di Fermo, nelle Marche.

E, in questo caso, i commenti all’articolo sono stati positivi,

https://www.facebook.com/Messaggero.it/posts/2449498621730187?

comment_id=2451205728226143&notif_id=1538246263187423&notif_t=feed_comment

In un’atmosfera alla De Amicis, ci si complimenta con questi due giovanissimi e con le loro famiglie, che sicuramente hanno saputo ben educare i propri figli al rispetto e all’amore. “E menomale ….vuol dire che i I genitori di questi ragazzi hanno saputo seminare !!!!” Commenta

A.G.; oppure “Bravissimi si capisce che i vostri genitori sono persone civili e così hanno insegnato a voi complimenti a voi e i vostri genitori” dice V.P.

Ci si complimenta con il quotidiano, Il messaggero, in questo caso, per aver riportato la lieta notizia; perché è bello, di tanto in tanto, leggere anche di questo: “Queste sono le notizie che voglio leggere e che mi rendono felice”. scrive S.C. Oltre a Il Messaggero, diversi altri quotidiani nazionali ne hanno parlato.

La notizia analoga, invece, è accaduto a Viterbo, nel Lazio. È stata riportata da pochi quotidiani nazionali e non è stata rilanciata nei social, dove i lettori, solitamente, commentano. Solo alcune testate locali, come Tusciaweb, le hanno condivise nei social. Essa vedeva come protagonisti due africani, due immigrati, due stranieri, due profughi… chiamateli un po’ come vi pare. Perché, comunque li si chiami, l’effetto della notizia, come si evince dai commenti, è stato nettamente diverso https://www.facebook.com/Tusciaweb/posts/2111318628892501?

comment_id=2112938612063836&notif_id=1538230069277444&notif_t=feed_comment

Commenti volti a specificare che l’evento in sé non dovrebbe far notizia: “X forza…l’assegno nn lo potevano spendere ed allora hanno provato x la cittadinanza onoraria!!!!” scrive A.C., ovviamente in una grammatica italiana pietosa. E siccome perde tempo per commentare questo articolo, prova a risparmiarlo utilizzando il segno della moltiplicazione in luogo della preposizione semplice;

“Hanno fatto ciò che era giusto, non vedo niente di eccezionale….vogliamo dare la medaglia e farli eroi? Assurdo fare un articolo su questo!!!”, incalza A.M.C.

Commenti di incredulità: “Sembra una storia tanto carina…..io non ci credo” scrive P.C.A.C.; “Non credo ne anche se vedo aaaaaa”, è il commento di M.B.P., anche qui massacrando la grammatica italiana.

Commenti ironici: “Mo li faranno eroi!!!!!ma pigliatevelainculonia” (T.A.); “Io gli farei un mezzo busto in marmo nella piazza principale…” (L.T.M.)

Razionalmente, verrebbe da chiedersi il perché due eventi analoghi suscitino reazioni diverse. Non si tratta, in entrambi i casi, di un bel gesto?

Probabilmente, se i protagonisti delle due storie fossero appartenuti allo stesso ceto sociale e, soprattutto, fossero stati della stessa nazionalità non staremmo neppure qui a spiegare.

Già tempo fa parlai di Thorndike e dei suoi studi. Ormai la tendenza del popolino è quella di considerare lo straniero come il cattivo e i pochi che provano a contraddire questo pensiero ormai acclamato e instillato nelle menti diventano cattivi e pericolosi a loro volta. Pertanto, lo straniero che compie un bel gesto è percepito solamente come una piccolissima devianza dalla norma.

Per secoli e secoli, in fondo, l’uomo ha creduto che il lupo fosse cattivo. E, in moltissimi, lo pensano tutt’ora.

 
 Giancarlo Paglia

Bene bravi bis

Bene! Bravi! Così si fa! Grandi! Daje! Ce ne vorrebbe di gente così!

Siamo tutti con voi!

I “bravi e grandi” sono un pugno di ragazzi che, senza clamori e senza pubblicità, puliscono un marciapiede, una piazza, ridipingono un muro, strappano erbacce…

I “siamo tutti con voi” sono quelli che da dietro una tastiera applaudono e magari suggeriscono anche dove intervenire in un prossimo futuro.

Visto e rivisto. Uno lavora e dieci guardano.

Del resto ti rispondono: si, ma io pago le tasse per avere la città pulita, perché dovrei sporcarmi le mani per farlo in prima persona?

E quindi secondo te quelli che applaudi sono dei fessi.

E quindi li stai anche prendendo per il culo.

Che poi, tutto sommato, come ragionamento potrebbe anche starci.

Me se chi di dovere non lo fa, facciamo almeno qualcosa per spingerlo a farlo.

Scendiamo in piazza, in tanti, mostriamo che siamo stanchi di certe situazioni. E che siamo uniti in questa protesta perché il degrado incontrollato della città nella quale viviamo interessa tutti noi.

“Si, vabbè… ma però… ma tanto… so tutti uguali… nun cambia gnente… “

E poi, giù, tutta una serie di giustificazioni degne di uno studente che non vuole essere interrogato. Compresa la nonna morta sette volte e il canarino con la gotta.

“Andate voi a protestare, che noi vi applaudiamo su facebook, perché tanto siamo tutti di un sentimento”.

In pratica il famoso “armiamoci e partite”.

E così, mentre da una parte quattro gatti volenterosi puliscono, dall’altra quattro gatti volenterosi dovrebbero combattere la battaglia di tutti.

Mettendoci la propria faccia, impiegando il loro tempo libero, sacrificando il loro giorno di festa, impiegando le loro forze.

È giusto pretendere che sia il comune, l’amministrazione, lo Stato, ad operare per quello per cui paghiamo.

Ma se non lo fa? Restiamo a guardare?

Ricordo l’immagine di un uomo, grande e grosso, visibilmente in salute, seduto su una sedia fuori di una tenda a pochi giorni da un terremoto. In canottiera e con le braccia incrociate sulla prominente pancia, mentre intorno nugoli di volontari si davano da fare per portare il loro aiuto.

All’intervistatrice che gli chiedeva cosa stessero facendo i soccorsi per loro, rispose anche un po’ alterato:

e che stanno facendo? Niente. Siamo stati abbandonati. Sono già le dieci e ancora non ci “hanno portato” ‘o cafè.

Giuro, visto in televisione.

Per me quell’omone seduto ad aspettare il caffè, è l’immagine esatta di molti “lamentatori” facebookiani.

Ci si lascia morire in una palude di merda, senza fare niente per provare a uscirne, in attesa dell’arrivo di quelli pagati per salvare e per portare il caffè.

E ci si continuerà a lamentare a braccia conserte fino a quando la merda non sarà, finalmente, arrivata alla bocca riempiendola.

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 Riccardo Infantino

Rieducazione alla democrazia

Leggo in queste settimane del decreto che dovrebbe mutare le leggi attualmente in vigore in materia di immigrazione e sicurezza – uso il condizionale perché Mattarella ancora non lo ha firmato, magari si rende conto che potrebbero essere violati almeno tre articoli della Costituzione (qui i punti critici) -, e mi colpisce l’aver unito il discorso della immigrazione con quello della sicurezza (indicativo, vero?).

Ripenso anche che un significativo 17% degli elettori ha data fiducia alla Lega (non la maggioranza, come si tenta di far credere…), che si è completamente palesata nel mostrare i presupposti antidemocratici e antisolidali della sua essenza politica.

Percepisco, da semplice persona della strada, un ben diffuso desiderio di cambiamento …non condotto da tutti (troppa fatica…), ma affidato ad un qualche messia taumaturgo che con la sua forte tempra umana e politica risani il nostro paese e finalmente ristabilisca la giustizia ed il benessere dei cittadini…un momento, freniamo, per caso non è l’attesa di un redentore trasportata in campo politico (ma non dimentichiamoci che una parte della Resistenza, matrice prima della Costituzione, era di orientamento cattolico).

Alla fine di queste noiose riflessioni torno a pormi una domanda: come si è arrivati a tutto questo, ad una democrazia in sofferenza, dove la solidarietà intelligente (uno dei cardini dell’Europa concepita nel Manifesto di Ventotene) è chiamata buonismo e dove si plaude a proposte di legge che intervengono limitandosi ad eliminare un problema invece che inquadrarlo nell’orizzonte generale che lo determina, ed agire in quel senso.

La risposta che mi viene in mente è solo una: la diseducazione alla democrazia ed alla sovranità popolare, come stanno ad indicare nelle consultazioni elettorali le percentuali di astensione dal voto (e se non si esprime la propria volontà la si abdica per qualcun altro…)

Rgionando molto pragmaticamente noto che il pericolo maggiore sia in un atteggiamento del tipo “Fino ad ora tutti i governi ed i partiti non hanno agito nell’interesse del paese, non si sono assunti le proprie responsabilità e siamo arrivati al punto in cui siamo. Allora ben venga chi punta dritto alla soluzione dei problemi, almeno porrà un freno”…è un ragionamento che ho ascoltato più volte (anche ora mentre scrivo le mie noiose considerazioni), e puntualmente la mia risposta è :”Ma tu, io, noi, cosa abbiamo fatto e copsa facciamo come cittadini e prima ancora come esseri umani per cambiare le cose?”.

Una seria rieducazione alla democrazia, espressa attraverso la sovranità popolare – l’esatto contrario del “grande” uomo al comando che rimetta a posto le cose e assai distante da una pseudodemocrazia su base plebiscitaria, dove la folla plaude al “grande” uomo di cui sopra – potrebbe iniziare dal quotidiano, dalle scelte di ogni giorno compiute non considerando chi viene da fuori un pericolo o la fonte dei mali del paese, perché non è, come qualche illustre politico ha detto di recente, difendendo i confini che si risanerà l’Italia; ci si rieduca alla democrazia agendo con il pensiero che nessuno si salva da solo, e che la guerra tra vecchi e nuovi poveri è funzionale solo ad una politica globale di sfruttamento.

Pretendo troppo?

Saluti resistenti a tutt*

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 Riccardo Infantino

Rete Studenti Medi Viterbo vs Blocco Studentesco Viterbo

Non è l’annuncio di un incontro di pugilato o wrestling, ma una mia piccola considerazione su un episodio che si è guadagnato spazio sui quotidiani della nostra provincia.

Tutto inizia quando, il 18 settembre scorso, diversi studenti del Liceo Mariano Buratti di Viterbo ripuliscono il muro della loro scuola da scritte e graffiti ben poco artistici che fino a quel momento lo avevano “impreziosito”.

L’intento dei ragazzi che fanno capo alla Rete degli Studenti Medi, come da loro stessi dichiarato, è quello di restituire lo spazio murario in questione alla loro creatività, avviando di concerto con la preside dell’istituto un progetto per la realizzazione di un murales.

La notte tra il 18 e il 19 settembre è “misteriosamente” comparso, sul muro appena reimbiancato, uno striscione con il logo del Blocco Studentesco (l’organizzazione giovanile degli studenti che si ricollega a Casapound) che recita: “I ragazzi sono colpevoli”.

Un messaggio che in effetti può dare luogo a molteplici interpretazioni: colpevoli di cosa? Gli autori del “bel gesto” non hanno lasciate spiegazioni, resta solo un atto incivile che ha imbrattato un muro appena ripulito, azione non proprio civilissima, vero?

La “rivendicazione” del gesto da parte del Blocco Studentesco non si è fatta attendere: di fronte alla manifestazione di solidarietà dal circolo “Conoscenza” Rifondazione Comunista, che contestava l’atto vandalico come intimidatorio, proprio nella sede di una scuola intitolata al partigiano Mariano Buratti, gli autori del gesto hanno liquidato il gesto di solidarietà come “delirante”, “anticaglia”, confidando nella ricerca di “nemici intelligenti”.

Cosa ho dedotto da queste ultime considerazioni…che se le armi di persuasione dei fascisti del terzo millennio (come amano definirsi) sono (anche) un linguaggio sbrigativo al limite dell’insulto ed un atteggiamento di derisione della supposta pochezza intellettuale di chi alimenta la memoria del passato in cui il nostro presente affonda le radici, l’unico mezzo davvero efficace – escludendo a priori la violenza fisica – è un tentativo di “rieducazione” di quelle menti che ancora non si sono fatte indottrinare completamente dalla politica del “noi siamo il nuovo che liquiderà il vecchio, apriremo una nuova era per l’Italia”, magari (si spera) aiutati da tutti quelli che potrebbero decidere di uscire dalla maggioranza silenziosa ed aiutare a conservare quella “anticaglia” che costituisce l’essenza stessa della nostra democrazia.

Tanti anni di lavoro nella scuola con i ragazzi mi hanno insegnato che il fascismo si combatte molto più efficacemente con lo smontare le basi ideologiche mostrandone la vacuità, più che con il ricorso alla forza, evitando cioè di contrapporre – e vorrei non rivedere più quelle scene – dal manganello alla spranga.

Saluti resistenti a tutt*

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 Riccardo Infantino

L’antifascismo si impara anche a scuola

Essendo antifascista come stile di vita ed insegnante mi è venuto spontaneo, nella settimana in cui si riprendono le lezioni a scuola, proporvi qualche riflessione su come e perché l’antifascismo possa e debba essere appreso (non solo dai ragazzi…) a scuola.

Come a numerosi altri colleghi mi è capitato, in tanti anni di servizio, di incontrare quel tipo di alunno che con fare strafottente e squadrista risponde all’appello con il saluto romano, quello che ti tira in ballo le foibe (quasi fosse il personaggio guzzantiano di Viky di Casapound…) ad ogni piè sospinto, quello che protetto dall’anonimato ti fa trovare in classe “deliziose” raffigurazioni di fasci littori (ignorando che in realtà avevano tutt’altro significato) e svastiche.

Negli ultimi anni la tecnica si è raffinata: il piccolo camerata utilizza l’armamentario ideologico fornitogli in genere dagli organizzatori dei gruppi di Forza Nuova e Casapound (che non sono affatto stupidi, e dunque più pericolosi) per cercare di dimostrarti che gli italiani sono un popolo (stavo per scrivere una razza, che ci volete fare, mi torna alla mente l’anniversario del 1938, l’emanazione delle leggi razziali) di civiltà superiore a quelli africani, soprattutto se di fede islamica, che i partigiani si macchiarono le mani di sangue (vero, ma bisogna considerare per quale scopo), che in fondo, fatta la tara delle manganellate, dell’olio di ricino, delle persecuzioni e del disastro della guerra il Duce (il piccolo camerata usa più spesso questa parola che non il vocabolo “fascismo”, è fedele alla logica dell’uomo solo al comando) ha dato un tetto, un lavoro e soprattutto la sicurezza agli italiani (in un comizio a Viterbo l’amico Salvini ha ricordato come sua nonna poteva dormire tranquillamente con la porta aperta…mah…ho i miei dubbi, ma forse esagero).

Il dilemma che attanaglia (non sto scherzando, è una cosa che ti fa stare male) ogni rappresentante delle istituzioni (e chi lavora nella scuola nutre i cervelli degli apprendisti cittadini di una democrazia parlamentare di radici antifasciste) è sempre uno: intervenire chiedendo l’applicazione della legge Scelba o Mannino sporgendo denuncia per ogni frase inneggiante a Mussolini che trova nei bagni della scuola (mi sono sempre chiesto come mai le scrivessero sempre lì, non potrebbe essere per caso una pulsione freudiana molto molto inconscia?…) e per ogni braccio teso (quasi bloccato da improvvisa paralisi muscolare…), con il rischio di provocare la reazione opposta (quasi una glorificazione dell’essere fascisti attraverso magari una sospensione dalle lezioni o magari l’arresto, fa tanto fascistello fighetto fighetto…); oppure fare appello a quel senso di umanità che in ognuno di noi può essere compresso, ma mai eliminato del tutto, agendo con l’esempio e la conoscenza?

Aggiungerei anche una buona dose di ironia, funziona non poche volte contro un atteggiamento arrogante e squadrista (attenzione ai sovradosaggi, la reazione potrebbe essere imprevedibile…).

L’anno scorso entrando in una classe “arricchita” da almeno due o tre figli della lupa (da notare che “lupa” in latino significa anche prostituta…) ho trovato sulla lavagna un interessante graffito anonimo in forma di svastica.

Dopo averlo contemplato un momento, l’illuminazione: unendo le punte del simbolo lo si fa diventare un fiore con i petali…nessuna ha osato contraddirmi, specialmente di fronte ai sorrisi compiaciuti dei compagni di classe degli “ignoti” autori del capolavoro.

Di tono simile la risposta alla frequente osservazione: “Ma Mussolini ha inventate le pensioni”…basta spiegare come e quando è nata la rete della previdenza sociale nel nostro paese.

Prezioso aiuto viene sempre da studi documentati come Tangentopoli nera (che smonta, dati documentali alla mano, il mito del gerarca incorrotto e dedito al bene del paese) o Operazione foibe (utilissimo per smontare l’argomento che andava per la maggiore prima che subentrasse quello della presunta invasione islamico-africano-mediorientale in atto nel nostro paese).

Tutto questo pasticciato e magari contorto discorso per arrivare alla considerazione che una mentalità acquisita, magari non solo grazie alle frequentazioni fuori dalla scuola, ma troppo spesso in famiglia, non può passare attraverso uno strumento di repressione, se non in casi davvero necessari (chi fa parte della mia generazione, quella che ha visto Moro, forse ricorderà i pestaggi fascisti contro chi portava la borsa di Tolfa).

Nella psicologia del fascista adolescente ogni punizione altro non è che una conferma, quasi una santificazione, del suo essere contro… funzionano meglio l’esempio di chi insegna (a cominciare dal trattare tutti alla pari, senza discriminazione alcuna) e la conoscenza, che alla fine dovrebbe imporsi nella sua forza della verità.

Non mi vergogno affatto a dire che alcuni tra i miei migliori ex alunni sono stati (spero in un loro ormai compiuto ravvedimento…) dei fascisti…hai visto mai, fossi riuscito a mettere loro la pulce della democrazia e della sovranità popolare nell’orecchio e nel braccio proteso?…

Saluti antifa a tutt*

 

 Gabriele Busti

Super domeniche acriliche

Ho sempre pensato che le persone dovessero avere il diritto di spendere il proprio tempo libero nel modo che preferiscono, anche intabarrati dentro a un centro commerciale, se lo desiderano. Poi però una domenica mattina mi è capitato di andarci, al CrossConad di Viterbo (il tabacco che fumo, se mi finisce di domenica lo trovo solo lì). L’Inferno in terra, la ressa, le casse stipate oltre l’inverosimile, almeno il triplo della gente rispetto a un giorno feriale, i volti delle persone in fila, per lo più, tra l’aggressivo e l’afflitto. Ho parlato coi commessi: “è così tutte le domeniche, all’OVS ci hanno strapazzato per aver chiuso il lunedì di pasquetta”. 

A Viterbo ci sono due laghi a venti chilometri di distanza, il primo mare è a trentacinque minuti di macchina, l’Argentario poco più su, ci sono monti, boschi, parchi naturali, faggete con annessi percorsi da trekking e mountain bike, necropoli etrusche, piramidi antichissime, terme pubbliche, semi-pubbliche e private, castelli, borghi medievali, ville storiche, giardini monumentali, parchi biologici, agriturismi, cantine di pregio, c’è un centro storico notevolissimo (un reticolato di chiese, piazze, fontane, palazzi, portici, colonnati, profferli), un polo museale molto migliorato da un po’ di tempo a questa parte, e tutto sommato una buona gastronomia (ma si potrebbe fare di meglio). 
Quando penso a tutto questo il mio parlamento interiore ha una improvviso scossone, il Partito Libertario mi va in minoranza e un’improvvisa voglia di stato etico si impossessa di me. La gente va rieducata, deportata a forza da Mondoconvenienza e dispersa in mezzo alla vita, a volte penso. Abbiamo regalato tutto, alla grande distribuzione, senza alcun vantaggio economico: il volume degli affari non è aumentato, le condizioni di chi ci lavora sono peggiorate di molto, e continuiamo a fomentare un esercito di sempliciotti alla disperata ricerca di acrilici in saldo. Chiudiamoli, almeno di domenica.

Ps: vedi che adesso arriva il genio di turno (in tutti i sensi), a ricordarti che “porca miseria, io faccio il barista e la domenica lavoro e allora lavorino anche gli altri!”

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 Giuseppe Anelli

L’Italia è un paese straordinario..sono gli italiani a non esserlo

Quante cose ci sono da fare in questo paese se davvero volete mettere gli italiani davanti a tutto…per far star bene gli italiani c’è bisogno di decoro di cultura di tolleranza di benessere di lavoro di una buona sanità di una buona qualità della vita…troppe cose potete fare prima di prendervela con dei poveri disgraziati che vengono da Paesi sfortunati…

andate nelle zone terremotate ad aiutare chi aspetta da troppo tempo un occhio di riguardo pensate a chi ha subito e subisce i ritardi della nostra pubblica amministrazione…mettete le mani sulle tante incongruenze degli ultimi 25 anni ora lo potete fare…fatelo

l’Italia è un paese straordinario..sono gli italiani a non esserlo e a credere al fumo e non al profumo di libertà…

Riusciremo a gettare le basi di un vero progresso per il nostro Paese quando saremo così maturi da assumerci le nostre responsabilità e progredire grazie alle nostre competenze e non a tirare avanti grazie ai calci in c*** della necessità…

Chi ama davvero l’Italia credo ne abbia abbastanza di incantatori di serpenti. Non dico che mettano in opera le promesse elettorali tipo le accise sui carburanti. Ma almeno si occupassero della sanità del lavoro delle esigenze fondamentali per i pendolari nei trasporti … possibile che in questo momento il problema principale siano gli immigrati che sbarcano?

 

 Giancarlo Paglia
 

Non amo

Non amo le congreghe, i circoli esclusivi, i clan pseudo familiari, le associazioni di presuntuosi intellettuali, i gruppi chiusi, le sette religiose e le sette politiche.

Non amo chi ha una morale per ogni occasione e una giustificazione per ogni evenienza.
Chi giudica reato grave ciò che fa il nemico Tizio e minimizza lo stesso reato se compiuto dai suoi amici Caio e Sempronio.

Chi ogni occasione è buona per mettersi in mostra, chi è in campagna elettorale tutta la vita, chi “se c’era lei, se c’era lui, se c’eravamo noi”, chi può affermare qualsiasi cosa tanto sa che nessuno potrà mai chiedere la controprova.

Non amo chi giustifica tutto dicendo “e allora gli altri?”
Chi vorrebbe che lo Stato obbligasse quelli che hanno rubato milioni a restituirli ma nello stesso momento inneggia a chi, pur condannato, non li restituisce.
Chi non capisce che in altri Paesi i vertici di un partito che ha rubato finiscono in galera mentre noi li mettiamo al governo.

Non amo il giustizialismo “fai da te”, le ronde padane, le ronde fasciste, le ronde in calzoncini e infradito, le ronde di chi cerca la legalità trasgredendo la legge.
Soprattutto non amo le sceriffate in cerca di visibilità di politici miracolati che in ben altri luoghi dovrebbero dimostrare il loro valore, invece di seminare ulteriore odio razziale con cazzate che esistono solo nella loro testa.
Anche loro in altri Paesi sarebbero già in galera.

Non amo chi è contro gli immigrati e chi è contro quelli contro gli immigrati.
Chi distribuisce il termine “razzista” e chi quello “buonista”.
Perché per essere sia gli uni che gli altri si dovrebbe comunque avere un minimo di cervello, mentre spesso…

Non amo chi per mostrarsi idiota usa l’idiozia degli altri condividendo puttanate come fossero verità.
Non amo nemmeno quelli che, come me, giudicano gli altri idioti solo perché condividono idiozie. Ma non ho mai detto di essere il migliore.

Non amo chi crede in Dio ma venera Satana, chi coltiva odio e poi corre a battersi il petto in chiesa, chi predica per la fratellanza ma tiene lontano quelli che reputa diversi, chi adotta un bambino a distanza purché…resti a distanza.
Non amo chi è a favore dell’accoglienza “ma non a casa mia”.

Non amo quelli che credono che vestire un saio faccia diventare santi, quelli che credono che basti cambiare nome al PD per farlo tornare ad essere un partito di sinistra, quelli che credono che togliere Nord da un altro partito ne cancelli i debiti e faccia dimenticare il disprezzo verso i meridionali.
Non amo chi crede che i meridionali siano sempre quelli sotto a lui, anche se abita la punta dello stivale.

Non amo chi pensa che questo governo stia risolvendo i problemi del Paese, semmai ne sta risolvendo solo uno e per il resto è buio completo.
Ma a noi piacciono i cattivi esempi, piacciono i J.R. di Dallas, i puttanieri di Arcore, i faccendieri di Firenze, i figli dei banchieri ladri, i laureati in Albania, quelli che ce l’hanno duro e te lo mettono in cu.., quelli che bevono l’acqua del Po e la sputano sul tricolore.

Ponzio Pilato se ne lavò le mani lasciando la scelta al popolo. 
E il popolo scelse Barabba. E ancora oggi preferisce i ladroni.

 

 Barbara Cozzolino

Nella mia pagina facebook, il test delle macchie di Rorschach.

L’esperimento che intendevo fare non era, in realtà, analizzare la personalità dei miei contatti, poiché quello può farlo solo uno psicanalista di professione durante una seduta individuale e non di gruppo. E, certamente, non su internet ma in uno studio. Per quel test non esistono risposte giuste o sbagliate, poiché quel che ciascun individuo vede o non vede nelle macchie è strettamente personale e legato spesso alla sua personalissima storia.

Uno dei principali motivi per cui il test di Rorschach si somministra nelle sedute individuali è proprio quello di eliminare l’effetto Thorndike o Alone, a meno che non sia proprio quello lo scopo di un analista durante una terapia di gruppo: ovvero vedere come la percezione degli uni possa venire influenzata dalla percezione degli altri.

Gli studi di Thorndike, a partire dagli anni ‘20 del secolo scorso, hanno evidenziato, tra l’altro, come spesso la percezione che abbiamo di qualcuno o qualcosa è condizionata dalla percezione degli altri.

Molte risposte fornite dai miei contatti tendevano a ripetersi più volte, magari cambiando qualche particolare.

Aggiungo che le risposte che avevo fornito io all’inizio erano spesso volutamente assurde o forzate. Eppure qualcuno le ha ripetute.

Talune risposte, al contrario, mi sono sembrate la ricerca di qualcosa di originale, per apparire diversi dalla massa (mi sono sforzate di leggere le risposte e non i nomi degli autori, proprio per eliminare qualunque pre-giudizio).

Questo, a mio modestissimo parere, è ciò che avviene su internet, nei social in particolare; ma anche nella vita reale.

Non giudichiamo con la nostra testa ma con la testa comune di tutti. Ovvero, talvolta (più raramente), nello sforzo di apparire diversi, di distinguerci dalla massa, abbiamo visioni e percezioni della realtà bizzarre.

Esempio banale: un anno vado a vedere la minimacchina del centro storico, con mio figlio che è facchino al Pilastro. Alcune signore iniziano a dire che è la più bella, anzi, l’unica veramente bella. E alla mia domanda se avessero mai viste le altre due, rispondono che no! Non le hanno mai viste. Però sanno che quella è la più bella perché lo dicono tutti.

Un altro anno uno dei miei figli iniziava un ciclo scolastico e fin dal primo giorno ho sentito diversi genitori lamentarsi della presenza in classe di un alunno che, a loro dire, avrebbe creato problemi. La profezia che si auto avvera, come nel famoso esperimento di Robert Rosenthal degli anni ‘60 del secolo scorsi, durante il quale una finta equipe di esperti sottoposero gli alunni di una scuola a dei test, inducendo poi gli insegnanti a credere che taluni, in realtà scelti a caso, sarebbero stati particolarmente brillanti nel corso dell’anno scolastico. Previsione che si avverò, ma solo grazie all’influenza positiva che gli insegnanti riuscirono a trasmettere a questi alunni.

Se pensiamo male di qualcuno o qualcosa basandoci solo sul “sentito dire”, pur non avendolo constato, finiremo per autoconvincercene. E ci porremo in atteggiamento verso questo qualcuno o qualcosa inducendolo, alla fine, ad essere quello che noi vogliamo/pensiamo.

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 Riccardo Infantino

L’articolo 21 ed Articolo 21

Dato che amo i giochi linguistici ho intitolato questo pezzo con il numero dell’articolo della Costituzione che tutela il diritto di espressione e di libera informazione (l’articolo 21) e l’omonima associazione, da sempre in prima linea per la difesa di uno dei diritti più violati di sempre.

Il 6 ottobre, il giorno che precederà la Marcia per la pace di Assisi, verrà presentata dall’associazione la Carta di Assisi, all’interno di un seminario dal significativo titolo “Le parole non sono pietre, la Carta di Assisi”.

Credo – spero, almeno – che in molti conoscano Articolo 21 e la sua opera a favore di una informazione libera, democratica e soprattutto rispettosa della pluralità delle posizioni (l’opposto del fascismo, come ci è ben noto).

Vale davvero la pena soffermarci sulla Carta di Assisi, non perché ci sia bisogno di un ennesimo documento inneggiante alla libertà di espressione (per quella basterebbe la Costituzione se, come ci ricorda Lidia Menapace, venisse compiutamente applicata)., quanto per le sue proposte di natura pratica, di azione capillare nel quotidiano.

Ad esempio, nel punto 1: “Non scrivere degli altri quello che non vorresti fosse scritto di te”, in altre parole esponi i fatti rispettando anche quelli con cui polemizzi, non arrivare ad utilizzare la macchina del fango e la denigrazione.

Al punto 5: “Le parole sono pietre, usale per costruire ponti” – non credo ci sia bisogno di spiegazioni.

Al punto 8 l’apertura forse più interessante per gli attivisti digitali: “Il Web è un bene prezioso. Sfruttalo in modo corretto”; essere cittadini digitali, prima ancora che attivisti della Rete (e nel nostro caso specifico cyberantifascisti, perché il fascismo dilaga anche nel Web e anche lì va contrastato), significa avere con il mondo “virtuale” le stesse precauzioni che si utilizzano praticando l’informazione in quello “reale”.

L’ultimo punto è forse riassuntivo dei precedenti (ha un sapore, come tutto il documento, marcatamente francescano, ma in effetti Francesco fu una figura controcorrente e di opposizioone, diremmo oggi…): “Porta il messaggio nelle nuove piazze digitali”.

Per quanto mi riguarda, non essendo credente lo interpreterei in questo modo: utilizza l’agorà digitale per diffondere la cultura dei diritti che fanno restare umani, potrai raggiungere un numero cospicuo di persone e preparerai il terreno all’azione quotidiana nel mondo “reale”.

Saluti resistenti a tutt*

 

  Silvio della Tuscia

San Faustino: vivere nel quartiere più bello

cito da casa, mi becchi una coltellata (tutto può essere) ma, al momento, l’unico vero e proprio diverbio che ho avuto con un immigrato, un rumeno, risale al giugno 2006, quindi 12 e più anni fa. Per il resto, credo di vivere nel quartiere più bello dentro la cinta muraria della città, assai più interessante, con tutto il dovuto rispetto per chi ci abita, di quelli reputati più caratteristici e pittoreschi, come San Pellegrino (provato dalla movida) o Pianoscarano.

Un elemento fondamentale per la vivacità che qui si respira è dato senza dubbio dalla presenza di persone e famiglie di origini immigrate, che, senza voler per questo cedere a romanticismi, hanno ridato linfa vitale a vie altrimenti disabitate, riportando l’infanzia laddove c’erano ormai solo anziani, silenzio e solitudine. Un’atmosfera che si percepisce percorrendo, a piedi certo, la salita, o discesa, di via Cairoli, dal basso, con la zona “dominicana” sino al Coffee shop su in cima, con in mezzo i bengalesi, i cingalesi, gli indiani, i maghrebini e i subsahariani. Gente che gestisce negozi, lavora onestamente e non ruba niente a nessuno, contribuendo alla ricchezza del Paese.

Anche qui, con tutto il rispetto per chi c’era prima, credo sia difficile avere nostalgia antropologica per quel paesotto borghesuccio e sonnacchioso, in cui il fascismo aveva trasformato Viterbo con la terziarizzazione massiccia.

Infine, a proposito di delinquenza, ci si dimentica di tutto e in fretta ma quattro anni esatti fa, fu Casapound a farsi promotrice d’un comitato per la sicurezza del quartiere (senza addentrarvisi e appendendo striscioni altrove). L’iniziativa fece breccia presso i “non se ne può più” della zona, rispettabili liberi professionisti e benestanti. Tennero pure un incontro pubblico, che evidentemente suonò come legittimazione. Giorni dopo, gli stessi di Casapound se li bevvero, ché erano andati a Magliano Romano con spranghe e catene a pestare quelli dell’Ardita calcio.

Ascoltiamo People in the neighborhood degli Slickers.

 

Barbara Cozzolino

Si può togliere? Mi da fastidio!

Sabato scorso, durante il passaggio della minimacchina del Pilastro al Sacrario.

Due anziane con la badante sono sedute su una panchina. Mia madre e io, nel tentativo di scorgere mio figlio nel gruppo dei facchini, ci poniamo distrattamente davanti loro, ostruendo la visuale. Ci chiedono di scansarci, ci scusiamo e ci piazziamo qualche passo più in là.

Il gruppo dei facchini si accinge a riprendere il corteo, le due donne con la badante si alzano liberando la panchina. Mia madre, mia figlia e io ci sediamo lì in attesa di mio marito e mio padre che sono in giro a scattar foto. Una signora anziana si siede accanto a noi. Il gruppo dei piccoli facchini è ancora lì, si sta rimettendo in sesto per riprendere il corteo. La signora, forse non del luogo, ci chiede notizie su queste mini macchine e chiacchiera un po’ con noi. I piccoli facchini, intanto, partono. A quel punto la signora inizia ad urlare contro tre stranieri, due uomini e una donna, che sono davanti a lei e le ostruiscono la visuale. Esattamente come mia madre e io facevamo con le donne sedute prima di noi. Con la differenza che, ora, non c’è più nulla da vedere. Faccio osservare gentilmente questo alla signora, che mi risponde: “Però mi danno fastidio lo stesso. Non devono starmi davanti”.

Ecco! Tutto ‘questo per dire che ormai il razzismo è gratuito e spesso ingiustificato.

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SETTEMBRE – In questa pagina inseriremo ricordi, racconti, riflessioni storiche di quanti vogliono narrare e riportare fatti accaduti negli anni o di recente attualità, riguardanti la storia e l’evoluzione sociale dei partigiani italiani. clicca qui (per lasciare un commento o una riflessione)

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AGOSTO 

 Riccardo Infantino

Perché credere nello Stato di Diritto

Quando ho pensato al titolo di questo pezzo ero intenzionato a discutere sui fatti di Genova partendo dai pareri ben informati di chi ne sa molto più della media di noi cittadini qualsiasi, come ad esempio quello dell’ingegner Antonio Occhiuzzi, direttore dell’Istituto di Tecnologia delle Costruzioni del CNR, oppure della ormai drammatica vicenda della nave Diciotti, in forza alla Guardia Costiera (non una ONG privata, ma un corpo istituzionale) e impedita nel portare a termine il suo compito, ma non volendo aggiungere la mia voce poco competente in entrambi i casi (un conto è documentarsi per capire, passare la vita a studiare la resistenza dei materiali o le leggi sul diritto di asilo è ben altra cosa) preferisco condividere con chi avrà la sopportazione di leggermi un mio pensiero sullo Stato di Diritto.

Già, il Diritto con la D maiuscola, quello che trova la sua radice primaria nella Costituzione, la cui matrice antifascista è oggi pericolosamente messa in forse.

Il nostro Diritto (scusate, ma lo scriverò sempre con la iniziale maiuscola) prevede che le scelte e le decisioni politiche di chi ricopre una carica pubblica debbano seguire un iter ben preciso, nel quale il Parlamento (ebbene si, siamo ancora in una repubblica parlamentare fondata sulla democrazia rappresentativa e sulla sovranità popolare) e la Magistratura sono dei termini di confronto ineludibili, pena il rischio di azioni contrarie alle leggi vigenti ed alla carta costituzionale.

Una pericolosa opinione che serpeggia da molto è che iter parlamentari e giudiziari siano troppo lenti per assicurare in tempi rapidi il ristabilimento della giustizia, e allora o li si accelera o si scavalcano, non per una bulimia di consenso, ci mancherebbe altro (…), ma perché il cittadino ha diritto ad una tutela sicura e veloce, e allora niente di meglio che una (o più di una, magari) figura che non vada per il sottile e punti dritta allo scopo, il benessere e la sicurezza (mi sta venendo la nausea a forza di sentire ripetere questa parolina magica ovunque) degli italiani (quali, quelli originari dell’Italia o quelli che ne hanno acquisita la cittadinanza?) non possono certo aspettare i tempi biblici della legge, occorrono rapidità e decisione, che cavolo.

Perdonatemi lo sfogo, ma vorrei far capire (qualcuno mi aiuta?) a quella porzione di concittadini che plaude a politiche sbrigative e di mano forte in difesa degli Italiani (sempre il dubbio su quali, come sopra…) che il prezzo da pagare per avere appoggiato un decisionismo che scavalca Magistratura e Parlamento apre la strada al consenso plebiscitario dei sondaggi in Rete e fuori, nell’illusione che l’uomo solo al comando agisca ad esclusivo beneficio del popolo italiano (scusate, stavo per scrivere “sudditi”) in tempi ben diversi da quelli di un iter di legge o di una autorizzazione del magistrato.

Vorrei far capire a questi concittadini (ebbene si, siamo tutti sulla stessa imbarcazione, quale che sia il suo nome) che le non immediate fasi richieste dalla approvazione di una legge o dalla emanazione di un mandato di arresto sono la sola garanzia contro ogni eventuale abuso nel gestire un potere che è in realtà solo un mandato della sovranità popolare, non una sua cessione, come forse potrebbe essere erroneamente inteso.

Ho tremato quando ho letto della prospettiva di un eventuale futuro superamento della democrazia rappresentativa e della partecipazione dei cittadini alla vita politica solo attraverso un voto diretto, magari espresso in una agorà telematica insieme a milioni di altri aventi diritto, l’esito è sempre uno: la democratura (bel neologismo coniato alcuni anni fa per indicare la dittatura travestita da democrazia ).

Credere nello Stato di Diritto, accettare la sua non immediatezza decisionale frutto della democrazia rappresentativa e del confronto e conflitto (civile) di posizioni è l’unica via di uscita dal (fasullo) mito del grande uomo che ha come scopo il veloce risanamento e la altrettanto rapida messa in opera della tutela degli Italiani (…) .

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 Giuseppe Anelli

Ho passato una settimana all’estero con la mia famiglia. 

Sette giorni in una capitale europea (Vienna) lucidamente ubriaca di cultura, civiltà, verde pubblico, collegamenti, accoglienza…è un balsamo per l’animo vedere gente girare a qualsiasi età e ora del giorno e della notte sulle onnipresenti piste ciclabili, correre nei parchi curati, visitare pagando cifre irrisorie (i bambini gratis) meraviglie come il Leopold Museum, il Museo delle Belle Arti o ancora il Museo delle Scienze Naturali, accedere ad uno Zoo pazzesco a misura di stupore continuo, notare con quanto orgoglio i suoi nuovi cittadini (i tanti turchi, nord africani o slavi incontrati su Uber) ti parlino della pulizia (fatta esclusivamente di notte e in forze) e della politica cristallina del Paese (loro fuggiti da storie oscene). 
Il problema non è e non sarà mai chi viene da “fuori”, ma la mentalità di chi stando dentro si sente legittimato (essendo miope come una talpa) a vedere nello straniero “il problema”. 
L’Italia ha potenziali infiniti stretti nelle maglie di ignoranza, superficialità, corruzione e rabbia…siamo tutti colpevoli…se siamo a questo punto…se siamo sempre pronti ad additare ex post e mai le fondamenta del malaffare…
Solo guardando il Mondo ci si rende conto di quanto siamo miserabili…eppure resta dentro una scintilla di speranza…deve restare…

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 Riccardo Infantino

Psicologia dell’antifascista

Sempre alla ricerca di esempi di condotta per realizzare un antifascismo che non sia solo teorico (oggi si direbbe da tastiera) e ben dissimile da quello che Pasolini negli Scritti Corsari definì omologato e ben poco consapevole, ho ripescato un articolo di Claudio Vercelli, storico della Università Cattolica del Sacro Cuore, pubblicato il 22 febbraio 2018 sul nostro Patria Indipendente, con il significativo titolo di Prontuario antifascista.

Il sottotitolo, “Luoghi comuni e neologismi niente affatto innocui che spalancano la porta a nuove tentazioni autoritarie. Un vademecum per orientarsi tra qualunquismo e false, pericolose equivalenze”, indica molto precisamente l’humus privilegiato per un esito non democratico: la banalizzazione e l’appiattimento delle opinioni nel considerare le ideologie tutte uguali e la ovvia conseguenza di questo atteggiamento, il qualunquismo acquiescente.

L’articolo è strutturato come un decalogo che riassume i pericoli contro i quali un antifascista è chiamato a misurarsi e come si dovrebbe comportare per prevenirli e combatterli.

Voglio dirla proprio tutta: mi ha lasciata perplesso la forma elencatoria, quasi da – mi si passi il termine – prontuario di tipo religioso, ma alla fine della lettura proprio questa sua impostazione permette di seguire fino in fondo una analisi serrata e convincente.

Il pericolo fondamentale per la democrazia costituzionale è l’omologazione conformistica, che ha nel razzismo (inteso nella sua accezione di paura del diverso da te) l’esito inevitabile, e in questo senso è ibridato con l’ideologia nazista della superiorità della razza (le cui radici, in realtà, sono ben più remote).

 

Altro grande pericolo: non solo le manifestazioni eclatanti di violenza fisica e verbale (le ronde ad Ostia ne sono un “fulgido” esempio) sono indice di esito fascista, ma anche e soprattutto la deriva qualunquistica del “si, però…”, che ha come unico effetto la creazione del mito del fascismo buono.

Comunismo e fascismo sono le due dittature che si somigliano tanto: quante volte abbiamo sentita ripetere questa graziosa frasetta, ed ogni volta abbiamo pensato: ma chi la pronuncia ha mai letto il Manifesto del Partito Comunista di Marx, oppure non si è mai chiesto se per caso lo stalinismo fosse stato una distorsione del pensiero comunista (mi permetto di aggiungere qui una mia personale considerazione, non me ne vogliate)?

L’antifascista, prosegue Carlo Vercelli, deve combattere utilizzando l’arma della partecipazione democratica basata sul confronto e sul conflitto civile delle differenti posizioni, non può e non deve limitarsi a richiedere un intervento di tipo giudiziario, creando così dei martiri della “repressione”, perché tanto non è possibile parlare ad un fascista, che di per sé esclude (a volte non solo a parole…) ogni posizione che non sia la propria.

L’esercizio e la pratica delle libertà costituzionali non sono un dato acquisito per sempre o concesso, continua l’articolo, ma un cammino verso la loro realizzazione, che procede di volta in volta adattandosi ai differenti momenti storici (mi sto chiedendo cosa avrebbero fatto i Padri Costituenti se avessero avuta a disposizione la Rete ed i social network, voi cosa ne dite?).

Date queste premesse è fondamentale educare i giovani alla pratica dell’antifascismo militante (si intende operante a livello capillare nella quotidianità) ed alla partecipazione alla vita sociale e politica (intesa nel senso più alto di pratica della cittadinanza), dato che non basta una semplice trasmissione di ideali da una generazione all’altra.

Processo davvero faticoso, possiamo concludere con l’autore, ma l’unica via possibile.

Cosa ne dite, ce la facciamo tutti insieme?

Saluti resistenti a tutt*…e anche buone vacanze (non guasta mai).

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 Riccardo Infantino

Il vero fascismo

  

Mi sto chiedendo spesso in questi giorni cosa sia esattamente il vero fascismo; mi rendo conto della poca opportunità della domanda per un iscritto all’ANPI ormai da alcuni anni, dovremmo tutti saperlo, dato che la nostra Costituzione si basa sulla lotta antifascista, eppure ho sempre il ragionevole dubbio che sia limitante circoscriverlo al ventennio o alle formazioni attuali che a quello si ispirano.

Come spesso mi accade il caso (?) mi ha aiutato: ho trovato nell’archivio video di Repubblica una recentissima intervista al grande Andrea Camilleri, che – sono sue le parole – “a 93 anni, a un passo dalla morte” parla di come ha vissuto la dittatura e in cosa determinate istanze odierne sono assai simili a quelle di un passato con il quale ancora occorre fare bene i conti.

Partendo da un suo romanzo in cui il commissario Montalbano è coinvolto nella questione degli sbarchi lo scrittore constata tristemente come, rispetto al passato postfascista l’Italia stia tornando indietro rispetto alle conquiste sociali e culturali faticosamente acquisite.

La parte più interessante arriva subito dopo: quando l’intervistatrice gli chiede se vi siano punti di contatto tra le due epoche: la risposta è netta, il trait d’union è il consenso di massa verso un atteggiamento di tipo razzista – inteso come omologazione che esclude a priori chi non abbia determinate e ben specifiche caratteristiche -, che viene camuffato dietro la abusata espressione “Italiani brava gente”.

Così come è illuminante la sua osservazione sul non avere ancora superato la forma mentale fascista: citando l’articolo del giornalista americano Herbert Mathews sulla rivista Mercurio – vi chiedo scusa, ma il link all’originale non è reperibile – , che nell’immediato dopoguerra provocatoriamente sosteneva che noi italiani non avevamo ancora ucciso del tutto il fascismo e Mussolini, ma che, si direbbe oggi, questa ideologia si sia evoluta e mutata geneticamente adattandosi ai tempi, divenendo perciò difficilissima da estirpare completamente.

Se il fascismo è omologazione di massa allora una sua stupefacente mutazione è quella di cui parlò, poco prima del suo assassinio, un altro grande scrittore, Pier Paolo Pasolini.

Nella celebre intervista sul litorale di Sabaudia Pasolini individua il mercato come forza che ha appiattite ed eliminate tutte le differenze culturali di cui il nostro paese è stato sempre permeato, ed è riuscito lì dove proprio il fascismo non aveva completato il suo processo di inoculazione di massa del pensiero unico.

I presupposti allora ci sarebbero tutti: il consenso plebiscitario al di fuori dei corpi istituzionali (la figura del leader carismatico e del suo culto, in altre parole), il “diverso” (ma poi in base a quali parametri?) come nemico da allontanare ed eliminare se possibile, la falsa sicurezza offerta da un pensiero eguale per tutti, che ci sollevi dalla bestiale fatica di gestire la propria libertà con gli altri – democrazia in fondo è una parola che presuppone il plurale -.

Ultima osservazione, quella del ministro Fontana a proposito della famiglia: le famiglie gay non esistono…

Saluti Resistenti a tutt*

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A salario di merda, lavoro di merda

 

 Silvio Antonini

Ieri, Daniela & Riccardo, intervistati a L’Arte è – mentre io facevo il pubblico (sentire il podcast postato) -, hanno rilasciato alcune dichiarazioni in merito al LAVORARE GRATIS, o sottopagati, che viene loro proposto spesso. Da musicisti, si riferiscono perlopiù ai gestori di locali ma la riflessione che mi è sovvenuta riguarda più in generale il Cognitariato. Con questo termine, negli ultimi anni si è venuta a definire quella porzione di precariato che ha a disposizione le proprie conoscenze, in un certo senso assimilabile a quella degli artisti, e di cui in buona sostanza io sono parte. Nella percezione comune, non essendo noi idraulici o meccanici, quelle nostre non sono vere e proprie competenze; le nostre mansioni le possono alle perse svolgere altri, magari male e a tirar via ma tanto non muore nessuno. Da qui la percezione che non facciamo cose importanti, e se non ci sta bene, altri, che non hanno problemi di disponibilità, possono farle al posto nostro.

Io scrivo che, per quanto possa sembrare difficile, non bisogna sottostare al ricatto e allo svilimento. Occorre rifiutare il lavoro gratuito, per noi stessi e nel nome di chi vive la nostra stessa condizione, indipendentemente dai committenti. Noi, come chi ha invece solo le braccia da mettere a disposizione: i braccianti, che proprio in questi giorni stanno facendo salire la loro voce, a seguito della Strage del Foggiano.

Fare, insomma, tesoro di questa prima pagina de “l’Unita” clandestina di 90 anni e mezzo fa.

 

Intervista audio

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 Riccardo Infantino

La favola dell’articolo 18

 

C’era una volta…un re, diranno i miei piccoli lettori…no, c’era una volta lo Statuto dei Lavoratori e l’articolo 18.

Ho voluto prendere in prestito l’incipit di Pinocchio perché la questione dell’articolo 18 e del licenziamento con reintegro non più obbligatorio mi sembra come la storia raccontata da Carlo Collodi: una vicenda dove è il burattino a finire in galera perché derubato dal Gatto e la Volpe, non il contrario; insomma, un mondo alla rovescia.

Con lo Statuto dei Lavoratori, introdotto nella legislazione nel 1970, si disse che la Costituzione entrava nel mondo del lavoro, e così era: negli articoli di cui era composto nella formulazione iniziale venivano elencati diritti e doveri, sulla base dei princìpi costituzionali di libertà di espressione e riunione (art. 21 e 17), giusta ed equa retribuzione (articolo 36) e libertà personale (articolo 13).

Un perno dello Statuto era proprio l’articolo 18, che nella formulazione originaria prevedeva comunque, in caso di licenziamento immotivato o non debitamente circostanziato, il reintegro del lavoratore e la continuità di retribuzione e previdenziale (in pratica venivano conteggiati stipendio e contributi anche nel periodo di allontanamento dal posto di lavoro), oltre ovviamente ad un congruo risarcimento.

Con la riforma del 2012, la legge Fornero, viene accantonata come unica possibilità quella del reintegro sul posto di lavoro in caso di licenziamento non adeguatamente motivato, e si individuano quattro livelli di indennizzo per il lavoratore, con il prevalere del risarcimento fino a 24 mensilità e la possibilità di reintegro solo in casi ampiamenti manifesti di discriminazione.

Arriviamo al 2015, al tanto contestato ed incensato Job Act: con l’introduzione del contratto a tutele crescenti l’articolo 18 viene, di fatto, superato, e prevale la logica del risarcimento fino a 24 mensilità (in base agli anni di servizio); altra novità importante: lo stesso articolo 18 ha valore solo per i contratti stipulati fino all’entrata in vigore del Job Act…e dire che nel 2000 il referendum per l’abrogazione dell’articolo ebbe esito negativo!

(Qui una accurata esposizione della travagliata vicenda).

Il primo agosto il gruppo LEU ha presentato un emendamento al Decreto Dignità che prevedeva la reintroduzione dell’articolo 18, ma la proposta è stata respinta con 317 voti contrari, 191 astenuti (a quanto pare questa formazione politica sta per surclassare quelle che hanno ottenuta una rilevante quantità di voti…) e solo 19 a favore.

Vi confesso che non riesco a mandarla giù, non per il colore della attuale maggioranza di governo, ma perché in una repubblica parlamentare che attui i princìpi della Costituzione, nello specifico quelli del diritto ad un lavoro umanamente ed equamente retribuito e protetto, si vira decisamente verso la strada della precarizzazione dei nuovi rapporti di lavoro e di un sostanziale sbilanciamento di poteri a vantaggio del datore di lavoro o dei vertici aziendali.

Alcuni anni fa ho imparato, sentendolo da Paolo Ferrero in una manifestazione, il termine economico trickle down (sgocciolamento): secondo questa teoria all’aumento dei profitti dell’azienda corrisponde un maggiore benessere dei dipendenti.

Nella cruda realtà dei fatti all’aumento dei profitti corrisponde quello dei dividendi per gli azionisti, le retribuzioni dei lavoratori restano immutate…e dire che i fautori dell’abolizione dell’articolo 18 sostenevano che senza di lui l’aumento della flessibilità del mercato del lavoro e della competitività aziendale avrebbe portati miglioramenti economici per tutti…

Mai come ora si avverte la necessità di concretizzare il primo articolo della Costituzione, per attuare tutti insieme la repubblica democratica fondata sul lavoro e sulla sovranità popolare.

 

Saluti resistenti a tutt*

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LUGLIO

  Riccardo Infantino

Diritti e senso di umanità non vanno in vacanza

Per il pezzo di questa settimana vorrei proporvi una mia estemporanea riflessione maturata a caldo mentre mi trovo in vacanza a Tortolì, vicino Arbatax, nella Sardegna orientale.

Stamattina ero sulla spiaggia e mi sono passati davanti, nel giro di nemmeno un’ora, quattro ambulanti di colore – due uomini e due donne – che ovviamente cercavano di vendere quello che portavano con loro – dai pupazzi gonfiabili per bambini agli anelli, ai foulard agli asciugamani da mare – .

Qualcuno ha comprato degli articoli, molti no, ma nessuno, dico nessuno, si è permesso di rivolgere insulti razzisti o frasi offensive nei loro confronti: chi non ha acquistato nulla ha molto educatamente detto un “no, grazie”, e gli ambulanti hanno continuato a percorrere la spiaggia tranquillamente.

Posto civile, mi sono detto, pensando al disgustoso episodio del cane aizzato contro un altro venditore meno fortunato, e alla ancora più disgustosa approvazione dei presenti – di sicuro fedeli del credo salviniano “prima gli italiani” (ma come la mettiamo con i cittadini italiani di origine non italiana, vorrei chiedere a lui e a tutti gli altri come lui… – .

Allora esiste un posto dove il rispetto dell’uomo e quella bella cosa che sono i diritti non vanno in vacanza e non vengono calpestati…possiamo sperare bene.

Saluti resistenti a tutt*

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 Riccardo Infantino

Magliette Rosse

Devo ringraziare il mio caporedattore, Piero Belli, che mi ha suggerita la lettura di un corrosivo articolo su Micromega di Angelo D’Orsi, “Non ne posso più. La maglietta rossa e l’impotenza della sinistra”.

Con toni decisamente arrabbiati il giornalista stigmatizza quella che lui chiama l’impotenza della sinistra, maturata “grazie” ad una mancanza di analisi dei motivi delle sconfitte cumulate negli ultimi venti anni e nella faciloneria (sono sempre parole di D’Orsi) con la quale si criticano i vincitori di queste elezioni, senza un tentativo serio di comprendere il perché di questa vittoria.

In conclusione l’opposizione di sinistra si sarebbe ridotta ad una serie di simbolici quanto deboli gesti di protesta e solidarietà (forse si può leggere tra le righe un riferimento all’ormai lontano movimento dei girotondi attorno ai palazzi del potere).

L’iniziativa di indossare una t-shirt di colore rosso come quella dei bambini che sono sulle imbarcazioni dirette verso il nostro paese è partita da don Luigi Ciotti, con lo scopo di scuotere le coscienze a dire il vero assai sopite di molti cittadini che sembrano essere assuefatti alle morti in mare, che ormai hanno assunto i connotati di decessi a ritmo seriale.

Vorrei dire la mia: concordo con D’Orsi sul fatto che una opposizione limitata a gesti rituali compiuti quasi per obbligo non abbia alcuna capacità di incidere – un po’ come ricordarsi della parità degli orientamenti sessuali solo l’8 marzo e nella Giornata contro la Omofobia e Transfobia, per poi comportarsi come nulla fosse per i restanti 364 giorni -.

Una protesta di piazza è destinata ad avere capacità di cambiare davvero le cose solo se preceduta e seguita da un operare quotidiano ed esteso (vorrei dire di massa, esagero?), non c’è dubbio, ma vorrei ripartire dalle parole con le quali Libera e don Luigi Ciotti, il suo fondatore, hanno configurata l’iniziativa: “ Progettare e organizzare il dissenso, tradurlo in fatti concreti. Non basta indignarsi, bisogna trasformare l’indignazione in sentimento e il sentimento in impegno e responsabilità. “.

L’Anpi (nella persona della nostra presidente Carla Nespolo), Arci ed un cospicuo numero di associazioni e migliaia di privati cittadini noti e non hanno aderito alla iniziativa, che malgrado una pubblicizzazione sui media ufficiali non proprio virale ha sortiti larghi effetti.

Se ci fermassimo a considerare l’iniziativa solo dal punto di vista della sinistra avrebbe ragione D’Orsi: l’ennesimo gesto fortemente simbolico, ma di nessuna ricaduta effettiva ed incisiva, come quelle indicazioni sui social che invitano a condividere un post che chiede questo o quello (una protesta addomesticata, insomma).

Noi dell’Anpi sappiamo bene però che il patrimonio della Resistenza intesa come rinascita dei diritti umani fondamentali ha riguardato e riguarda tutte le forze politiche che abbiano a cuore la democrazia e la Costituzione (e non è un caso se alla cerimonia del 25 aprile 2018 a Viterbo non ci fossero i rappresentanti della Lega, come ha opportunamente ricordato in quella occasione Enrico Mezzetti).

Allora anche questa iniziativa, che forse parecchie coscienze ha smosso, può essere prolungata nei suoi effetti proprio perché attuata da privati ed associazioni di diverse tendenze politiche ed ideologiche; si spera che di fronte ad un atto vile come sparare con una pistola ad aria compressa a persone di colore faccia scattare la molla della reazione pronta, della chiamata al 112, del non voltarsi mai dall’altra parte, perché se non fosse così avrebbe ragione D’Orsi, e non solo per la sinistra.

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 Riccardo Infantino

Politica della sicurezza e politica securitaria

Tempo fa ho avuta la fortuna di leggere un vecchio saggio della giornalista canadese Naomi Klein intitolato Shock Economy, il capitalismo dei disastri, che attraverso un ben documentato percorso faceva vedere come le catastrofi naturali (in particolare lo tzunami nel SE asiatico del 2004 e l’uragano Katherine in Florida) , creando una situazione di smantellamento delle strutture pubbliche – in particolare quella sanitaria e le forze di polizia – creino la condizione di caos e disorientamento ideali per il mercato, che subentra con la sua offerta privata in quelle funzioni – scuola, sanità, istruzione e sicurezza dei cittadini – che adempie la struttura di uno stato.

In particolare la giornalista dedica una stringente analisi alla differenza sostanziale tra catastrofe realmente accaduta e catastrofe percepita o creata volutamente, soprattutto nel campo della sicurezza del cittadino (funzione, come dicevamo prima, deputata alle forze dell’ordine, struttura pubblica per eccellenza).

Questa acuta riflessione mi ha spinto a voler capire meglio la differenza tra politica di sicurezza e politica securitaria, dato che nel momento presente il nostro paese sta convergendo verso la seconda (se esagerassi vi prego di farmelo notare).

A metà degli anni Duemila la studiosa Gabriella Paolucci, a proposito del mercato della sicurezza osservava come in Italia fosse (ed è ancora oggi) in costante aumento la spesa – di enti come di privati cittadini – per i dispositivi di videosorveglianza e di protezione delle abitazioni.

A questo si aggiunge la ormai consolidata discussione sul diritto di difesa e sui mezzi atti a realizzarlo (detto in parole semplici: è legittimo sparare se un ladro ti entra in casa?).

Mi torna alla mente l’immagine del leghista Bonanno che in diretta televisiva impugnava una pistola (gesto all’epoca, il 2015, rimproveratogli da Salvini, a quanto pare oggi di parere differente), suscitando lo sguardo esterrefatto della sua intervistatrice…complice anche il mainstream, i grossi media, i vocaboli che ci vengono più spesso proposti sono sempre quelli: pericolo, sicurezza, difesa, arma e purtroppo non di rado abbinati a straniero, migrante, quelli che vengono da fuori.

Parte la sperimentazione delle pistole elettriche in undici città, perché così saremo tutti più sicuri: l’ONU le ha definite strumento di tortura e solo negli States ogni anno almeno 200 persone muoiono per queste “armi leggere”.

Rientra in questo contesto, ovviamente, la politica di chiusura dei porti – perché i cittadini italiani non sono sicuri se nel loro paese gira troppa gente da fuori (questi i discorsi che si sentono in strada, in autobus e nella metro).

Vorrei concludere queste mie poco sane considerazioni con il titolo di un libro di Serge Quadruppani, La politica della paura, in cui afferma che “La politica della paura ti convince di avere nemici, di non poterti difendere e di aver bisogno di un uomo forte per proteggerti. “.

Non so come mai, ma questa considerazione mi ricorda qualcosa…

La politica della sicurezza è molto più semplice, e si descrive in poche parole: in un paese nel quale le forze dell’ordine sono messe in condizione di operare con adeguate risorse e personale, e non si promette e permette loro di avere mano libera perché così faranno rispettare meglio la legge si potrebbe anche raggiungere il delicato – e sempre degno di attenzione – equilibrio tra libertà (che nella nostra Costituzione viene sempre prima della sicurezza), diritti e sicurezza.

L’articolo 13 ci ricorda che la libertà personale è inviolabile.

Saluti resistenti a tutt*

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 Gabriele Busti

Ieri il presidente dell”INPS Tito Boeri ha formulato un assunto, dati alla mano, secondo il quale abbiamo bisogno di immigrati regolari che vengano a fare i lavori che gli italiani non vogliono più fare, perché altrimenti mancherebbero i contributi per pagare le pensioni. Il teorema Boeri me lo sono visto davanti ieri notte alle quattro, all’autogrill delle Querce sull’E45. Un punto ristoro molto grande che in verità non appartiene alla catena di Autogrill: bar, tabacchi, grande assortimento di cibi, mille cianfrusaglie in vendita e un’imponente sala slot, attiva e frequentata h24. Un porto di mare a pochi chilometri da Perugia in appoggio a un’infinita varietà di avventori notturni: dai cacciatori ai reduci delle discoteche, dai camionisti ai lavoratori della zona industriale in cui tale luogo è immerso, dai viaggiatori alle coppiette, coi ludopatici a far presenza costante.

C’era una sola barista, ieri notte, la stessa che vedo da tanti anni, gentile, svelta, anche troppo solerte, le ho detto che è una brava barista. È da sola a mandare avanti tutta la baracca, in un contesto che in un attimo può diventare critico e problematico (un paio di volte mi sono imbattuto in situazioni al limite dell’aggressione verbale). Il fine settimana viene affiancata, di colleghe nel tempo ne sono girate decine, quasi tutte italiane, a quel che mi sembra di ricordare, lei è rimasta. È una signora rumena di mezza età, è lì da dieci anni, turno di notte, nove ore, sei giorni a settimana, da anni chiede un giorno libero in più, non glielo danno, “pensa, dormo quattro notti al mese!” Non so quanto prenda né se abbia mai provato a cambiare lavoro, cavoli suoi, ma insomma, basta chiedere in giro per sapere che non ci si arricchisce, a certi livelli. Non è vero che gli italiani certi mestieri non vogliano più farli, molti non ne hanno bisogno, magari semplicemente perché hanno proprietà che gli garantiscono qualche reddito, perché si appoggiano in qualche modo alle loro famiglie, insomma, magari sono disoccupati ma ancora non sono così disperati da campare a questo modo.

Molti altri invece ci cascano per un po’, ma col tempo riescono, grazie al sistema di relazioni in cui sono immersi, a trovare qualcosa di meglio. Ma insomma, secondo l’assunto del presidente dell’INPS, per pagare le pensioni abbiamo bisogno della disperazione di persone costrette, principalmente dalla mancanza di alternative, a una vita di sacrifici.

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 Riccardo Infantino

Consenso demagogico e consenso informato

Oggi non vorrei parlare, se non di riflesso, dei fatti che in questi giorni sono all’attenzione di tutti, ma condividere con voi (sì, perché la condivisione rende più bella ogni cosa) quello che mi torna alla mente pensando a come nella cronaca attuale e nella storia passata il popolo (vocabolo di cui si è sempre fatto – non solo oggi – uso ed abuso) abbia dato ai leader di turno un consenso demagogico oppure un consenso informato.

“Demagogo” è parola antica, vuol dire letteralmente “colui che conduce il popolo”, ed ha sempre avuta una accezione non positiva.

Per definizione è colui che dice alla folla ciò che la folla vuole sentirsi dire per essere rassicurata, in particolare nei momenti di mutazione storica delle società e delle istituzioni; che poi molto spesso quello che viene presentato come utile per il paese ed i cittadini non sia proprio così non importa, il fine ultimo (e nemmeno così occulto) del demagogo è acquisire consensi, share, gradimento nei sondaggi.

Altra caratteristica del personaggio in questione: l’atteggiamento paternalistico che non prevede l’intermediazione di un corpo istituzionale (una carica pubblica o una assemblea parlamentare che rappresenti maggioranza e opposizione), ma il rivolgersi direttamente, emotivamente, al pubblico.

Nella Storia demagogia e dittatura (esplicita o meno) sono sempre andate a braccetto, unite dal sentimento paternalistico della politica: il mio paese è allo sbando, le istituzioni non funzionano più bene, allora ci vuole un uomo di polso che si sacrifica come un padre severo e magari autoritario, ma sempre pronto a dare la vita per i propri figli….uno che ricostruisca la nazione, insomma.

Quale consenso viene attribuito al demagogo di ogni epoca: quello basato sulle “verità” che lancia sull’uditorio, discorsi elementari, basati su argomentazioni che non reggono ad un esame razionale e documentato, ma capaci di colpire la sfera emotiva come un jingle pubblicitario.

In fondo costruire uno stato di emergenza inesistente o creare bisogni artificiali (la pubblicità serve anche a questo) sono due componenti molto molto simili.

 

Il consenso informato è molto più complesso: presuppone che il cittadino, prima di dare il voto o il proprio gradimento politico ad un partito o ad una pubblica figura, veda quantomeno se il loro operato sia conforme ai dettami della Costituzione (un politico, a mio parere, dovrebbe averla spesso sulla bocca, ma è una mia opinione personale criticabile), e soprattutto si preoccupa di verificare se le azioni ed i discorsi si basino su fatti concreti o su manipolazioni mediatiche.

In altre parole capisce se si sta parlando alla pancia o alla testa.

Il nostro articolo 21 della Costituzione sancisce e protegge la libertà di espressione e di informazione (e la Rete può costituire un valido aiuto in questo senso), che è uno degli antidoti più efficaci alla degenerazione dello stato democratico (quello dove il popolo governa, non i suoi rappresentanti eletti, che rivestono solo la funzione di gestori autorizzati e temporanei della sovranità popolare) in democratura (neologismo indicativo, dittatura travestita da democrazia, basata sul consenso plebiscitario ed emozionale).

Saluti resistenti a tutt*

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GIUGNO 

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mezzetti (2)

 

Enrico Mezzetti

E intanto la benzina aumenta

A PROPOSITO DI ARGOMENTI DI DISTRAZIONE DI MASSA…..
MENTRE IL DEMAGOGO SALVINI, CON LA COMPLICITA’ DEI SUOI ALLEATI, ADDITA ALL’ODIO DELLA GGENTE I MIGRANTI ED I ROM, IL PREZZO DELLA BENZINA AUMENTA VERTIGINOSAMENTE. (BEN OLTRE TREMILA LIRE AL LITRO). CONTINUIAMO A PAGARE LA GUERRA DI ABISSINIA, I RISARCIMENTI DI GUERRA ALLA LIBIA, LA CRISI DEL CANALE DI SUEZ, LE MISSIONI IN LIBANO E IN BOSNIA ECC.
LE ACCISE LE PAGHIAMO TUTTI E COME IMPOSTE INDIRETTE CI COLPISCONO INDISCRIMINATAMENTE, RICCHI E POVERI ALLO STESSO MODO QUINDI, PIU’ SEI POVERO E PIU’ PAGHI. 
E’ COLPA DEI MIGRANTI ??…. E’ COLPA DEI ROM??? ….
APPUNTO: ARGOMENTI DI DISTRAZIONE DI MASSA…-.

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 Riccardo Infantino

Il consenso della diseducazione (civile)

Risultati immagini per costituzione italiana

Stavolta l’input giusto per il pezzo con cui rompo le scatole (quasi) ogni domenica mi viene dal nostro presidente Enrico Mezzetti, che prima del ballottaggio tra i due aspiranti sindaci di Viterbo – Frontini e Arena – ha chiesto il 20 giugno: “La vostra amministrazione sarà ispirata ai pricìpi della Costituzione?“.

Domanda più che legittima, che ci siamo posti in tanti al presidio di lunedì di fronte alla Prefettura per chiedere la riapertura dei porti per i profughi (credo che questa sia la definizione più adatta, non credete?).

Tra un affermare che i viterbesi vengono prima ed un pensare al ritorno prossimo venturo di Salvini a Viterbo mi viene in mente la foto del bambino in gabbia e l’espressione della giornalista americana che ha data la notizia della separazione dei minori dalle famiglie quasi in lacrime…e mi sono detto: la maggioranza degli elettori statunitensi che hanno data fiducia a Trump si sono posti il problema di votare un politico che fin dalla campagna elettorale ha subito puntato su temi come la politica securitaria e l’America agli Americani?

Il nostro paese sta vivendo una situazione assai simile: mi chiedo se gli italiani che hanno votato la Lega, parte dei quali forse ha protestato contro l’annunciato (ma dal punto di vista istituzionale assai difficile) censimento dei cittadini di etnia rom si sia resa conto di affidarsi a chi da quindici anni ripete che prima vengono gli italiani, che la ruspa toglierà di mezzo criminalità e disordine sociale, che la famiglia vera è solo quella etero e via discorrendo.

La paura del nemico, quello che viene costruito come tale, ci ricordava Umberto Eco, per distogliere la pubblica attenzione dai grandi problemi (e dalle loro grandi cause) che stanno rendendo la nostra società un carcere dove si è al tempo stesso sorveglianti e sorvegliati, sembra essere il mezzo migliore per conquistare il gradimento elettorale di almeno un italiano su tre, che magari non ha tenuto conto che un Ministro della Repubblica che ha giurato sulla Costituzione dovrebbe averla come guida costante, in particolare per quanto riguarda l’eguaglianza sostanziale dei cittadini e la promozione della solidarietà con tutti gli esseri umani (sono, ovviamente, i cardini degli articoli 2 e 3 della nostra Carta).

Parlando con le persone comuni come me sento troppo spesso dire che non c’era alternativa, che tanto non cambierà nulla e che – altra opinione che serpeggia sempre più diffusamente – occorre davvero una stretta grazie alla mano forte di un politico che non vada troppo per il sottile, visti i tempi di emergenza che stiamo attraversando (…ma non è la politica della paura?)

Diseducazione civile forse è il non avere la necessaria coscienza dei valori che sono alla base della nostra democrazia (sovranità popolare, pluralismo, accoglienza, solidarietà), che portano essi stessi, nel loro continuo processo di attuazione, al benessere di tutti ed alla sicurezza – che viene invocata ogni frazione di secondo perché, si sa, i diritti fondamentali sono meno importanti di lei…- .

Mi sento per primo un diseducato civile, per questo leggo e rileggo la Costituzione e cerco di farla arrivare fino al cuore, per cercare di applicarla come cittadino e chiedere agli altri esseri umani che sono nel mio paese di fare altrettanto.

Stavolta più che mai saluti solidali e resistenti a tutt*.

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Via Giorgio Almirante a Roma

 Silvio Antonini
In merito all’intestazione della via ad ALMIRANTE a Roma, qui a Viterbo, com’è noto, siamo stati all’avanguardia, avendogli dedicato una circonvallazione. Ho recuperato a tal proposito questa nota congunta Anpi e Prc (c’era ancora il Cat, Coordinamento antifascista della Tuscia…) risalente al marzo ’07, quando la targa dell’intestazione veniva distrutta e sottratta da ignoti. Ho cercato un link che rimandasse direttamente alla pubblicazione on line, che, a mia memoria, avvenne, non trovando però nulla. Ecco il comunicato cui il tempo, drammaticamente detto, non ha evidentemente compromesso l’attualità.

Non una lacrima per il furto della targa Almirante! 
nota congiunta Comitato Provinciale ANPI e PRC circolo di Viterbo

Non si finisce mai d’imparare da questi raffinatissimi intellettuali della destra viterbese che tutto il mondo c’invidia. L’ultima lezione ce la dà Antonio Fracassini, assessore AN ai lavori pubblici del Comune di Viterbo, in una nota emanata a seguito del furto della targa d’intestazione della circonvallazione Giorgio Almirante 
(http://www.tusciaweb.it/notiz…/2007/marzo/17_20almirante.htm). Fracassini ci informa che Almirante era un “noto statista” ma si dimentica di specificare di quale stato: se parla della Repubblica nata dalla Resistenza allora Almirante non ha ricoperto alcun ruolo di responsabilità istituzionale, pur avendogli questa Repubblica garantito una certo immeritata impunità e permesso di svolgere indisturbato la sua attività squadristica. Il discorso cambia però se Fracassini allude a quell’altra di repubblica, quella di Salò! Lo stato fantoccio dei nazisti che si prodigò a portare a termine una guerra assurda e a torturare, fucilare, e deportare ebrei, antifascisti, renitenti e civili inermi. È lì che Almirante è stato un “noto statista”, e che statista! 
Questa richiesta di specificazione ci fa entrare nel merito delle reali motivazioni della nota nazional-alleata. Come Rifondazione, ANPI e CAT siamo da mesi impegnati in una raccolta di firme contro quell’imbarazzante intestazione (http://blog.libero.it/resistenze/) e per questo l’assessore non si fa sfuggire l’occasione di additarci come mandanti del furto. La complicata strada della petizione popolare e della sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul triste fatto presume lo scarto dell’ipotesi del furto o del danneggiamento nelle tenebre, assai meno dispendiosi in termini di energie e di tempo. Detto ciò non ce la sentiamo affatto né di condannare, né di prendere le distanze da chi in una di queste notti ha compiuto il gesto. Quando Fracassini scrive “azioni come questa fanno capire che c’è ancora molto da fare in termini di dialogo e valori condivisi” solleva la questione fondamentale: per motivi che dovrebbero essere ben noti a tutti non può esservi una memoria condivisa sulla figura di Almirante, che riassume la barbarie e il degrado civile nei quali il fascismo ha fatto sprofondare il paese! Proprio a riguardo, il periodico della Resistenza e degli ex combattenti “Patria indipendente” nel gennaio scorso ha messo in allegato la riproduzione fotostatica del 1° numero de “La difesa della razza” uscito nell’agosto ’38 in vista dell’emanazione delle infami leggi razziali, quando era ora che gli italiani si proclamassero “francamente razzisti”. Ebbene qui c’è un articolo del pivellino in camicia nera, che provava da “noto statista” (Giorgio Almirante, L’editto di Caracalla, “La difesa della razza”, n. 1, 5 agosto 1938, pp. 27-29), secondo il quale il declino dell’impero romano sarebbe stato determinato dall’immissione negli apparati statali di quanti non fossero di “razza italica”. Inutile soffermarsi sulle inesattezze e sulle sciocchezze che vi sono scritte, se non fosse che di lì ad un paio d’anni queste fesserie cederanno il passo ai fatti, con quegli epiloghi che dovrebbero essere noti a tutti; e mai il “noto statista” tornerà sull’argomento per fare autocritica. Questo è stato Almirante!
Ma alla fine Fracassini assicura: “rifaremo fare subito la targa intitolata a Giorgio Almirante per rimetterla al suo posto. Chi ha compiuto violentemente questo gesto può starne certo”. Ecco, magari sarebbe bene nell’occasione si ricordassero di dare una mano di bianco sulle scritte cubitali “Viterbo città fascista” che dànno il benvenuto sulle mura di tutti gli accessi in una città che è stata fascistizzata nel ventennio con la violenza, la repressione e la blandizie ma che nel 1921 rappresentò un fiero bastione contro l’avanzata fascista: unico centro in Italia, assieme a Sarzana (SP), ad impedire l’ingresso alle camicie nere all’interno della propria cinta muraria, col plauso di Gramsci e lo sconcerto di Mussolini.
Questa è la storia della città, questa la memoria da recuperare, altro che il “noto statista” Almirante! 
Vorremmo in fine chiedere alla giunta della Provincia se anche quest’anno alla cerimonia del 25 Aprile saranno invitati a prender la parola questi strenui difensori di Almirante che amministrano Viterbo.

Viterbo 20/3/’07

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Non chiudiamo questi porti

Amando molto parafrasare titoli di canzoni e film non ho potuto fare a meno di compiere questa operazione pensando alla ormai notissima vicenda della nave Acquarius a cui è stato impedito l’attracco “grazie” alla chiusura dei porti stabilita dal Ministro dell’Interno di concerto con quello delle Infrastrutture.

Mi sono posto subito più di una domanda: è stata una azione lecita secondo le convenzioni internazionali alle quali l’Italia ha aderito, ma soprattutto – e qui entriamo in gioco tutti noi dell’Anpi – è stata una condotta conforme alla Costituzione?

E ancora, come mai gli altri paesi della Unione Europea attuano politiche restrittive nei confronti dei profughi quando sarebbero vincolate dagli accordi che hanno sottoscritti a comportarsi in modo molto diverso?

Vorrei proprio iniziare da questo punto: di fatto siamo stati lasciati soli a gestire un flusso di persone che ha portato le nostre strutture ricettive al collasso, e a fronte della erogazione di fondi europei in aiuto alla gestione dei flussi migratori non abbiano ricevuto se non sporadicamente appoggio logistico (Valencia si è dichiarata disponibile ad accogliere la nave Acquarius, ma come andrà con le altre?).

Nessuno si salva da solo, o può salvare gli altri senza l’aiuto dei vicini, e soprattutto senza l’attuazione di un piano organico di distribuzione dei migranti nei vari paesi europei, come ha proposto Amnesty nel 2016.

Stiamo vivendo un paradosso: in Italia – 60 milioni di abitanti – sono sbarcate 180 mila persone nel 2016, a fronte di paesi come la Siria – poco meno di venti milioni di abitanti – che nel 2013 ha accolti oltre un milione di profughi, provenienti per la maggior parte da Iraq e Palestina, e tale flusso resta costante.

Possiamo dire, con Amnesty, che i paesi maggiormente propensi ad accogliere i flussi migratori siano proprio quelli non europei…e qiesto dovrebbe farci riflettere su questioni come la distribuzione delle risorse e la effettiva cooperazione tra gli stati.

Andando a vedere le possibili violazioni del diritto internazionale conseguenti la chiusura dei porti viene in aiuto un documentato articolo di Marta Serafini sul Corriere della Sera, in particolare il divieto di espulsioni collettive in caso di necessità mediche e di salvaguardia dell’individuo, previsto dalla Convenzione Europea dei Diritti Umani, sottoscritta anche dal nostro paese.

Prima di tutto questo vorrei citare l’articolo 2 della nostra Costituzione, nel quale si parla di doveri inderogabili di solidarietà, secondo lo spirito dell’Europa immaginata nel Manifesto di Ventotene.

Infine, dato che molti sostenitori della mano forte di Salvini si dichiarano religiosi, dovrebbero ricordarsi (lo dico da buon ateo…) che nel Vangelo di Matteo si ricorda che “…non avevo casa e mi avete ospitato…”.

Saluti solidali e resistenti

Riccardo Infantino

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Ebbene, mi premeva di dire

 

 Gabriele Busti

Premesso che:

– la tratta dei migranti è vergognosa,

– non si risolvono i problemi connessi con l’esplosione demografica africana attraverso i gommoni,

– l’Europa gira la testa dall’altra parte e non ha alcun piano comune per l’emergenza umanitaria, né per le cause né per le conseguenze;

– preferirei che a salvare vite umane fosse la marina militare invece che un arcobaleno opaco di ong: che ce l’abbiamo a fare una marina militare in tempo di pace?

– l’importazione di schiavi è uno dei trucchi del capitale per abbassare i salari e mettere i lavoratori l’uno contro l’altro;

– l’accoglienza diffusa così com’è genera corruzione e risentimento: “perché lo stato aiuta loro e non me?”

– non mi si venga a parlare di integrazione: vedo branchi di ragazzi in sostanziale cattività, sembrano tutto meno che integrati…

Ecco, io non faccio fatica a condividere molte delle perplessità dell’opinione pubblica in merito a tutto questo, e però martedì sera ho visto un sondaggio: per il 32% degli italiani la questione dei migranti è di gran lunga la più importante. Di gran lunga.

Ebbene, mi premeva di dire che

– se fai una vita di merda al 98% non è colpa dei migranti e davvero sarebbe molto meglio per te che tu la smetta di pensarlo, stai perdendo contatto con la realtà.

– se nonostante i migranti invece continui a passartela più o meno bene, l’aspetto paranoide del tuo fervore mi dice più di te che di loro. Avevi più che altro bisogno di un nemico.

– l’idea di un nemico è sempre servita a compattare le comunità: senza un nemico le religioni non sarebbero durate, la nostra repubblica democratica è nata dalla resistenza contro un invasore, etc. Ora, posto che nel 2018, volendo, si potrebbe creare spirito di appartenenza senza ricorrere a logiche da branco… non ti sembrerà un po’ vigliacco sceglierti come nemico uno che sta sotto di te? Non è che per caso non vedi l’ora anche tu di trovare qualcuno più in basso cui fare lo stesso trattamento a te riservato?

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Ma tanto è tutta roba che resta in famiglia.

 Gabriele Busti

Dei negri ci abbiamo bisogno, ci raccolgono i broccoletti, ci lavano le macchine dentro e fuori, ci fanno scopare a pochi soldi, ci vendono la droga, in generale servono a darci l’illusione di avere ancora potere d’acquisto, di poter consumare ancora qualcosa. Ci fanno sentire migliori, soprattutto: te li vedi spiaggiati sui pratini, a bere birre sulle panchine, oppure davanti a un ufficio del comune a pescare l’ADSL, e dici meno male che io ci ho una vita, una casa, se dovessi finire a elemosinare davanti al supermercato mi ammazzerei: io non scrocco a nessuno, al massimo ai miei genitori, ma tanto è tutta roba che resta in famiglia e in Italia la famiglia è molto importante. 

I negri ci forniscono paranoie (l’islamizzazione, la sostituzione etnica, etc), le paranoie sono importanti perché ci dicono che parte della popolazione è caricata a molla nell’investire energie psichiche per produrle, non ci fossero i negri chissà cosa andremmo a pescare. Se sei povero e fai una vitaccia te la puoi prendere con lo stato che aiuta i negri invece che te, se invece sei ricco è perché te lo sei meritato, poche storie: ti sei fatto ‘nu mazzo tanto e non vedi perché i negri debbano venire a rovinarti la vita. Dopodiché per carità, ci sarebbe da prendere in considerazione tutta una serie di cose serie, ponderate, importanti e interessanti, ma questo non vuole essere mica un post che fa lo spiegone, era solo per dire che i negri sono l’ennesima scusa per non fare i conti con noi stessi.

 

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Com’è che adesso sono tutti keynesiani?

Com’è che adesso sono tutti keynesiani? Quelli di prima, intendo, ho appena letto che sono “contro il liberismo”… Eppure in giro vedo stipendi di 700 euro al mese, senza sussidio di disoccupazione né integrazione al reddito, senza sgravi fiscali alle partite iva, nessun intervento pubblico per creare posti di lavoro (a parte quelli, keynesianissimi, della gestione migranti), nessuna legge per disinnescare cartelli e monopoli, nessuna tassazione delle rendite finanziarie (regali alle banche, semmai, mi pareva d’aver visto), nessuna protezione dei prodotti nazionali… Boh… Avrò studiato nel sussidiario sbagliato?

È la solita vulgata che qui da noi va in giro dal 94 (copyright di Silv. Berlusc.): se noi mettiamo nelle condizioni gli imprenditori di pagare meno tasse, quelli assumeranno, dando lavoro e incrementando i consumi. Al limite potrebbe valere per le tasse sul lavoro dipendente, ma in casi molto sporadici. Nessuna flat tax può equivalere al sistema fiscale in auge negli anni 80-90, ovvero un regime di anarchia fiscale più o meno assoluto. Non era per questo, che c’era la crescita economica, negli anni 80: si cresceva perché nelle case tra stipendi e pensioni entrava una buona quantità di dindi, con conseguenti spinta ai consumi e incremento della produzione.

Per quanto riguarda il reddito di cittadinanza stiamo messi talmente male che anche la versione più strutturalmente liberista da noi farebbe l’effetto di una presa del palazzo d’inverno: se lo stipendio a nero di un cameriere del sud è di 300 euro, anche i quattro spicci previsti serviranno a mandare a quel paese gli affamatori.

Gabriele Busti

Commento (Riccardo Infantino): Ora siamo tutti keynesiani, prima eravamo tutti neoliberisti seguaci del turbocapitalismo (ci si può arricchire tutti, non è vero?…), poi ultracattolici, poi ancora anarco.marxisti-popular-rivoluzionari…continua la giolittiana pratica del trasformismo, che non è solo un costume politico, ma una forma mentale diffusa; l’unica via di uscita si chiama consapevolezza del cittadino e senso di solidarietà verso tutti gli altri simili.

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Mattarella viva,  Mattarella abbasso

Proprio mentre leggevo la composizione del neonato governo pentaleghista pensavo al veto di Sergio Mattarella su Savona ministro dell’economia (poi riutilizzato negli Affari Europei, lui anti europeista…); nel momento in cui lo ha posto è saltato fuori un nutrito (e quanto mai diffuso geograficamente) gruppo di esperti costituzionalisti, che si è sfogato principalmente sui social network dando ragione o disapprovando e condannando il gesto di Mattarella, senza addurre motivazioni che facciano riferimento alla Carta Costituzionale, della quale il Capo dello Stato è per definizione il garante.

Volendo come al solito capirci qualcosa in più ho messe da parte le esternazioni alla Francesco Cossiga (chi ricorda le sue “picconate” al sistema?) ed ho cercato di documentarmi.

Tra i podcast di Radio Radicale dedicati alla (per ora trascorsa) crisi itituzionale ce ne sono due davvero notevoli, le interviste a Valerio Onida (Presidente Emerito della Corte Costituzionale) e Sabino Cassese (Giudice Emerito della Corte Costituzionale), persone senza dubbio informate sui fatti.

Come a volte accade esprimono due opinioni opposte, entrambe comprovate dai fatti e dal dettato costituzionale – nello specifico l’articolo 92 – : per Onida Mattarella è andato oltre le sue prerogative , per Cassese il veto da lui posto rientra in una corretta interpretazione dei poteri del Capo dello Stato, e cita tra gli altri esempi quello di Oscar Luigi Scalfaro che non accettò la nomina di Cesare Previti a Ministro della Giustizia.

A questo punto, dato che il dubbio resta sempre fonte di ricerca delle cose, ho provato a pensare se Savona fosse stato accettato come Ministro dell’Economia: essendo antieuropeista ed anti euro avrebbe promossa l’uscita dell’Italia dalla UE e da Eurolandia, ma come avrebbe reagito l’Unione Europea? Avrebbe disinvestito nel nostro paese (come sta avvendo in Gran Bretagna dopo l’uscita dalla UE), e soprattutto quanto sarebbe costato in termini effettivi un eventuale ritorno alla lira (ma sarebbe possibile mandare indietro la Storia, non avremmo rischiato di avere i prezzi nel corrispettivo in Euro e gli stipendi in lire?).

Onestamente non ho le conoscenze adatte per formulare un giudizio, ma credo che potremmo aver evitato un grosso pericolo.

Ho trovato, infine, molto interessante e ponderato questo articolo nel blog di Alessandro Giglioli, La trappola della democrazia nel mercato.

Saluti resistenti e buon due giugno a tutt*

Riccardo Infantino

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NON VOGLIO CONVINCERE NESSUNO

Torno sull’argomento: i patti che ci inchiodano ai diktat europei furono il frutto del Governo Monti, esso eletto nel novembre 2011 dopo un attacco speculativo fulminante, furono appoggiati da tutte le forze politiche odierne ad eccezione della Lega e del M5S che ancora non c’era, ad eseguire un’azione di governo ridicolmente distante dai programmi per cui quegli stessi partiti erano stati votati. La stessa cosa si è ripetuta allorquando Renzi ha preso le redini del suo partito ed è andato al governo dopo una doppia manovra di palazzo, parzialmente mitigata dall’esito positivo, per il congiurante, delle elezioni europee del 2014 (quelle del piatto di lenticchie degli ottanta euro).

Il risultato dopo otto anni è che nessun italiano ha mai votato per andare in pensione a 68 anni (è il computo della mia), distruggere lo statuto dei lavoratori, aziendalizzare la scuola, ridurre la sanità, privatizzare i servizi pubblici. Erano questi i punti programmatici che la BCE aveva inviato per lettera al Parlamento italiano nell’estate del 2011, a completare un processo di colonizzazione della nostra nazione già avviato con l’avvento della moneta unica: crollo di consumi con conseguente black out di milioni di attività commerciali, dismissione del tessuto della piccola e media impresa, calo della domanda interna, perdita di competitività nei mercati internazionali, perdita del potere d’acquisto, deflazione, proletarizzazione dei ceti medi, congelamento e/o fuga dei capitali, stagnazione economica.

Ora, io non voglio convincere nessuno, non sono iscritto a nessun partito e ho bellamente evitato persino di rendere pubblico il mio voto, ma questa sfilza di nefandezze mi fa schifo, danneggia la mia vita e quella di chi mi sta accanto ed è contraria a tutto ciò che credo. Non rubo, mi faccio il mazzo per quanto posso (come quasi tutti noi), non ho mai votato chi ha realizzato l’architettura di questa catastrofe, anzi l’ho sempre pubblicamente avversato (e più di qualche volta non mi sarebbe convenuto), la responsabilità di questo schifo non me la prendo e non voglio in alcun modo dar retta al signor Oettigner. (Il commissario Ue Oettinger: «I mercati insegneranno all’Italia a votare giusto» sembra abbia detto: il crollo dei mercati indurrà gli italiani a non votare partiti populisti. Non cambia il senso, ma almeno il tono sembra meno supponente.)

Gabriele Busti

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“canti partigiani”

Tocca sentire e leggerne molte in questi giorni. Quella più irritante riguarda il riferimento alla Resistenza nel sostegno al golpe bianco di Mattarella (tralasciamo, per carità, il comunicato dell’Anpi nazionale). Ecco a Torino: sono scesi in piazza, provenienti dai loro quartieri bene, arroccati negli unici posti dove ormai racimolano consensi, per intonare “canti partigiani”. Va da sé che della Lotta partigiana costoro sanno poco se non nulla; forse hanno assunto delle letture strumentali in funzione moralistica, altrimenti se ne guarderebbero bene dal far cenno a quella che è stata una lotta armata tenace per giustificare manovrette da politicanti come quella in atto. Tra l’altro con le bandiere del Pd, una compagine politica che ha sempre tirato la volata al revisionismo strumentale.

Verrebbe da perdonare coloro che non sanno quello che fanno: stanno per appoggiare un governo tecnico, “del Presidente”, che avrebbe il consenso di un 18% ca. dell’elettorato, allargato solo con un non del tutto improbabile appoggio di Forza Italia. Due partiti ormai schifati dai 3/4 della popolazione. Che conseguenze pensano si potranno trarre da questa situazione in termini di Antifascismo?

http://www.nuovasocieta.it/torino-1500-persone-piazza-difesa-della-costituzione-mattarella/

Silvio Antonini

 

MAGGIO

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A QUELLI CHE SI SONO MESSI A MANGIARE I POP CORN TIFANDO PER IL “TANTO PEGGIO, TANTO MEGLIO”:
ECCO, IL PEGGIO E’ ARRIVATO. CONTENTI?
MA SIETE PROPRIO SICURI CHE ADESSO ARRIVERA’ “IL MEGLIO” ?
IO CREDO CHE AL PEGGIO SEGUIRA’ IL TANTO PEGGIO, 
PERCHE’ IL PEGGIO PEGGIORA CHI LO PRATICA E CHI LO SUBISCE. PERCHE’ NON C’E’ LIMITE AL PEGGIO.

Enrico Mezzetti

 

LA CRISI ISTITVZIONALE SPIEGATA DA ME MEDESIMO:

Care italiane, cari italiani,

Finalmente stasera abbiamo capito cosa abbiamo permesso, con la nostra ignorante acquiescenza, nel gennaio 2012, allorquando il Parlamento, dopo aver accolto a braccia aperte un sobrio ed elegante signore in loden, con maggioranza dei due terzi modificò la Costituzione italiana inserendo il Pareggio di bilancio come obbligo costituzionale.

Tale legge sancisce di fatto l’impossibilità per un governo democraticamente eletto di pianificare delle spese superiori alle entrate.

Immaginate cosa succederebbe se questa opportunità fosse vietata a una normale famiglia: vuoi prendere casa, pagare l’università a tuo figlio, comprare un frigorifero a rate? Non si può, tanto incassi, tanto spendi, finché non metti tutti i soldi da parte non ti muovi. Tornando alla dimensione pubblica, prendiamo l’esempio di un misero sussidio di disoccupazione: servirebbe almeno a ripopolare le aree appenniniche del sud Italia, ridare fiato alle famiglie in difficoltà, arrestare la discesa degli stipendi, dare almeno la parvenza di una vita autonoma alle persone sotto i trent’anni… Evidente che tale strumento, attivo IN TUTTI GLI STATI D’EUROPA, non possa essere finanziato senza ricorrere a uno sforamento, anche leggero, dei conti pubblici. Ebbene, non si può: il pareggio di bilancio è un OBBLIGO COSTITUZIONALE dal 2012 perché il Governo Monti lo ha predisposto e il 75% del Parlamento l’ha più volte votato. Lo stesso niet varrebbe, ca va sans dire, se si volesse ridare fiato all’industria nazionale attraverso sgravi fiscali che fossero qualcosa in più rispetto alle elemosine dei governi precedenti.

Ora, se il pareggio di bilancio è un obbligo costituzionale, è del tutto ovvio che il garante di tale patto sia il Presidente della Repubblica. Ecco spiegato il perché dell’attivismo del dott. Mattarella e del suo predecessore.

Ma veniamo ai casi odierni: oggi il ministro indicato, l’ottuagenario economista confindustriale Dott. Savona, ha pubblicato una lettera in cui spiega le direzioni del suo pensiero politico. Tra le varie generiche attestazioni, c’era un preciso riferimento al rispetto dei valori e dei vincoli europei del trattato di Maastricht, ovvero a una visione della politica comunitaria che ancora non comprendeva i provvedimenti del 2012.

Dunque, Mattarella può rifiutare ministri per prassi costituzionale, Mattarella deve far rispettare una Costituzione in cui è stato inserito il pareggio di bilancio, ergo un’eventuale impeachment lo vedrebbe probabilmente assolto da ogni addebito. Il niet a Savona è giunto da Berlino e nessuno si è procurato di smentirlo (a questo punto siamo), il presidente è incatenato al trattato, e noi con lui. Che egli intimamente approvi o meno tali condotte è del tutto irrilevante. Si è preso una responsabilità enorme, questo sì.

E però, ancor prima di prendersela con lui bisognerebbe piuttosto linciare su pubblica piazza tutti quelli che l’hanno votato, il pareggio di bilancio, senza mandato, alla chetichella e sotto una ben congegnata minaccia speculativa.

  1. S.: se questa manovra fosse il frutto di una speculazione politica di Salvini per andare alle elezioni e prendersi il governo bypassando l’alleanza con Grillo, quanto detto sopra non perderebbe in ogni modo valenza.

Gabriele Busti

Nel mezzo del cammino.

Mezzo me lo immaginavo che, in un modo o nell’altro, Mattarella avrebbe stoppato la formazione del Governo, un governo che forse avrebbe nuociuto principalmente alle forze di maggioranza, per cui non è peregrina l’ipotesi che queste abbiano voluto creare l’incidente per far saltare il tavolo, ma ammetto di non saperla lunga a riguardo. Detto ciò, non amo chi non sa farsi onore con la propria creatività, intelligenza ed estro politico,ed è capace solo di agire previa iter procedurali, facendo leva sui cavilli; qui le prerogative presidenziali sulla nomina dei ministri. Mi irrita quella “sinistra” moralisteggiante che ora si aggrappa a Mattarella perché, per proprie colpe e negligenze, non conta più nulla, è sparita dal tessuto sociale e nel consenso elettorale. E’ perciò sciocco gioire dinanzi ai diktat Ue (perché comunque di questo si sta trattando), soggetto imperialistico (altro che Manifesto di Ventotene!) che la “sinistra” non ha avuto cuore di contrastare, consegnando il malcontento alle destre e ai movimenti postpolitici.

Silvio Antonini

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Pensieri e paure (di un cittadino qualsiasi)

Prendo a prestito rielaborandolo il titolo battistiano per fare un paio di considerazioni, in vista del probabile governo verde stellato (perdonatemi il poco simpatico neologismo).

Come spero abbiano fatto molti italiani sono andato a leggermi il contratto post elettorale stipulato tra il Movimento Cinque Stelle e la Lega, cercando di non avere troppi pregiudizi sul testo – non nutrendo eccessiva simpatia per entrambi non è stato facile -, e lasciando il beneficio del dubbio anche sul (prossimo) futuro operato del governo a guida di Giuseppe Conte.

Proprio per questo prescindo volutamente dalle vicende del curriculum culturale e professionale di Conte, e inizio a scorrere il contratto.

Prima cosa che mi salta all’occhio: la Commissione di Conciliazione …in pratica un organo esterno al Governo che dovrebbe esercitare una mediazione in caso di divergenze, quasi un arbitrato, e suggerire soluzioni atte a superare eventuali incomprensioni tra le due parti.

Secondo la nostra Costituzione, agli articoli 92-96, il Governo deve rispondere del suo operato ai due rami del Parlamento, presupponendo che le eventuali divergenze tra i ministri che lo compongono debbano essere appianate al suo interno, non affidate ad un ente a lui estraneo e non riconosciuto nella Carta Costituzionale.

Nella sezione dedicata alla immigrazione (punto 13, alle pagine 26 – 28) si parla di rimpatrii e di creazione di strutture di permanenza temporanee (per una di queste, a Ponte Galeria a Roma, esiste un dettagliato rapporto di Medici per i Diritti Umani che ne denuncia le condizioni degne di un carcere, altro che punto di smistamento); viene inoltre ipotizzato un registro dei ministri di culto islamici per prevenire eventuali infiltrazioni terroristiche…a quanto so più di un sacerdote cattolico è stato processato per collusione con la criminalità organizzata, dunque dovremmo creare un elenco dei religiosi per prevenire infiltrazioni mafiose, magari per proteggere i ben più numerosi preti antimafia?

Nella sezione dedicata al Parlamento, accanto alla condivisibile proposta di riduzione dei componenti le due Camere si legge :”Occorre introdurre forme di vincolo di mandato per i parlamentari, per contrastare il sempre crescente fenomeno del trasformismo” (punto 20, alla pagina 35); la Costituzione, al fine di salvaguardare la piena autonomia politica e di coscienza dei parlamentari – democrazia significa libertà di scelta, anche indipendentemente dal proprio gruppo di appartenenza, no? – vieta il vincolo di mandato all’articolo 67: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.

Sulla sicurezza un altro punto che mi ha lasciato davvero perplesso (punto 21, Cyber security e cyber bullismo, alla pagina 44): l’introduzione di premi per gli studenti che denuncino episodi di bullismo e l’adozione di telecamere nelle aule; magari i nostri ragazzi dovrebbero capire la gratuità del concorrere a far funzionare la legge, e possibilmente non studiare in aule sorvegliate come prigioni (anche perché se vieni preso di mira a scuola lo puoi essere tranquillamente fuori).

Mi fermo qui perché ho viste solo le cose più eclatanti, accanto a punti degni di nota in positivo – come lo sviluppo delle energie ecosostenibili – , e spero ardentemente che non si prosegua sulla strada di una politica vissuta quasi come un contratto di businnes e politica securitaria, piuttosto che applicazione della Carta Costituzionale.

Riccardo Infantino

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Dimmi come voti e ti dirò quale democrazia vuoi

Volevo condividere con voi tutti alcune mie riflessioni sulle vicende post elettorali successive al voto del quattro marzo, per tentare di capire cosa stia succedendo.

Lascio agli analisti della politica le considerazioni più scientificamente e statisticamente esatte, e mi baserò solo sui miei sentimenti di cittadino e di membro dell’ANPI , dato che la democrazia si pensa con il cuore, prima che con la testa.

La prima cosa che salta agli occhi è la difficoltà di capire chi ha davvero vinte queste elezioni: a fronte di un 37% ottenuto dalla coalizione dei cinque (!) gruppi del centrodestra (forse sarà l’età, ma mi ricorda tanto la vecchia formula del governo del pentapartito…) abbiamo il Movimento Cinque Stelle che ha ottenuto, da solo, il 32,7 %, seguito dalla coalizione di centrosinistra al 22%.

Da un punto di vista strettamente aritmetico la coalizione di centrodestra dovrebbe avere il risultato migliore, ottenuto però con una coalizione di ben cinque gruppi non proprio solidali tra di loro; il Movimento Cinque Stelle, malgrado la grande percentuale ottenuta, non ha i numeri per governare da solo, così come non li hanno i loro avversari.

Il risultato di questa empasse sono le consultazioni fallite e le tante dichiarazioni programmatiche di alleanze probabili o improbabili se mai il leader di turno venisse incaricato dal Capo dello Stato di formare il nuovo governo…scusate, ma da uomo della strada quale mi ritengo non mi sembra troppo salutare per il paese che le due forze politiche che hanno ottenuti i consensi più elevati continuino a discutere con chi accompagnarsi prima ancora di ricevere l’incarico.

E voglio proprio parlare fuori dai denti: ho tremato quando ho visto Di Maio avere già in tasca la lista dei ministri del futuro governo, se non ricordo male un altro personaggio, quasi cento anni fa, si comportò nello stesso modo, sicuro che sarebbe diventato Presidente del Consiglio.

Altra considerazione: la percentuale dei votanti è stata del 72,9 %, ma se fosse arrivata non dico al massimo, ma almeno all’85%, forse il risultato finale delle urne sarebbe stato netto e definito da una parte o dall’altra, non rendendo così necessario un nuovo ricorso alle urne (con l’incertezza politica ed il costo economico che comporta).

In tutta questa paradossale italica (stavo per dire italiota…) situazione ho avuta la netta percezione che gli elettori abbiano scelto il leader e non il partito o la coalizione: basta avere un minimo di attenzione ai discorsi che si fanno in strada per percepire una netta disaffezione per la politica intesa nel senso più nobile e concreto del termine, governo dei cittadini attraverso i propri rappresentanti liberamente scelti – tanto sono tutti uguali, vero? – ed i montare preoccupante della speranza di un grande uomo che metta mano alla situazione e risolva i problemi del paese.

Lo abbiamo già sperimentato un grande uomo, e non ci ha portata molta fortuna.

Perdonate lo sfogo partigiano e volutamente esagerato.

Saluti resistenti, e confidiamo in una coscienza civica che punti alla vera sovranità popolare (democrazia rappresentativa, in altri termini), e non al consenso di massa verso un leader, secondo i canoni della democrazia plebiscitaria, che la Storia insegna essere sempre l’anticamera di qualcosa di molto diverso.

Riccardo Infantino

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Il fascismo era anche buono?

Risultati immagini per la propaganda fascista della dittatura

immagine ripresa dalla seguente pagina: http://www.annefrankguide.net/cs-CZ/bronnenbank.asp?aid=12709

 

Il primo maggio l’assessore al turismo della regione Lombardia, Lara Magoni, ha pubblicato un post sulla sua pagina Facebook (rimosso quasi subito), nel quale dichiara che è un “grande errore rinnegare ciò che di buono ha fatto il fascismo”.
Capisco che la signora Magoni sia fedele alla linea del gruppo politico in cui è stata eletta, Fratelli d’Italia, che apertamente si rifà al tempo che fu, ma non posso fare a meno di notare che la sua voce si aggiunge a quelle purtroppo oggi non così rare che alimentano il mito del fascismo buono, a fronte di quello cattivo che ha trascinata l’Italia in una guerra che l’ha ridotta a pezzi.
Mi ha colpito, in particolare, il suo insistere sul fatto che – sempre a suo dire – le leggi a tutela dei lavoratori sono nate tutte durante il ventennio.
Forse non è ben chiara la sostanziale differenza tra l’organizzazione corporativa del lavoro nell’epoca fascista e la democratica rappresentanza sindacale: nel primo caso vigeva il principio del non conflitto e dello Stato che media tra lavoratori e imprenditori sempre a favore di questi ultimi (le riduzioni salariali ne sono una riprova); nel secondo la logica fondante è la costante rivendicazione dei diritti dei lavoratori anche attraverso lo sciopero (proibito nel ventennio) e le azioni legali avviate da chi si sente parte lesa, e non un arbitrato esercitato da un potere finanziato da chi quei diritti aveva spazzati via di concerto con il regime dominante (un articolo dell’ANPI di Lissone  illustra in modo ben documentato tutto questo).
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Altra amena considerazione dell’assessore: basta combattere contro i fantasmi, dopo settanta anni non ha più alcun senso: è di pochi giorni fa la foto di duecento neofascisti che a  Piazzale Loreto hanno commemorato l’episodio dello scempio dei cadaveri di Mussolini, di Claretta Petacci e di alcuni gerarchi fascisti (Pertini stesso si schierò contro l’accanimento – della folla milanese, non dei partigiani che avevavno fucilati Mussolini e gli altri finiti poi appesi – sui corpi) con tanto di saluto romano.
Sono convinto che fino a quando ci sarà anche un solo fascista sarà necessario un partigiano che lo contrasti.
Saluti molto, molto resistenti.

Riccardo Infantino

APRILE ___________________________________________

La non violenza antifascista

Carla Nespolo, la nostra presidente, ha esplicitata senza mezzi termini il 24 febbraio la necessaria matrice non violenta dell’antifascismo (e giova ricordare che dopo l’ordine di insurrezione del 25 aprile 1945 a tutte le formazioni partigiane sguì, a mano a mano che le varie città d’Italia venivano liberate dai nazifascisti, quello di consegna immediata delle armi), perché la Resistenza si poneva, ieri come oggi, come cultura di contrasto al pensiero fascista, che della violenza repressiva fa il suo verbo quotidiano.

I fatti recentissimi accaduti di nuovo a Macerata – il fantoccio di Mussolini appeso a testa in giù come a Piazzale Loreto per un gioco destinato ai bambini – richiamano immediatamente le parole di Carla Nespolo, e spingono comunque a prendere posizione.

Voglio esprimere un parere personale come essere umano che prescinda dalla mia presenza nell’ANPI e dal mio essere cittadino che nella Costituzione si riconosce: non è stata una iniziativa degna di lode, perché valica i limiti del rispetto umano per la morte, che non andrebbe negato nemmeno ad un criminale che soffocò il paese con una dittatura che lo portò alla rovina (altro che fascismo buono); nel caso specifico si è rischiato di iniettare una carica di violenza travestita da giocosità nelle menti di bambini, che per definizione sono plasmabili.

Antifa è giusto, è necessario, perché fino a quando avremo in giro un fascista ci dovrà essere un antifascista che lo contrasti… il punto è come.

Faccio parte di quella generazione che ha visto con i propri occhi la violenza neofascista che portò alla morte militanti come Walter Russo o Giorgiana Masi, e l’idea che anche solo per scherzo o per gioco dei bambini siano instradati all’uso della forza mi riempie di paura, e non poco.

Il partigiano Sandro Pertini ebbe il coraggio di dire al CLN che quello che accadde a Piazzale Loreto (che pure trova una motivazione nei fatti dell’anno precedente) era una cosa indegna, perché non è umano accanirsi contro un nemico ormai morto.

Ognuno poi è libero di trarre le proprie conclusioni, e confutare quelle degli altri.

Antifascisti sempre.

Riccardo Infantino

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Antifascismo di strada

NelloMarignoli1

Traggo spunto dalla recentissima inaugurazione, giovedì 19 aprile scorso, della sede ANPI di Viterbo, cerimonia alla quale ho partecipato pochi minuti “grazie” agli impegni di lavoro, per una rapida e concisa riflessione, dettata quasi dal sentimento: eravamo in tanti a Via Sacchi 5 ad ascoltare le parole del nostro presidente provinciale Enrico Mezzetti, che ha parlato con il cuore (non ha letto il discorso, lo ha pronunciato dicendo ciò che sentiva in quel momento) di antifascismo che dalla Costituzione scende nel tessuto sociale e morale degli italiani tutti, non solo degli iscritti all’ANPI.

Pietro Benedetti, che sempre sulla strada antistante la sezione ha messa in scena la sua pièce teatrale Drug Gojko, ci ha ricordato come, appena tornato a Viterbo dopo aver combattuto insieme ai partigiani jugoslavi, Marignoli sia subito tornato alla vita di sempre, riaprendo la bottega dove prima della guerra faceva il gommista…e quello tornò a fare, tornò alla vita di sempre.

La nostra nuova sezione a lui è intitolata, e infatti erano presenti i suoi figli, i nipoti ed i pronipoti…un passaggio di testimone intergenerazionale, a dimostrazione che certi valori attraversano il tempo; eravamo tutti lì, sulla strada, nel luogo pubblico e della gente per eccellenza, non solo perché lo spazio fisico della sezione non poteva contenerci, ma perché ci siamo ritrovati convinti, tutti, che l’azione antifascista vera supera le celebrazioni ufficiali (importanti, certo, come l’ormai prossimo 25 aprile) e si espande nel quotidiano privato e pubblico, nella strada, tra la gente, soprattutto tra quei cittadini che non sono ancora completamente coscienti e convinti che la nostra repubblica (ognuno poi le assegni il numero che preferisce) ha nella lotta partigiana e nei suoi ideali di sovranità popolare, eguaglianza, libertà e solidarietà (i quattro princìpi alla base della carta costituzionale) le proprie salde radici…che come quelle di ogni pianta vanno curate e custodite perché restino forti con il passare del tempo.

Buon 25 aprile a tutti…e che sia antifascismo ogni giorno!

Riccardo Infantino

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LA SOLUZIONE ALLA GUERRA NON PUO’ ESSERE UNA NUOVA GUERRA.

Mentre i mezzi d’informazione stanno preparando l’opinione pubblica ad accettare l’intervento militare in Siria, si sta consumando un’altra tragedia umanitaria.

Sembra di rivivere la situazione di 15 anni fa in Iraq, dove si parlò di armi chimiche poi rivelatesi inesistenti e di cacciare un dittatore per portare democrazia. Una guerra che portò mezzo milione di morti , la cui unica ragione fu il petrolio.

Siamo in guerra da 15 anni, per portare pace. Dall’Iraq, all’Afghanistan, dalla Libia alla Siria ma è sempre guerra, è sempre distruzione , è sempre morte.

Quando viene dichiarata una guerra, la prima vittima è la Verità.
La soluzione alla guerra non può essere una nuova guerra.
L’unica politica che possa salvare l’umanità è la politica della pace, del disarmo della smilitarizzazione dei conflitti; la politica della non violenza.
Un appello al Tavolo della pace e a tutte le associazioni pacifiste esistenti sul territorio , occorre urgentemente far sentire la nostra voce , occorre immediatamente organizzare una grande manifestazione contro ogni guerra e contro ogni violenza.

Paola Celletti

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Tarquinia – ancora sul saluto romano – uno sfregio alle istituzioni repubblicane e antifasciste

L’episodio di Tarquinia: E dunque un uomo  introdotto nella stanza de vicesindaco, indossa la fascia tricolore  e, sotto la bandiera nazionale e quella dell’Unione europea, di fronte all’immagine del Presidente della Repubblica, si fa scattare una foto mentre fa il saluto romano.

Nella interpretazione più “minimalista” possibile, si tratta di uno sfregio alle istituzioni repubblicane ed antifasciste.

Se anche quell’uomo abbia compiuto la sua “impresa” come chi non sa quello che fa, e quello che significa il suo comportamento, ciò non sarebbe meno grave: confermerebbe anzi lo stato avanzato di degrado culturale e d etico che (come un virus)  via, via aggredisce ed infetta il senso della nostra identità nazionale.

Comprendiamo l’imbarazzo dei rappresentanti istituzionali. Ma questo episodio non può essere sbrigativamente liquidato e rimosso con fastidio come se si trattasse di  un banale accidente privo di significato; al contrario, esso costituisce il sintomo di una malattia sociale che ci coinvolge e ci impegna tutti e che si chiama ignoranza, perdita della memoria e della identità,  cinismo amorale.

E’ compito di tutti noi, (cittadini, associazioni, ma in primo luogo delle istituzioni), resistere ed anzi combattere questa malattia sul terreno sociale, culturale, storico, politico a difesa della nostra identità nazionale e della nostra Repubblica antifascista  nata dalla Resistenza.

Enrico Mezzetti

Presidente provinciale ANPI Viterbo

Vietata la critica all’alternanza scuola lavoro?

Come cittadino e come insegnante sono rimasto interdetto alla notizia del 6 in condotta (che se mantenuto a fine anno porterebbe ad una bocciatura) comminato ad uno studente minorenne dell’ITIS di Carpi, che il giorno dopo aver iniziata la prevista attività di alternanza scuola lavoro presso una azienda del carpigiano ha espresse in un commento su un social network critiche assai pesanti nei confronti dell’azienda “ospitante” e della scuola che gestisce, come da legge 107, l’alternanza scuola lavoro stessa.
Stando a quanto riferiscono diverse testare di differente orientamento (in fondo troverete i link agli agli articoli sulla vicenda ed il nome dei quotidiani)  il ragazzo si sarebbe lamentato di essere assegnato ad una mansione ripetitiva e non pagata, sollevando una non proprio inplicita critica alla ditta ed alla stessa sua scuola: il Consiglio di Classe (perché è lui l’organo competente per l’erogazione di una sanzione disciplinare) ha deciso per il 6 in condotta nel primio periodo dell’anno (il che vuol dire che la valutazione potrebbe essere modificata allo scrutinio finale) dato che le critiche mosse, osserva il preside dell’ITIS di Carpi “…sono state inappropriate sia verso l’azienda, sia verso gli insegnanti che si prodigano per portare avanti l’alternanza scuola lavoro, che richiede molto impegno e coinvolge 500 ragazzi, fra quarte e quinte”.
Il provvedimento, a quanto è dato di capire, sarebbe stato motivato sulla base di un atteggiamento oppositivo di principio dello studente al meccanismo di alternanza scuola lavoro, espresso molto poco opportunamente il priomo giorno di “servizio” presso l’azienda.
Altra cosa che non riesco a capire: si tratta di un minorenne, ma come mai nessuno riporta il testo del commento su Facebook che ha originata tutta la vicenda?
Se non ricordo male l’articolo 21 della nostra Costituzione recita, al primo paragrafo; ” Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”… e allora come mai le critiche – magari inopportune e dettate da una certa presunzione ideologica ed adolescenziale, concediamo senz’altro il beneficio del dubbio – mosse al meccanismo dell’aternanza scuola lavoro sono state punite in modo così pesante?
Forse ci sono argomenti dei quali non si può parlare se non positivamente?
Credevo che la democrazia fosse anche conflitto di opinioni, è ancora così?
Qualcuno, per favore, mi aiuti a capire.

Riccardo Infantino

Alcuni tra i giornali che hanno dato risalto alla notizia:

La Gazzetta di Modena

Modena Today

Il Fatto Quotidiano

Il Giornale

Il Secolo XIX

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Partigiani antifascisti di cuore, non di età

Cercando ispirazione per il pezzo con il quale ogni domenica spero di far venire a qualcuno voglia di perdere un po’ del proprio prezioso tempo per leggerlo ho trovato due articoli: il primo è una commemorazione di Biagio Gionfra, presidente dell’ANPI provinciale di Viterbo dal 2002, scritta da quel ricercatore di solida tempra che è Silvio Antonini nel 2014, a cinque anni dalla scomparsa; il secondo è comparso sul Fatto quotidiano il 27 marzo scorso, ed annuncia la candidatura a consigliere regionale per il Friuli Venezia Giulia del centoquattrenne (!) scrittore, partigiano e sopravvissuto allo sterminio, Boris Pahor.

Mi è venuto in mente di accomunarli leggendo le loro vicissitudini: il partigiano Gionfra (che ho avuta la ventura di conoscere in una affollata assemblea di istituto nella mia scuola diversi anni fa, quando ancora era ben diffusa una coscienza collettiva antifascista) entrò nella Resistenza a 17 anni dopo l’8 settembre 1943, iniziando un percorso di pratica e di memoria antifascista che lo accompagnerà per tutta la vita.

Boris Pahor, deportato in un lager perché antifascista, sopravvissuto a ciò che Elie Wiesel definì un luogo in cui si vedeva Dio appeso ad una corda, ha iniziato ad essere – come lui stesso si definisce – un missionario della memoria, e a lottare per i diritti delle minoranze (non a caso si candida per l’Unione Slovena).

Non voglio aggiungere null’altro se non la frase del Partigiano Johnny, scolpita sul marmo di una delle lapidi poste all’ingresso della città di Alba: una volta che sei partigiano lo sei per sempre.

Riccardo Infantino

 

I fatti di Alessandria

Non perderò un secondo a dire la mia sugli arcinoti fatti di Alessandria, non voglio allungare la fila dei centomila sociologi da bar tutti tesi a snocciolar la litania che è colpa dei professori dei genitori del sistema signora mia che tempi, però vi invito a leggere quest’intervista, una testimonianza più istruttiva non si potrebbe davvero avere, al giorno d’oggi.

Notate il terrore di questa povera mentecatta, una disabile che appena due giorni fa è stata legata con lo scotch, derisa, insultata, filmata e messa su internet da un branco di bambini: “Si sa come sono al biennio, scherzano un po’ pesante ma è tutto perdonato”. Eh già, signori miei, è tutto perdonato…

Adesso immaginate un ambiente di lavoro che possa partorire una risposta del genere, un clima autoritario-repressivo da mega-azienda giapponese anni Cinquanta, pensate al potere che è stato dato a questi dirigenti-caudillos programmati a molla per aumentare le fila degli alunni-clienti a qualsiasi costo, immaginate la loro forza di ricatto, il “buon nome della scuola” come totem assoluto da anteporre a qualsiasi etica, il terrore che quanto succeda in classe possa uscire fuori e far cattiva pubblicità all’Istituto, la doppia morale con cui quotidianamente si chiude un occhio rispetto a certi comportamenti nel mentre che si mettono sulla pubblica gogna altri più confacenti ad educare il personale a far propria la mission aziendale. Ora, indovinate un po’ chi va a subire tutto questo? Qual è l’anello debole di questa catena? Chi è costretto a lavorare tra l’incudine di un ricorso in carta bollata delle famiglie (anche solo per un voto contestato) e il martello della minaccia di un provvedimento disciplinare del dirigente?

Dopodiché per carità, anch’io come voi sono convinto che quanto successo ad Alessandria è il degrado è colpa dei genitori dei professori del sistema signora mia che tempi…

Gabriele Busti

https://www.tecnicadellascuola.it/la-prof-legata-perdona-gli-alunni-si-sa-come-sono-fatti-al-biennio

MARZO

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Viterbo si Lega…

(Riflessioni poco serie sugli ultimi accadimenti viterbesi)

Sto vedendo i video della diretta web dell’intervento di Matteo Salvini a Viterbo, subito dopo aver inaugurata la nuova sede della Lega a Corso Italia; devo ringraziare il canale Youtube di New Tuscia TV, che ha resa possibile la fruizione pubblica delle registrazioni del discorso tenuto dal segretario della Lega (Lombarda o Viterbese, mi chiedo…).

Dal primo video si percepisce una grande e calorosa partecipazione di pubblico, che lo ha di fatto scortato fino a Piazza del Comune, dove ha tenuta la sua performance, pardon! il suo comizio…sembra che tanti viterbesi si siano di colpo trasformati in body guard, ed una voce fuori campo commenta: “Pare Santa Rosa”…; arrivato vicino al palco viene accolto da una bella voce femmininile che intona l’ultimo verso di una canzone in suo onore:”Tutti insieme…con Salvini si può far…” (non so come mai, ma mi ricorda il “Meno male che Silvio c’è”…ma forse sono io fazioso e parziale).

L’intervento del leader è stato preceduto dal senatore leghista viterbese Umberto Fusco e dal coordinatore regionale Francesco Zecchieri (che forse non ricordano l’antica proposta di un certo Umberto Bossi, che riteneva l’Italia “vera” terminare a Bologna…), in attesa (sono parole di Fusco) di “prendere il Paese” (!).

Il discorso di Salvini è stato a dire il vero non troppo lungo ed ha ripercorsi i punti del programma che ha fruttato alla Lega il 17% dei consensi alle elezioni politiche: abolizione della legge Fornero, riduzione del carico fiscale, difesa degli interessi degli italiani al parlamento europeo, reintroduzione del merito nel pubblico così come lo è nel privato, e via di questo passo.

Grande plauso di approvazione della folla presente, anche perché il segretario della Lega ha fatto costante riferimento all’aiuto che dovrà fornire Santa Rosa (!) nella realizzazione del programma politico presentato dal suo partito, e alle indubbie radici cristiane della cultura del nostro paese (ma non c’erano anche la religione ebraica e quella musulmana, accanto a valdesi e buddisti, ad esempio?).

Il massimo dello share (diciamo così…) lo ha ottenuto quando ha parlato della coppia genitoriale che deve essere necessariamente etero, mettendo insieme nuclei familiari omosex, utero in affitto, fecondazione in vitro (spero di non aver omesso nulla…): forse l’onorevole Salvini non sa che l’omosessualità è dimostrata scientificamente come uno degli orientamenti sessuali possibili nell’umano genere…

Così anche riguardo al diritto di difesa per la violazione del domicilio: sempre e comunque, continua il leader verso la fine dell’intervento…ma non sarebbe più efficace potenziare i fondi alle forze dell’ordine per garantire una vera sicurezza del territorio invece che permettere a tutti i cittadini di -chiamiamo le cose con il loro nome – farsi giustizia da soli?

Ordine e pulizia – all’inizio ed alla fine del discorso – sono stati i due vocaboli chiave di Salvini, che ha ricordato come ai tempi delle sue nonne si poteva dormire con la porta aperta…uno dei cardini della propaganda fascista sulla sicurezza degli italiani nel ventennio, se non ricordo male.

Una promessa fatta da Salvini: non andremo al governo se non verranno accettati tutti i punti del nostro programma elettorale…non ricordo da chi, ma una frase simile mi pare di averla già sentita in passato…

“Prima gli Italiani” campeggiava sullo striscione posto di lato al palco del comizio: caro segretario, con buona pace del tuo partito che pure ha nelle sue fila un senatore di origini nigeriane, ormai quasi tutti gli adolescenti figli di genitori stranieri sono nati nel nostro paese, frequentano tutte le scuole in Italia e spesso hanno l’italiano come madre lingua…da rifletterci su.

In fin dei conti ogni nazione ha il governo che si merita.

Riccardo Infantino

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Noi sapevamo…ma non avevamo le prove

Indegnamente mi riapproprio della frase di Pier Paolo Pasolini emblematica dell’articolo Il romanzo delle stragi, pubblicato sul Corriere della Sera del 14 novembre 1974 a proposito della vicenda stragista di Piazza Fontana e di Piazza della Loggia: “Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi”.

Oggi, 16 marzo, a quarant’anni esatti dal rapimento di Aldo Moro, leggo un articolo sul documentato libro di Giovanni Fasanella “Il puzzle Moro”, basato su dossier inglesi e statunitensi da poco desecretati, che conferma, in quanto verità acclarata dalle prove, ciò che molti della mia generazione (sono del 1962) hanno pensato appena piombata sull’Italia la notizia del suo rapimento e del massacro della scorta: i veri mandanti del sequestro e del suo assassinio erano ben più in alto delle Brigate Rosse, molto più in alto anche dei cuoi compagni di partito, Mariano Rumor, Francesco Cossiga e Giulio Andreotti fra tutti, occorreva ricercarli nella NATO e nella CIA.

Il motivo ci sembrava palese: Moro poteva spianare la strada ad un governo presieduto dall’allora PCI, ma questo avrebbe significato un deciso mutamento di rotta nelle alleanze politico militari internazionali del nostro paese – un allontanamento dalla NATO e dagli States – ed un sostanziale avvicinamento ai paesi arabi e all’OLP di Yasser Arafat (che andò a rendere omaggio alla salma di Enrico Berlinguer ).

La vicenda del rapimento – come ha evidenziato la commissione di inchiesta ora presieduta da Giuseppe Fioroni è piena di punti oscuri e di incongruenze, così come la permanenza in prigionia e la sua esecuzione; della prima prigione di Moro, un palazzo di proprietà dello IOR (dunque extraterritoriale e non perquisibile) a poca distanza dal luogo del sequestro parlarono Licio Gelli e il giornalista Mino Pecorelli, ucciso a sua volta in un attentato nel 1979.

In maniera analoga è evidente come le Brigate Rosse (in particolare Valerio Morucci e Adriana Faranda, autori di un memoriale smentito dai risultati a cui è giunta la commissione) siano state utilizzate facendo loro credere di agire di propria iniziativa per – come recitavano alla fine dei loro volantini – “portare l’attacco al cuore dello Stato”.

Quei 55 giorni hanno cambiato in modo irreversibile il cammino della democrazia nel nostro paese: le leggi speciali (da quella Reale a quella Cossiga a quella Pisanu) hanno di fatto ribaltato l’equilibrio diritti – sicurezza a tutto vantaggio della seconda, ponendo di fatto un grave problema di rispetto delle norme costituzionali fondamentali (in particolare l’articolo 13, che sancisce l’inviolabilità della libertà personale), e contribuendo a creare un clima di paura che potrebbe rendere i cittadini favorevoli a forti restrizioni delle stesse garanzie costituzionali in nome di una non meglio identificata sicurezza.

Ovviamente la mia visione, avendo vissuto a Roma, la mia città, quei giorni – ero al ginnasio all’epoca) è per forza di cose parziale, ma avverto in questo travagliato periodo in cui i media non fanno altro che parlare di rischio terroristico di matrice islamica (definizione che di per sé è contraddittoria, dato che nessuna religione predica l’omicidio, né tantomeno il Corano) il pericolo di una nuova grave incrinatura nei diritti fondamentali, senza i quali non può esistere la democrazia: si chiama il governo della paura.

Riccardo INFANTINO

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CONSIDERAZIONI (CHE A ME SEMBRANO) LAPALISSIANE SULLA LEGGE ELETTORALE, SUGLI SCOPI DI QUELLI CHE L’HANNO IDEATA ED APPROVATA (A COLPI DI FIDUCIA), SULLA SITUAZIONE POST VOTO

E’ DI TUTTA EVIDENZA CHE, NELL’ATTUALE SISTEMA (DA TUTTI DEFINITO -ALMENO- TRIPOLARE), NESSUNA FORZA POLITICA E NESSUNA COALIZIONE AVREBBE POTUTO SUPERARE LA SOGLIA DEL 40%: TANTO MENO AVREBBE POTUTO SUPERARE TALE SOGLIA IL PD (CIOÈ’ IL PARTITO DI GOVERNO CHE HA POSTO OTTO VOLTE LA FIDUCIA PER APPROVARE LA LEGGE).

PER QUANTO IO NON NUTRA ALCUNA STIMA IN RENZI, NON LO RITENGO CRETINO O ADDIRITTURA COSÌ’ CRETINO DA POTER PENSARE CHE IL SUO PARTITO AVREBBE SUPERATO QUELLA SOGLIA, QUINDI, SE E’ COSI’, LA DOMANDA SORGE SPONTANEA (E NON SONO CERTO IO IL PRIMO A PORLA): PERCHÉ’ RENZI, PERCHÉ’ IL SUO GOVERNO HA VOLUTO A TUTTI I COSTI QUELLA LEGGE?  LA RISPOSTA E’ EVIDENTE: RENZI CONFIDAVA IN UNA ALLEANZA GOVERNATIVA POST ELETTORALE CHE ESCLUDESSE I 5 STELLE.

E CON CHI CONFIDAVA DI FORMARE QUESTA ALLEANZA? BASTA OSSERVARE QUALI SONO LE FORZE POLITICHE CHE SONO SEMPRE STATE OGGETTO DI PESANTI STRALI DA PARTE DEL PD RENZIANO: I 5 STELLE E LA LEGA. INVECE MAI, DURANTE TUTTA LA CAMPAGNA ELETTORALE IL PD E FORZA ITALIA SI SONO ATTACCATI. IL PD RENZIANO ATTACCAVA “GLI ESTREMISTI” (CON CIÒ’ INTENDENDOSI 5 STELLE E LEGA) MENTRE BERLUSCONI INTERPRETAVA LA PARTE DEL “MODERATO”.

QUELLO ERA IL PROGETTO. EVIDENTE A TUTTI QUELLI CHE VOGLIONO VEDERE.

ORA, DOPO IL DISASTROSO RISULTATO ELETTORALE,DEL PD E DI BERLUSCONI, CHE RENDE IMPRATICABILE QUEL PROGETTO, RENZI DICE: IL PAESE CI HA MANDATO ALL’OPPOSIZIONE E NOI LI’ STAREMO.

MA IL FATTO È’ CHE QUESTA LEGGE ELETTORALE E’ STATA CONCEPITA IN MODO CHE TUTTE LE FORZE POLITICHE SIANO MANDATE ALL’OPPOSIZIONE, NEL SENSO CHE NESSUNA FORZA POLITICA HA LA MAGGIORANZA PARLAMENTARE E TUTTE QUINDI POTREBBERO RISPONDERE ALLO STESSO MODO, ANCHE 5 STELLE, LEGA E ALLEATI: “POICHÉ’ NON ABBIAMO RAGGIUNTO LA SOGLIA DEL 40%, QUESTO VUOL DIRE CHE IL PAESE CI HA MANDATO ALL’OPPOSIZIONE”. MA E’ LA LEGGE ELETTORALE CHE HA (CON PREMEDITAZIONE DI CHI L’HA FATTA) CONCEPITO QUESTO MARCHINGEGNO. CONCEPITA PER REALIZZARE INCIUCI. SOLO CHE ALL’APPRENDISTA STREGONE NON E’ RIUSCITO IL SUO DI INCIUCIO, E ALLORA VUOL FAR SALTARE IL BANCO E PROPORSI COME UOMO TRASPARENTE. MA CI FACCIA IL PIACERE !! ABBIA LA DIGNITÀ’ DI TOGLIERSI DI MEZZO!!

Enrico Mezzetti

5 marzo

Affermazione di POTERE AL POPOLO: primo fra gli “altro”, con l’1.12%. Rifondazione festeggia così i suoi 10 anni di scatole cinesi confezionate al grido de “i comunisti non bastano”: Arcobaleno, Federazione della sinistra (non sottoposta al vaglio di elezioni politiche ma ugualmente fallita), Rivoluzione civile e Lista Tsipras (che superò lo sbarramento alle Europee, dimostrando però subito la sua impraticabilità politica). Potere al popolo, che pure ho parzialmente votato in questa tornata, “costretto” da una questione di candidature, rispetto alle precendenti scatole si caratterizzava per qualche azzardo verbale in più, permesso dall’assenza della compagine ex Ds e giustizialista. La sostanza, però, non è cambiata. Il nome rimanda infatti ad un populismo sano, Black panther, ma senza lo spirito e lo spessore dei militanti del celebre partito marxista-leninista-maoista-fanoniano. A nulla è servito l’espediente grafico d’un contrassegno elettorale simile a quello Cinquestelle, verso cui si canalizza inequivocabilmente il malcontento delle masse italiane. Ora si leggono i vari “non è che un debutto”, esortazioni a continuare, appuntamenti ad assemblee nazionali. Non credo siano espressioni di sinceri entusiasmi. C’è da constatare che a sin del Pd c’è quel 5% da dividersi e se non si cresce e non si crepa, se non si hanno più contatti con la realtà, lì si resta: hai voglia i richiami della foresta elettorale. La “traversata del deserto” dei comunisti che ci si prefigurava nel ’08 non solo continua ma sembra prorpio non avere fine. Un partito che sicuramente ha, da tempo, intuizioni giuste in tal senso, che, piaccia o no, vanno riconosciute, è il Pc. Ha certo raccolto lo 0.32%, su cui ha inciso l’assenza in parte consistente del Paese, ma ha tanti giovani su cui fa un lavoro costante, con delle prospettive. Per il resto, tra breve, dopo questa dolorosa e avvilente conta (come inevitabilmente si fa da anni per gli appuntamenti elettorali), torneremo alla vita di tutti i giorni.

Silvio Antonini

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Sono tornato

Volevo tornare un momento sul discusso film di Luca Miniero Sono tornato che, come è noto, trasporta in Italia l’esperimento di ingegneria sociale condotto in Germania alcuni anni fa, durante il quale un attore, vestito da Adolf Hitler per provocare le reazioni dei passanti andava tranquillamente in giro per strada: alla fine è dovuta intervenire la forza pubblica per evitare che il poveretto travestito venisse pestato da alcuni cittadini inferociti….

Ben diversa è stata l’accoglienza riservata al personaggio mussoliniano interpretato dal bravo Massimo Popolizio, che ha notato con estrema sorpresa la simpatia, quando addirittura non l’aperto consenso espresso dal saluto romano, dei passanti che lo incontravano in divisa e fez con tanto di mascella volitiva e petto in fuori.

Spinto dalla curiosità , e dopo aver letta la recensione della nostra presidente Carla Nespolo, ho visto il film tentando – non è stato facile, lo ammmetto – di non vederlo con gli occhi di un membro dell’ANPI, ma con quelli di un semplice spettatore di sentimenti democratici.

Il regista ha spiegato in una delle interviste rilasciate dopo l’uscita del film che ha voluto rileggere la discussa figura del duce in modo diverso, pensando soprattutto al film Mussolini ultimo atto – nel quale Rod Steiger impersonava il dittatore – , e tentando di staccarsi da una rievocazione puramente storica dei fatti.

Insomma, realtà mescolata alla finzione ed una buona dose di ironia; in effetti questo traspare vedendo il film, con un unico grande, anzi grandissimo pericolo: vedendo l’Italia di oggi con gli occhi di un Mussolini redivivo da Piazzale Loreto – come ha cercato di fare il regista – si rischia di mettere in ombra la oggettiva pericolosità della sua figura e dell’ideologia che incarnava e che ancora oggi è più vitale che mai.

Tuttavia non pochi sono i momenti del film nei quali viene ricordato per i suoi “meriti”: in una riunione di redazione che preparava un format televisivo che lo avrebbe visto protagonista tutti i partecipanti, tranne una, sono concordi nel dare alla trasmissione una impronta degna del protagonista (antidemocratica e razzista): a questo punto la giornalista dissidente ricorda lo sterminio di massa perpetrato da Rodolfi Graziani in Etiopia (si, proprio quello a cui ad Affile è stato dedicato un mausoleo…) – e da Mussolini stesso appoggiato – e se ne va per non rendersi compartecipe di un vero crimine mediatico.

Oppure quando l’anziana nonna di una collega del documentarista che lo ha “riscoperto”( credendolo un comico vestito da duce lo porta in giro per l’Italia) lo riconosce e lo caccia via di casa perché ricorda il rastrellamento nel Ghetto di Roma vissuto da bambina; o infine quando il suo “accompagnatore” si rende conto che è veramente Mussolini redivivo e tenta di ucciderlo nel corso di una diretta televisiva, senza però riuscirci.

Tragicomico il finale: la giornalista che conduce il format che lo vede protagonista lo accompagna in un tour romano che termina, non a caso, sotto il balcone di Piazza Venezia, ed è in questa sequenza ultima che si concentrano le reazioni dei semplici passanti, anche se in mezzo a strette di mano e bracci paralizzati…pardon! tesi nel saluto romano un ragazzo fa il gesto delle corna al duce ed un altro gli mostra un quanto mai salutare pugno chiuso…

Qui un trailer del film.

Saluti partigiani (molto…) a tutti!

Riccardo Infantino

 

Sui sette italiani arrestati in Slovacchia

IL FATTO

SLOVACCHIA: ARRESTATI SETTE ITALIANI PER L’OMICIDIO DEL GIORNALISTA KUCIAK

Sette italiani arrestati in Slovacchia per l’omicidio del reporter: sono della famiglia Vadalà

Roberto Saviano  “Da anni le nostre mafie investono e si nascondono lì.Lo hanno ammazzato per quello che stava per scrivere”

IL COMMENTO  A MARGINE DELLA TRAGEDIA DI MACERATA (SE TANTO MI DA’ TANTO, PER LA NOTA PROPRIETA’ TRANSITIVA) A PROPOSITO DI ESPORTAZIONE DELLA CRIMINALITA’…NON SONO “NEGRI”, MA BIANCHISSIMI, DI “PURA RAZZA ARIAN-ITALIANA”…

E DUNQUE DI QUESTI TEMPI POTREBBE ESSERE PERICOLO PER GLI  ITALIANI  ANDARE O  RESTARE IN SLOVACCHIA: CI SI POTREBBE IMBATTERE IN UN NAZIFASCISTA DEL POSTO CHE, ( ISPIRANDOSI AD UN UN TRAINI QUALUNQUE, PER INTENDERSI)  POTREBBE PRENDERLI A PISTOLETTATE….PER POI, MAGARI, AMMANTARSI NELLA BANDIERA DEL SUO PAESE….CON IL PLAUSO O ALMENO LA “COMPRENSIONE” DEI NAZIFASCISTI E DEL “BENPENSANTI” LOCALI..

AL DI LA’ DEL SARCASMO, IL FATTO E’ CHE,  SE L’ORRENDO CRIMINE DI UN NIGERIANO VIENE ATTRIBUITO A TUTTA L’UMANITA’ NERA, PERCHE’ NON POTREBBE ACCADERE  CHE,( IN BASE ALLO STESSO MECCANISMO MENTALE ) L’ORRENDO CRIMINE DI SETTE ITALIANI IN SLOVACCHIA POSSA ESSERE ATTRIBUITO A TUTTI GLI ITALIANI?. …O NO ?!

SI TRATTA DI  RIFLETTERE SUI MECCANISMI MENTALI CHE SCATENANO IL RAZZISMO.

ENRICO MEZZETTI

Presidente provinciale A.N.P.I Viterbo

 

Finalmente arrivano le elezioni

Non vedo l’ora che arrivi domenica per vedere i poveri che votano il sostanziale azzeramento delle tasse per i ricchi al solo scopo di pagare il prezzo dell’odio verso quelli più poveri di loro, ma andiamo nel merito: La flat tax impone un’aliquota sui redditi al 23% qualunque sia l’entità degli stessi. Per i poveri nessun guadagno ma allo stato verrebbero a mancare circa 90 miliardi di euro, per recuperare i quali verranno tagliate pensioni, istruzione, sanità, trasporti e manutenzione delle strade, ovvero tutte cose che rendono le vite dei poveri meno accidentate e tetre. “Eh, ma con la flat tax i ricchi tornerebbero ad investire creando lavoro proprio a beneficio dei poveri!” Cosa rispondere al latore di questa ignobile cialtronata ideologica? L’economia è asfittica, i poveri consumano il meno possibile, i guadagni da impresa sono minimi, l’ascensore sociale bloccato, chiunque abbia due lire ha buon gioco a tenerle nel materasso, se non le ha già portate fuori o investite in beni finanziari. L’andazzo è questo da dieci anni, per verificarlo basta guardarsi intorno. Ergo con la flat tax nessuno investirà un beneamato organo genitale, l’unico modo per superare la stagnazione essendo quello di distribuire ricchezza ai molti per incentivare i consumi e ridare la spinta, seguendo una procedura di comprovata efficacia storica ed eticamente sacrosanta, visto il crollo del potere d’acquisto che abbiamo subito noy povery stronzy. Ma siccome i poveri sono frustrati ergo se la devono prendere con qualcuno, e chi meglio dei NEGRI che sono più poveri di loro? L’adagio è di altrettanto comprovata efficacia: “se qualcuno ti mette i piedi in testa NON TE LA PRENDERE ASSOLUTAMENTE CON LUI, trova piuttosto qualcun altro sotto di te a cui propinare lo stesso trattamento”. E allora tutti pronti a votare Salvini che vedrai ci pensa lvi, io per domenica ho già preparato i pop korn.

Gabriele Busti

FEBBRAIO

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Fare i conti con il passato

Mentre scrivo questi miei pensieri partigiani in libertà è in pieno svolgimento la manifestazione Mai più fascismi a Piazza del Popolo a Roma (e intanto ascolto la diretta su Radio Articolo 1).

Di nuovo un segnale forte e positivo, che alimenta il mio antifascismo capillare e quotidiano con i ragazzi che incontro a scuola, e che mi spinge, proprio oggi, a parlare di un provocatorio e sano articolo di Globalist nel quale Monia Ovadia fa il punto sul non aver fatto realmente i conti con il ventennio in questo nostro bel paese (intanto vedo le bandiere ed i gonfaloni di tante e tante associazioni di diverse tendenze che hanno riempita la piazza, e mi si apre il cuore, perché allora non tutta l’Italia si è fatta anestetizzare).

La testimonianza di Monia Ovadia è preziosa perché viene da un ebreo praticante (porta sempre la kippah sulla testa, segno di una continua osservanza della propria religione) nato in Bulgaria, nazione che insieme alla Danimarca si oppose alle leggi persecutorie antisemite salvando la vita a tanti potenziali sterminati.

(Intanto i Modena City Ramblers stanno cantando Oltre il ponte, la struggente poesia di Italo Calvino messa in musica)

Il pensiero di Ovadia si può riassumere in poco spazio: a differenza della Germania, che con grande dolore individuale e collettivo ha saputo imboccare la strada della denazificazione – leggi: il decondizionamento culturale di un paese intero divenuto carnefice sterminatore – qui ci siamo sempre raccontati la favoletta degli italiani brava gente, dimenticando ad esempio che in Etiopia Rodolfo Graziani utilizzò il gas per lo sterminio della popolazione civile, e che soprattutto dopo la caduta del fascismo la neonata repubblica finì per essere ricolma di ex fascisti in gangli fondamentali come la politica e le forze dell’ordine.

Molto decisamente e radicalmente l’attore indica anche la sinistra come incapace di capire quello che è accaduto in questi decenni, in particolare “I comunisti hanno riconosciuto la sconfitta, anche se male…non dovevano rifondare, dovevano far rinascere, e per rinascere devi accettare di morire”.

(Ora è in onda il videomessaggio di Liliana Segre, che ricorda come “tutti i genocidi nascono dalle parole”)

 

L’Italia non ha dunque fatti i conti con il proprio passato, perché altrimenti non avremmo assistito al nuovo attecchire di (purtroppo) diffusi sentimenti xenofobi e malcelate simpatie per una ideologia “forte” che “risolverà” (…) i mali del paese.

Vorrei dirlo soprattutto a quei ragazzi che mi guardano perplessi e quasi infastiditi quando spiego che la differenza tra fascismo e democrazia non è nel consenso dei cittadini (senza di questo nessun regime potrebbe durare a lungo), ma nella opposta concezione: sovranità popolare o uomo solo al comando.

 

Saluti partigiani.

Riccardo Infantino

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Manifestazione per Valerio Verbano

A 38 anni dal suo assassinio

 valerio-verbano

Roma 22 febbraio 2018

Ho conosciuto Valerio nel ‘79 e ne ho un ricordo vivissimo. Lo vedo mezzo sdraiato sul divano di casa mia, con la sigaretta in bocca, mentre discutiamo, con altri compagni, di come difendersi dal fascismo molto aggressivo di quegli anni. C’erano i “diversamente fasci” di Terza Posizione, quasi un CasaPound dell’epoca; e i NAR, gruppo armato terribilmente violento. C’era il MSI, non ancora sdoganato da Berlusconi, ma radicato in alcuni quartieri romani. E c’era il “Movimento del ‘77” che proprio da un’aggressione fascista all’Università di Roma aveva preso il via.
Valerio Verbano è stato ucciso il 22 febbraio 1980, da tre fascisti, a 19 anni, in casa sua, sotto gli occhi dei genitori. Il motivo sta certamente nel lavoro di controinformazione sugli ambienti dell’estrema destra che svolgeva da tempo. Gli assassini non sono stati mai identificati. Non starò a ripetere la sua storia che è
ampiamente – e credo correttamente – raccontata nella pagina di Wikipedia a lui dedicata:
https://it.wikipedia.org/wiki/Valerio_Verbano.
Giovedì scorso, 22 febbraio, nel 38° anniversario della sua uccisione, c’è stata a Roma una bella manifestazione con più di un migliaio di partecipanti. Un lungo corteo che ha attraversato i quartieri di Monte Sacro, Valmelaina e il Tufello. Tantissimi giovani e giovanissimi, e poi uomini e donne di ogni età, studenti delle scuole, immigrati di diverse nazionalità, i centri sociali, gli attivisti impegnati contro il razzismo e per la solidarietà, il sindacalismo di base, i movimenti di lotta per la casa. C’era l’ANPI col suo striscione.
Proprio la presenza dell’ANPI mi ha convinto ad andare. In tutti questi anni gli amici e i compagni di Valerio non hanno mai mancato di manifestare ogni 22 febbraio, anche in condizioni molto difficili. Io non ho mai partecipato, forse perché il ricordo vivo che ho di lui, mal si addice alla consapevolezza della sua morte.
Gli attuali rigurgiti del neofascismo sono estremamente pericolosi. È necessario reagire. La manifestazione di giovedì è stata una bella dimostrazione che non ci possiamo permettere di cedere allo sconforto.
“Non un nome su una via, ma su tutte le strade e su tutte le piazze”, recita la targa apposta sotto casa sua.
Chi muore giovane, rimane giovane per sempre. Forse per questo c’erano così tanti ragazzi alla manifestazione: Valerio è uno di loro, ancora oggi.

Pieruigi Ortu

 

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Segni positivi all’orizzonte

In una competizione elettorale che vede tra le liste Casapound e Forza Nuova (i cui atteggiamenti e presupposti non sono proprio rispettosi della Costituzione figlia della Resistenza) ci sono stati due segnali positivi giunti dalle istituzioni, la cancellazione della cittadinanza onoraria di Mantova a Mussolini ed il respingimento da parte del TAR di Brescia del ricorso di Casapound contro il Comune della città per la mancata concessione di spazi pubblici in assenza di una dichiarazione di adesione ai valori della Costituzione e di non professione di ideali riconducibili a forme di pensiero nazifascista e razzista.

Nel primo caso si è verificata una inquietante spaccatura tra le forze politiche chiamate a deliberare: 17 a favore della cancellazione della cittadinanza e 10 contrari (e tra questi leggo con meraviglia anche la presenza – oltre quella ovvia di Casapound e Forza Italia – del Movimento 5 Stelle), segno preoccupante che la forma mentale fascista non è stata allontanata dalla cultura del nostro paese.

La notizia che mi ha non poco risollevato è stato invece il rigetto della istanza di Casapound contro il Comune di Brescia, che in una delibera del dicembre 2017 subordinava la concessione di spazi pubblici ad una dichiarazione che indichi:

“- di riconoscersi nei principi e nelle norme della Costituzione italiana e di ripudiare il fascismo e il nazismo;

– di non professare e non fare propaganda di ideologie neofasciste e neonaziste, in contrasto con la Costituzione e la normativa nazionale di attuazione della stessa;

– di non perseguire finalità antidemocratiche, esaltando, propagandando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la Costituzione e i suoi valori democratici fondanti;

– di non compiere manifestazioni esteriori inneggianti le ideologie fascista e/o nazista” (pagina 3 della delibera).

Torna la vecchia questione della libertà di espressione, sancita dall’articolo 21 della Costituzione, che ha come unico limite il rispetto delle istituzioni repubblicane democratiche nate dall’antifascismo.

Da alcuni anni ormai ho più di un alunno che mi chiede come mai ci sia libertà di espressione per tutte le forme di pensiero eccettuata quella fascista (mi ricorda quello di cui il ben noto Giorgio Almirante accusava la Costituzione, altra cosa della quale non mi meraviglio affatto), e dopo avergli fatta leggere la Disposizione transitoria XII e chiarito cosa sia la legge Scelba sul reato di apologia del fascismo faccio vedere un filmato della Fondazione Sandro Pertini nel quale il grande partigiano ci ricorda che l’essenza stessa del fascismo è quella di opprimere tutti i non fascisti.

Continuiamo la nostra quotidiana e capillare Resistenza, come abbiamo visto più di una volta troviamo buoni alleati.

Riccardo INFANTINO

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LA MANIFESTAZIONE DI MACERATA: QUANDO IL FATTO DI RESTARE UMANI VIENE TACCIATO DI “ESTREMISMO”

“Chi è sceso in piazza ci ha salvato la faccia e la Costituzione”

Queste parole di Marco Revelli sintetizzano efficacemente  i sentimenti di milioni di italiani  autenticamente democratici che,hanno vissuto con angoscia, sdegno ed orrore il raid di stampo terroristico di Macerata,  .portato a compimento da un razzista fascista che ha inteso con il suo criminale comportamento insozzare la bandiera italiana. 

E’ inutile, anzi ipocrita e pericolosa, la astratta e mistificante disquisizione  sul tema se il fascismo sia vivo o morto: il fascismo del ventennio sarà pure morto, sarà certo auspicabile che non torni mai più, ma i fascisti ed i razzisti in carne ed ossa sono ben vivi ed operanti in questo Paese; ne abbiamo miserabili riscontri tutti i giorni ed è grazie a quella velenosa ideologia che uno di loro ha portato a compimento quella che giustamente è stata definita la prima strage di stampo terroristico in Italia di quest’ultimo decennio

RESTIAMO UMANI: la pacifica e tranquilla manifestazione di Macerata (così definita a posteriori dallo stesso Ministro dell’Interno che alla vigilia aveva cercato in tutti i modi di impedirla), con i suoi trentamila partecipanti, con le sue centinaia di associazioni,  ha voluto portare questa testimonianza e lanciare questo messaggio al Paese ed al mondo intero: in tal modo ha salvato l’onore di tutti noi.

A cose fatte, dopo il grande successo della pacifica manifestazione, Emma Bonino ha (almeno) avuto il coraggio della autocritica : “Penso che bisogna cominciare a dire che a Macerata ci dovevamo essere tutti, tutte le istituzioni. Perché fosse stato l’inverso, un nero che sparava ad un italiano, saremmo corsi tutti”. 

Contro il razzismo, contro il fascismo operante non si può rispondere con la timidezza, con l’invito ad “abbassare i toni”,  o addirittura  incoraggiando la paura alimentata e cavalcata  dai demagoghi che fanno credere agli italiani che i loro problemi sono determinati dai migranti, e non già da una crisi economica che ha ben altre radici e ben altre responsabilità.                                                                                                                                                                   

La politica non può consistere nell’assecondare i sondaggi; la politica implica il coraggio di dire la verità anche se, in certi momenti, tale verità può apparire scomoda,  contrastare con un senso comune perversamente orientato.e alimentato- La ricerca dei voti non può tradursi in cedimenti, peraltro autolesionistici,  su valori..                       . 

La democrazia, la Costituzione (antirazzista ed antifascista) non si difendono con la timidezza, con le vili concessioni alle pulsioni razziste e fasciste   

Contro il degrado civile consumatosi nel giorno del terrore di Macerata, dobbiamo restare umani e difendere l’umanità  di questo Paese.

Come Presidente dell’Anpi della provincia di Viterbo, in questi giorni ho raccolto  il disagio, il  vero e proprio malessere e disappunto di molti iscritti per le incertezze della vigilia; dimostrate dalla nostra Associazione; la presenza a Macerata di tante sezioni dell’Anpi ci riempie di orgoglio.

Il successo della manifestazione (ripeto: pacifica e tranquilla) ci incoraggia perché ci conferma la presenza viva e operante di un popolo che non abbassa i toni e che, anzi, alza la testa.     

Enrico Mezzetti

Presidente provinciale Anpi Viterbo   

Approvata all’unanimità dal comitato provinciale 

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Il dopo Macerata

Molte riflessioni mi ronzano per la testa dopo i fatti di Macerata, frutto maturo di una martellante propaganda a base di odio razziale gestita e favorita da una destra estrema che si rivela sempre di più in modo manifesto nel suo essere fascista (e che purtroppo ha i mezzi e le capacità per fare presa su una cospicua fetta di opinione pubblica).

Il 10 febbraio era previsto un corteo antifascista a larga partecipazione (noi dell’ANPI, ARCI e Libera, tra gli altri), ma su invito del sindaco della città picena il ministro Minniti ha negato il permesso all’iniziativa, vietando anzi manifestazioni di ogni tipo (Casapound e Forza Nuova inclusi).

L’ANPI si è allineata alle decisioni del Viminale, sospendendo la sua partecipazione , e la nostra presidente Carla Nespolo spiega il perché in una intervista al quotidiano Repubblica.

Lascio ad ognuno le proprie considerazioni e valutazioni – essendo un semplice iscritto che non ha di certo una visione complessiva della delicata questione, ma voglio manifestare apertamente il mio sconcerto, soprattutto pensando al fatto che il 10 febbraio è stato proclamato Giorno del Ricordo, tra mille strumentalizzazioni e demonizzazioni della Resistenza italiana e jugoslava (povero Nello Marignoli, ti starai rivoltando nella tomba, povero Drug Gojko…).

Che fare (avrebbe detto qualcuno assai rivoluzionariamente preparato…)?

Dare fiducia all’ANPI in attesa di chiarimenti sul perché di questa sconcertante decisione (magari imposta da ragioni di prudenza e rispetto delle istituzioni, non so), e continuare la nostra capillare e quotidiana opera antifascista, soprattutto sulle giovani menti.

Riccardo INFANTINO


 

Psicologia giovanile fascista

Un elaborato ed interessante articolo di Christian Raimo del 29 gennaio 2018 traccia il profilo psicologico del giovane fascista, e cerca di capire come e perché associazioni quali Casapound abbiamo così forte presa su un nuero elevato di adolescenti e ragazzi.

Si tratta di una indagine effettuata sul campo a Roma – i giardini di Piazza Cavour e la sede di Casapound in Via Napoleone III, vicino Piazza Vittorio, luogo multietnico per vocazione, che chiarisce un punto fondamentale: i più giovani, gli adolescenti, sono sedotti dall’offrire loro un modello, un gruppo identitario nel quale riconoscersi.

Un sostanziale “aiuto” viene fornito dal fatto che nella società odierna l’antifascismo non venga più ben percepito (prosegue Raimo) come un valore fondante della nostra repubblica (e qui, a mio modestissimo parere, entriamo in gioco noi dell’ANPI a fornire un esempio eguale e contrario al cittadino, soprattutto a quello che soffra di memoria corta…), e a questo punto l’autore si pone delle domande ben precise: “…con chi si dichiara fascista si discute o no? Si rischia di sdoganarli o li si costringe a misurarsi con la democrazia? C’è il rischio di essere usati da chi dissimula legami con la criminalità e la violenza?”.

Sono domande che credo tutti abbiano l’obbligo di porsi, dato che i fascisti del nuovo millennio (come loro stessi amano definirsi) propongono piani di aiuto e sussistenza sociale e redistribuzione di redditi equa…ma solo per gli italiani “doc”, trascurando di precisare che ogni loro iniziativa viene inserita in un orizzonte totalizzante ed assolutamente omnicomprensivo (del resto proprio Benito Mussolini definì il totalitarismo “tutto nello Stato, nulla al di fuori o al di sopra”).

La retorica forte e non di rado parodistica, prosegue l’articolo, riesce a fare una ottima presa su menti che contro questo tipo di retorica non hanno anticorpi: tra le opere che vengono consigliate c’è Sorpasso neuronico di Gabriele Adinolfi, che è un illuminante esempio di tale stile.

La parte più significativa dell’articolo presenta l’atmosfera della sede nazionale di Casapound a Roma, in Via Napoleone III, luogo occupato abusivamente ma mai – chissà perché – sgomberato con la forza, al pari di tanti altri.

Ne esce fuori un clima da setta che venera i propri morti (e si fa ampio riferimento al corteo commemorativo dei ragazzi uccisi quarant’anni fa nella sede di Acca Larentia), una pratica della violenza che ricolleghi fascismo storico e fascismi contemporanei.

Verso la fine dell’articolo si parla anche delle donne neofasciste, che in nome di un antifemminismo profondo accettano – in una struttura gerarchica e piramidale di per sé – di restare ai margini e di essere considerate – ma del resto anche la propaganda del ventennio così recitava – solo in un orizzonte familiare privato.

Consiglio vivamente la lettura di questo articolato lavoro, a me ha chiarite molte cose e soprattutto ha fornite nuove informazioni ed argomentazioni per fronteggiare un tipo di prassi politica che oggi prende piede insinuandosi e camuffandosi di legalità e solidarietà.

Occhi aperti ragazzi.

Riccardo INFANTINO

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STORIE DI ORDINARIO POTERE

Scuola Superiore di secondo grado. Collegio dei Docenti. Discussione annuale sulle date in cui effettuare gli esami di recupero dei debiti per gli alunni che a Giugno presentano delle insufficienze che ne impediscono l’immediata promozione. Come ogni anno le opinioni e le proposte sono varie come gli interventi a sostegno o contro le stesse. Al momento della votazione, il Preside presidente dell’Assemblea decide che la proposta di effettuarli a partire dal 1 Settembre non può essere votata dal Collegio che però è l’unico organo chiamato a decidere. Vengono messe ai voti solo le altre proposte. Non entro nel merito perché annoierei e perché qualcuno sarà chiamato, da me, a decidere se era lecito o meno. La mia opinione è che l’atto è illegale ed illegittimo. Non ho voluto partecipare più a quella Assemblea a cui era stato impedito di decidere liberamente e con questa dichiarazione ho abbandonato la seduta, cosa che dovrebbe costarmi almeno una lettera di richiamo di cui aspetto le motivazioni. Aggiungo solo che il Collegio ha sempre fin qui deliberato proprio per il 1 Settembre e che non ci sono state per mia conoscenza e per espressa dichiarazione del Preside variazioni alcune in leggi e norme che regolano la questione, inoltre anche il parere espresso dal Preside all’assemblea ad inizio di discussione era a favore di questa scelta. A questo colpo di mano reagirò legalmente a meno di ravvedimenti che credo poco probabili. L’episodio mi ha indotto a scrivere quanto segue.

Situazione.

Le riforme degli ultimi quindici-venti anni, sfociate nell’ “ordigno fine di mondo” Buona Scuola, hanno incentivato dichiaratamente l’accentramento di potere nelle mani dei Presidi ed una classificazione degli insegnanti e delle stesse scuole, che solo i ciechi non riescono a cogliere, in fascia di serie A e di serie B. Qualcuno ovviamente dirà: era ora! Non posso entrare nel merito della sbandierata oggettiva (sic!meritocrazia finalmente applicata a forza in un campo dove il prodotto finale (sic!) sono persone perché avrei bisogno di altri spazi, quindi potete continuare a pensare che adesso finalmente giustizia è fatta e fondi ed onori vanno alle scuole ed alle persone che lo meritano… o, se parliamo delle scuole, che ne hanno più bisogno? Già questo da solo è un bel dubbio che dovrebbe far riflettere.

I primi interventi di qualche decina di anni fa portarono all’inizio di una “sana” competizione tra gli istituti per accaparrarsi quanti più studenti possibile per non rischiare di essere chiusi. In una società reale condotta a vele spiegate dalla politica e dall’economia verso la delegittimazione della cultura e della capacità critica si può ben comprendere come questa “sana” competizione venisse combattuta. Ma non era sufficiente. Un modello aziendale doveva essere introdotto, vedremo perché. All’inizio i delinquenti, poco astuti oltretutto, fecero l’errore di usare la parola corretta: azienda! Apriti cielo, anche i più ottusi degli addetti ai lavori si rendevano conto che formare delle persone non poteva essere uguale a produrre cuscinetti a sfera. Errore di approccio subito corretto, per la verità non così velocemente dato che già l’onda lunga degli ottusi tronfi aveva raggiunto i posti di comando. E’ bastato cancellare dai documenti la sola parola azienda perché un fatiscente cavallo di troia che non ingannerebbe un bambino, fosse portato all’interno delle pubbliche mura scolastiche.

La scuola italiana che aveva dei risultati apprezzati e riconosciuti è crollata agli ultimi posti delle classifiche europee. In economia le misure adottate globalmente, dati alla mano, hanno prodotto peggioramenti continui e qualche lieve e sporadica ripresa solo aumentando spaventosamente la precarietà lavorativa e favorendo la caduta in povertà di milioni di persone, ma è sufficiente affermare che altrimenti sarebbe peggio e non ci sono proteste se si schiaccia ancor più l’acceleratore. Nella scuola è lo stesso. Gli stessi disastrosi risultati creati dalle riforme sono stati presi a motivo dell’accelerazione delle stesse.

Ma come può una nazione accettare passivamente di essere ghigliottinata? L’informazione controllata e lobotomizzante, certo. Le leggi ad hoc per far in modo che il potere resti nelle stesse mani, certo. Il creare panico, certo. Il veicolare e l’incentivare la rabbia verso soggetti esterni, certo. Ma c’era comunque il rischio che un popolo di cittadini critici e coscienti potesse andare a vedere il bluff o semplicemente porsi dei dubbi logici. Ma dove si formano conoscenza, logica e critica in una società oltretutto dove è sempre più difficile reperirle? Avete indovinato. Ormai da un pezzo la scuola è chiamata, non è più nemmeno nascosto, a sfornare non cittadini, ma lavoratori. Ciò che non è chiaramente detto, ma palese, è che questi lavoratori devono accettare la precarietà, spesso l’indigenza, l’impossibilità reale di poter mai giungere ad una pensione. E di tutto ciò devono anche essere riconoscenti… perché potrebbe essere peggio.

Quando, ormai più di 30 anni fa, ho iniziato ad insegnare mi era già chiaro che l’obiettivo non poteva essere la semplice e per certi versi banale trasmissione della conoscenza, ma dovevo provare a formare una coscienza critica che senza la linfa della conoscenza non può esistere. La migliore conferma di aver fatto del mio meglio l’ho sempre avuta nei momenti in cui la critica ed il dubbio venivano rivolti verso di me, verso i contenuti o meglio ancora verso i concetti che provavo a trasmettere. Con il passare degli anni questi momenti sono drasticamente diminuiti, quasi sempre a favore di una per me totalmente insoddisfacente accettazione e condivisione incondizionata. Sempre di più l’accettazione o il rifiuto dipendono da fattori che nulla hanno a che vedere con la questione, persona od oggetto analizzati. Non si cerca di capire, si resta in superficie e questa è quasi sempre manipolata e fuorviante.

Scala sociale.

La scuola è stata e dovrebbe essere una scala sociale, l’opportunità di elevare il proprio livello di consapevolezza del reale per avere accesso a posizioni più alte rispetto alle proprie precedenti generazioni, ma non è più così. Pian piano è subentrato un cieco assistenzialismo nel raggiungimento degli obiettivi didattici che atrofizza la crescita intellettuale e lascia inesplorate le potenzialità degli studenti. Le varie riforme hanno sempre più favorito gli aspetti pratici e nozionistici di per sé non negativi, ma ciò è stato fatto a discapito di quelli teorico-logico- critici ormai, dove esistenti, assolutamente minoritari. Tutto ciò influisce direttamente nel lasciare pressoché invariato il livello di chi entra a 13 anni nel meccanismo della scuola superiore di secondo grado. Direte voi, ma ci sono tanti ragazzi che all’uscita dalla scuola superiore hanno voglia di continuare a studiare e vanno all’Università. Certo, ma tutti questi bravi studenti, per loro fortuna sono arrivati già predisposti allo studio. Le eccezioni sono insignificanti numericamente. Cito Domenico Starnone: “La scuola com’è adesso funziona alla grande solo con chi non ne ha bisogno, cioè con i felici pochi che per una serie di fortunate circostanze studierebbero e imparerebbero anche se ci mettessero piede saltuariamente. Gli altri – tutti quelli che invece ne hanno una grandissima necessità – o ne ricavano mediocre giovamento o mollano.” Questo adesso non solo è ancora vero, ma è stato elevato a sistema. La situazione in questo momento è a volte anche peggiore della semplice ininfluenza.

Il potere.

Le situazioni conflittuali sono sempre presenti in qualunque ambiente di lavoro. Le riforme attuate hanno dichiaratamente voluto creare una differenziazione tra scuole e tra docenti sbandierando una meritocrazia attuabile ed attuata solo e male quantitativamente su eventi qualitativi, cosa di per sé assurda. I Presidi sono stati incentivati economicamente mentre ai docenti venivano bloccati salari, annullate le anzianità, e non sono più stati fatti contratti di categoria, i fondi alla scuole sono stati azzerati a favore di una progettazione fortemente incentivata al coinvolgimento di soggetti esterni con conseguente reindirizzamento di risorse verso il settore privato. Alcuni consistenti incentivi economici, per i Presidi, sono stati subordinati alla penetrazione delle nuove riforme nelle loro scuole. Un reclutamento in piena regola con lo scopo di azzerare di forza quelle pur deboli voci che si alzavano dalla categoria dei docenti, voci ormai praticamente scomparse negli atti anche se non nei pensieri. I Presidi ormai da tempo possono circondarsi di collaboratori a vario titolo ed è ovvio che questi vengono scelti in base alla non conflittualità più importante delle capacità, se ci sono entrambe meglio. Fa ormai parte del mito il fatto che il Vicepreside un tempo fosse espressione del Collegio Docenti e che il Preside avesse solo la possibilità di rifiutarlo. Serviva a cercare una minima compensazione tra forze impari. Dopo qualche anno di assestamento la situazione adesso si è stabilizzata ed ho potuto osservare come professionalità a vario titolo di spicco pian piano, volontariamente o forzatamente, si siano eclissate in ruoli e posizioni marginali. Il potere ha un volto buono, ama credersi democratico, ascolta pazientemente ed asseconda anche modi che si pongono in contrasto, un buon padre di famiglia e sono certo che molti amano pensarsi in tale ruolo non conoscendo forse “The end” dei Doors, un minimo di pedagogia della crescita e non pensando come questo possa risultare profondamente offensivo. Tutto va bene finché e purché la strada maestra da percorrere tracciata dall’alto resti sgombra. I pochi sassolini che annaspano per cercare di restare fuori dalla stesa di asfalto sono innocui, anzi contribuiscono all’idea della democraticità del procedere. Il potere, faceva capire con una battuta uno dei preparatori dell’odierno deserto italico, non logora chi lo ha. Vero. Sacrosanto. Semplicemente lo droga, non riesce più a farne a meno e farà di tutto per mantenerlo, fino a credere di poterlo esercitare impunemente in qualunque situazione. In politica ad esempio abbiamo visto leggi elettorali miranti a depotenziare il voto e gli avversari, dichiarate incostituzionali, ma che hanno raggiunto comunque lo scopo per cui erano state pensate e votate. Quale è stato il messaggio nemmeno tanto subliminale? Un potere a volte, almeno in Italia, può compiere atti illegali, non subirne le conseguenze e continuare anche a godere dei vantaggi acquisiti. C’è poi da stupirsi dell’utilizzo del potere ai vari livelli della società?

Orientamento.

Per anni ed in varie scuole le attività che ho svolto sono state molte. Solo negli ultimi due mi sono apertamente dichiarato disponibile a svolgere solo quanto previsto dal vecchio contratto ancora valido e rifiuto ogni incarico che comporti una mia scelta volontaria retribuito o meno che sia. Ovviamente accettando le conseguenze nei rapporti con colleghi e Preside che possono non comprendere e non approvare. Non ho toccato nemmeno un euro dei 500 euro annui gentilmente elemosinati dal governo al posto dei circa 8000 o più che mi sono stati sottratti nei molti anni senza rinnovo del contratto e con provvedimenti vari. Fortunatamente non avendo mai speso i primi, hanno smesso di farmi l’elemosina annuale. Ringrazio sentitamente. Oltre a ciò esprimo parere contrario a qualunque cosa che riguardi i due capisaldi principali delle ultime riforme: Scuola-Lavoro ed Invalsi.

Tutto ciò non crea che solletico nell’ormai rodato procedere incontrastato del nuovo sistema scolastico. Lo sciopero bianco prima descritto penso che sia l’unica strada ormai percorribile e con numeri nemmeno plebiscitari potrebbe ottenere aumenti significativi della temperatura nelle menti di chi ha il potere di annullare la devastazione.

E’ chiaro che non è una scelta semplice e nel momento in cui cominciasse ad essere numericamente significativa scatenerebbe con molta probabilità reazioni durissime a cui essere preparati a resistere, quindi non posso biasimare chi pur approvando non se la sente di fare questa scelta.

Il fatto.

Il volutamente breve racconto iniziale di quanto accaduto durante un collegio docenti è facilmente valutabile da vari punti di vista. Intanto, per la cronaca, dopo la mia uscita dall’assemblea è stato approvato l’inizio degli esami per il 28 Agosto. Bene. Penso che sia una cosa inaccettabile il 28 Agosto? No! Sono arrabbiato per questo? No! Cambia qualcosa nei miei progetti personali? No, è insignificante l’eventuale variazione! Eppure sono convinto che qualcuno dei miei colleghi pensi questo delle mie reazioni, se non il Preside stesso. Sono preoccupato per l’eventuale lettera di richiamo dovuta all’abbandono della seduta? No, anzi sono curioso di leggerne la motivazione dato che potrebbe essere oggetto di altre azioni. C’è solo un piccolo problema. Il Collegio non ha potuto deliberare liberamente, diciamo che è stata provvisoriamente sospesa la democrazia, i diritti di un organo collettivo sovrano sulla questione. Un po’ come un governo che giustifica le torture dicendo che ha dovuto temporaneamente sospendere i diritti umani, un po’ come un marito che giustifica l’adulterio dicendo alla moglie che ha dovuto sospendere provvisoriamente il matrimonio, e potrei continuare. Siamo tutti democratici, finché… . Ciò che è emerso molto chiaramente dal breve scambio seguito alla decisione è che per tutti gli anni passati il buon padre di famiglia aveva lasciato bonariamente in mano ai suoi immaturi piccolini il bel giocattolino 1 Settembre anche se questo gli comportava qualche fastidio, ma quest’anno non se la sente. Ma questi cattivoni di insegnanti erano palesemente intenzionati a rivotare a stragrande maggioranza per tenersi stretto il giocattolo. E allora? Il giocattolo deve scomparire dalla cesta. Oplà, obiettivo finalmente centrato e magari qualcuno è stato anche contento della “vittoria”. Gli piace vincere facile. Preso atto della bonarietà di cui sono stato oggetto inconsapevole negli anni scorsi, cercherò con i fatti di rivendicare i diritti a mio parere lesi. Mi muoverò perché penso di aver ragione? Sì, certo. Mi muoverò perché penso che otterrò ragione? No, affatto. In Italia norme e leggi spesso hanno volutamente la forma dell’acqua, si adattano a seconda dei casi ed interpretazioni e possono portare in momenti diversi a conclusioni anche opposte. Ma allora perché agire? Tanto in fondo praticamente è cambiato poco e la questione è quanto meno marginale, in più al momento nessun altro membro del Collegio ha espresso intenzione di muoversi. Chi non sa dare una risposta al motivo per cui agire non è in grado di comprendere realmente qualunque motivazione io dichiari e quindi non risponderò.

Una breve considerazione, questa sì. Ma i nostri studenti da chi e dove devono venire in contatto con un concetto che sembra ormai sparito all’orizzonte, il difendere i propri diritti anche quando ciò comporta esporsi e subire delle conseguenze? Da chi e dove devono apprendere che tale difesa non ha come scopo primario solo quello di ottenere giustizia, ma anche quello di nutrire i diritti stessi che altrimenti morirebbero dimenticati, diventando inutili? Nel panorama italico idilliaco e zuccheroso del “Siete in un paese meraviglioso” variamente coniugato e parafrasato, l’insegnamento che ormai la fa da padrone è quello dell’orticello privato in cui nascondersi al riparo, si pensa, da occhi e venti che possano intaccare il nostro “quieto vivere”. Il quieto vivere… ormai lo definisco semplicemente un’arma di distruzione di massa.

Un alunno molto intelligentemente qualche anno fa mi fece osservare che il dubitare, il verificare, il sapere e l’agire “portano ad una vita complicata”. Gli risposi che aveva perfettamente ragione, che adesso che lo aveva capito sarebbe stato sempre in grado di valutare anche questa strada ed infine che io avrei detto solo “portano ad una vita”. Quella fu una bella giornata.

Prof. Tomarchio Vasta Gianluca

docente presso l’ITIS di Civita Castellana (VT)

 

GENNAIO 

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Conoscere per sapere e custodire la Memoria

Sappiamo tutti che il 27 gennaio è il Giorno della Memoria, la data in cui l’Armata Rossa (non l’esercito americano, come ha proposto, con una falsificazione storica sconcertante Roberto Benigni nell’epilogo de La vita è bella) è entrata nel campo di Auschwitz-Birkenau, mostrando a tutti (tutti quelli che non ne erano al corrente, Churcill, Roosvelt e Stalin esclusi, ad esempio) il luogo dove, disse Elia Wiesel– sopravvissuto da poco scomparso – vide Dio appeso ad una corda.

Cercando un modo per rendere partecipi i ragazzi delle mie classi di prima e seconda superiore della necessità di conoscere per ricordare ho presentata loro una intervista ad Edith Bruck, scrittrice ungherese scampata proprio da Auschwitz (come Liliana Segre).

Ho scelta proprio quella intervista perché non è la consueta rievocazione di cosa accadeva nel campo di sterminio per definizione, quanto una profonda e immediata riflessione sulle conseguenze di Auschwitz in chi ne è uscito fuori e sulla pericolosità della vicinanza di tendenze razziste e fasciste nell’animo dei più giovani, troppo spesso non consapevoli e non al corrente di cosa siano stati davvero il nazifascismo ed il senso di superiorità nei confronti di chi non è eguale a te, magari percepito come soggetto pericoloso da neutralizzare.

Tutti i ragazzi delle mie sei classi hanno visto il clip (breve, 13 minuti) e le reazioni sono state alquanto variegate:

– una piccola parte di loro ha seguìto con la massima attenzione ed ha poste diverse domande sulla scrittrice e sulle sue parole

– una parte si è limitata ad assistere (quasi) educatamente alla proiezione del clip

– una parte non esigua ha mostrata indifferenza, fastidio e mi è parso anche una punta di derisione, come se pensasse che il racconto di Edith Bruck, ormai molto anziana, fosse il frutto di una fantasia invecchiata che in qualche modo alterasse i fatti del passato.

Terminato questo esperimento di ingegneria sociale sono giunto alla “fisolofica” conclusione che non ci vorrebbe solo il Giorno della Memoria, ma la Memoria di tutti i giorni; non ho potuto trattenermi dal dire a quelli del terzo gruppo che da “morte all’ebreo” a morte all’immigrato” ormai basta una frazione di secondo, e vorrei che tornassero indietro prima di essere completamente anestetizzati dalla banalità del male.

Riccardo INFANTINO

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LE STRAGI TENTATE E QUELLE REALIZZATE (USTICA) NEI CIELI DEL MEDITERRANEO

IL N.Y.T. RIFERISCE CHE NELL’OTTOBRE 1982 ISRAELE (SERVIZI SEGRETI-MOSSAD) ERA PRONTO AD ABBATTERE UN AEREO PER UCCIDERE YASSER ARAFAT. I CACCIA F15, GIA’ DECOLLATI PER L’OPERAZIONE, RICEVETTERO POI L’ORDINE DI RIENTRARE ALLA BASE PERCHE’ RISULTO’ CHE IN QUELL’AEREO ARAFAT NON C’ERA.
IL FATTO CHE L’ATTENTATO RIENTRO’ E CHE QUINDI, IN QUELLA OCCASIONE, NON SE NE FECE NULLA, HA RESO POSSIBILE, SIA PURE A TRENTASEI ANNI DI DISTANZA (E NON E’ CERTO UN PICCOLO LASSO DI TEMPO) FAR EMERGERE LA NOTIZIA.

QUELLA DI USTICA INVECE, DI DUE ANNI PRIMA (27 GIUGNO 1980), APPRONTATA E PORTATA A COMPIMENTO CON MODALITA’ ANALOGHE, FU UNA STRAGE PERFETTAMENTE PORTATA A TERMINE.(81 MORTI DI CUI 13 BAMBINI).

UNA STRAGE DI STATO O DI STATI (COME TANTE ALTRE).
E’ PER QUESTO CHE LA VERITA’, IN QUESTO CASO, CI VERRA’ SEMPRE OCCULTATA.
E PROBABILMENTE I CRIMINALI RESPONSABILI COMPARIRANNO (SE NON VI APPAIONO GIA’) NEI LIBRI STORIA COME ESEMPLARI MODELLI DI VITA PER LE GIOVANI GENERAZIONI……
MA FORSE A MOLTI QUESTE COSE (CHE PASSANO SOPRA LE NOSTRE TESTE E TUTTAVIA DECIDONO SULLA NOSTRA VITA) NON INTERESSANO…

LA GRANDE DISEGUAGLIANZA DELLA SOCIETA’ SERVILE

…MA LA GENTE, AIZZATA DAI POLITICI VILI E SENZA SCRUPOLI, FUORVIATA DA UNA (DIS)INFORMAZIONE OMISSIVA E PER LO PIU’ CONNIVENTE TRANNE POCHISSIME ECCEZIONI, INVECE DI GUARDARE IN ALTO, A CHI SI ACCAPARRA TUTTE LE RICCHEZZEI DELLA TERRA E NE PRIVA L’INTERA UMANITA’, GUARDA IN BASSO E SCARICA I SUOI RANCORI E LE SUE FRUSTRAZIONI SU QUELLI ANCORA PIU’ POVERI, SUI DISEREDATI, O, AL PIU, SI CONCENTRA SU QUISQUIGLIE.

Alcuni dati sulla disuguaglianza
Il 50% più povero degli italiani possiede solo l’8,5% della ricchezza nazionale netta

L’82% dell’incremento di ricchezza globale registrato l’anno scorso è finito nelle casseforti dell’1% più ricca della popolazione, mentre la metà più povera del mondo (3,7 miliardi di persone) ha avuto lo 0%.

In Italia a metà 2017, il 20% più ricco degli italiani deteneva oltre il 66% della ricchezza nazionale netta.

Nel periodo 2006-2016, il reddito nazionale disponibile lordo del 10% più povero degli italiani è diminuito del 23,1%.

A PROPOSITO DI IMMIGRAZIONE

C’E’ UN DATO DI FATTO, DA CUI (SECONDO ME) BISOGNA NECESSARIAMENTE PARTIRE.
IN QUESTO XXI SECOLO LA MIGRAZIONE ( DAL “SUD” AL “NORD” DEL MONDO) E’ GLOBALE: LE STATISTICHE CI DICONO CHE ATTUALMENTE NEL MONDO CI SONO 244.000,000 (DUECENTOQUARANTAQUATTROMILIONI) DI MIGRANTI. (EMIGRANO O FUGGONO) IN BANGLADESH, EMIGRANO O FUGGONO IN KENIA, IN TURCHIA, EMIGRANO O FUGGONO ALL’INTERNO DEL LORO STESSO PAESE. CI SONO PROFUGHI SIRIANI IN SIRIA, PROFUGHI IRACHENI IN IRAQ. E COSI’ VIA). QUESTO E’ UN DATO DI FATTO DA CUI NON SI PUO’ PRESCINDERE E CHE RIGUARDA L’ITALIA IN MISURA NETTAMENTE MINIMA RISPETTO AL FENOMENO GLOBALE. . VA AFFRONTATO, OVVIAMENTE; MA QUALCUNO PENSA CHE VERAMENTE SI POSSA RISOLVERE CON IL FILO SPINATO,CON I MURI, CON I BLOCCHI NAVALI, CON LE MITRAGLIATRICI, CON LE ASTRUSE IDEOLOGIE, CON LA DEMAGOGICA FORMULA RENZIAN-SALVINIANA DELL’ “AIUTIAMOLI A CASA LORO”?
ILPROBLEMA C’E’: LO SI VOGLIA OPPURE NO, E NESSUN GOVERNO POTRA’ RISOLVERLO CON FORMULE MAGICHE.

Enrico MEZZETTI

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La necessità della memoria

Il solito articolo di commemorazione per il Giorno della Memoria…le testate giornalistiche non faranno altro, i media ufficiali e non si riempiranno di servizi commemorativi perché quanto accaduto non succeda mai più…fermi tutti, non è proprio così, le cose stanno andando purtroppo in una direzione ben diversa.

Vorrei partire dalla nomina a Senatore a vita di Liliana Segre, una degli ultimi sopravvissuti alla Shoa (che significa annientamento, non solo sterminio), che solo dopo 45 anni – dal 1990 – ha trovato la forza di offrire la sua umana e profonda testimonianza dell’orrore del quale è stata vittima.

Ci si chiede spesso come sia stato possibile arrivare a tale degradazione e negazione della umana natura, il cittadino del XXI secolo fatica non poco a capire come si possa concepire il campo di sterminio, e non si rende conto che si stanno ricreando i presupposti perché accada un qualcosa di simile, magari in versione high-tech.

Il primo stadio è l’immigrato come nemico, il pericolo che viene da fuori, che va contenuto e, qualora necessario, eliminato prima che porti danni…

Nel linguaggio comune, veicolato ampiamente dalla stampa, non si parla ad esempio di reati compiuti da persone, ma da ivoriani, slavi, romeni, identificando il gesto criminale con la etnia, potremmo dire una versione modernizzata dei perfidi giudei o – se preferite – della congiura ebraico sionista internazionale (il Mein Kampf insegna), definizione che mette insieme due termini che non sono di certo sinonimi (beata ignoranza…).

Il secondo stadio è la creazione di strutture “ricettive” ben isolate dal consorzio “civile” dei cittadini e molto sorvegliate, magari chiamate Centri di Identificazione e di Espulsione o varianti simili, assai somiglianti a campi di lavoro e di detenzione.

Per ora ci siamo fermati a questo, non so ancora per quanto.

Ieri ho assistito ad un episodio che mi ha gelato il sangue nelle vene: ero a scuola ed un ragazzo, in una discussione con un suo coetaneo, lo ha chiamato “ebreo” in senso dispregiativo; non sono riuscito a trattenermi, gli ho detto che gli avrebbe fatto molto bene una settimana a Buchenwald, così si sarebbe reso conto di quello che aveva appena detto.

Non è la prima volta che mi capita di assistere ad episodi del genere, e allora penso che il nostro sia un paese che ha urgente bisogno di recuperare la memoria dei fatti e custodirla, perché ormai i testimoni diretti sono sempre di meno, ed aumenta la distanza cronologica e morale tra loro e le ultime generazioni.

Il 27 gennaio dello scorso anno mi è venuto spontaneo inginocchiarmi davanti alle pietre di inciampo, le piccole placche di ottone all’inizio di Via della Verità che riportano i nomi di tre sterminati viterbesi, e pulirle…qualcuno è passato ed è rimasto sorpreso del mio piccolo gesto, magari mi ha preso per uno fuori di testa, ma ho avvertito il bisogno di ripulire quei tre nomi, con l’illusione (?) di farli parlare di nuovo nel nostro tempo.

Avrà avuto effetto? Spero proprio di si.

A proposito: nel 1938 vennero emanate nel nostro paese le leggi razziali, e il periodico La difesa della razza, organo di stampa della teoria della superiorità del bianco sugli altri esseri umani ebbe come direttore un certo Giorgio Almirante…

Saluti resistenti e antifascisti.

Riccardo INFANTINO

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Cessate di uccidere i morti

Ho chiesto aiuto al verso ungarettiano di “Non gridate più” per parlare della recente commemorazione (ma dovrei piuttosto dire adunata fascista) dei due uccisi di fronte alla sede di Via Acca Larentia (a Roma, nel quartiere Tuscolano) del Movimento Sociale Italiano da (ancora) ignoti e di un terzo militante missino, assassinato anche lui negli scontri che seguirono.

Era il 7 gennaio 1978, e mentre scrivo questo pezzo immagino quelle persone della mia generazione ricordare le violenze, i pestaggi ed i morti di un periodo che potrebbe tornare di nuovo.

Pochi mesi prima, il 30 settembre 1977, all’interno di una serie di episodi di violenze e pestaggi (vorrei precisare che dissento con quella parte dell’articolo qui linkato nel punto in cui si parla della neutralità di PCI e PSI, ma l’ho scelto per la completezza della ricostruzione, sia pure completamente orientata) di matrice neofascista, viene ucciso con un colpo di pistola alla nuca (praticamente giustiziato) Walter Rossi, militante di Lotta Continua, nella piazza di Roma che oggi porta anche il suo nome (Piazza Igea – Walter Rossi, nella zona di Trionfale Monte Mario).

Per commemorare il quarantesimo anno della morte di Walter Rossi (delitto ancora impunito, come è per le stragi) è stata chiesta l’autorizzazione allo svolgimento di un corteo, che la Questura ha rifiutato, per questioni di ordine pubblico.

Il corteo, di circa un migliaio di persone, è partito lo stesso, e l’ordine pubblico non ne è uscito affatto danneggiato…

Autorizzato invece quello di Casapound per la commemorazione dei morti di Acca Larentia…guardate bene il video, è una perfetta adunata neofascista con tanto di triplice saluto romano (in un luogo pubblico…) e un “Camerati, in libertà” alla fine, di sapore paramilitare…

Anche questi tre omicidi sono rimasto impuniti, e non si può non provare pietà umana per ognuno dei morti di quel periodo, nel quale molti credettero di cambiare il nostro paese con la violenza e la morte.

Il restare impuniti è quello che li ha uccisi di nuovo, dato che non c’è democrazia in assenza di giustizia.

Mi chiedo il perché del divieto al corteo per Walter Rossi e l’autorizzazione a quello per Acca Larentia, nel quale, se vogliamo essere precisi, è stato commesso il reato di apologia del fascismo, assai perturbante per l’ordine pubblico e la tenuta della democrazia (che ha le sue radici nell’antifascismo, non dimentichiamolo).

Ho avuta la fortuna di incontrare, anni fa, il comandante Massimo Rendina, a una celebrazione del 25 aprile in Piazza Navona a Roma, e ci raccontava che ogni brigata partigiana, appena liberata una città, riceveva l’ordine di consegna immediata delle armi.

L’Italia è uscita dal fascismo e si è costituita repubblica democratica con la Costituzione, che della violenza fa ripudio (oltre che della guerra), non utilizzando la forza repressiva e l’omicidio, costituenti essenziali della prassi politica fascista.

RICCARDO INFANTINO