Per non dimenticare 2018

8.12.2018

ANPI(Associazione nazionale partigiani d’Italia)

Comitato provinciale di Viterbo

Oggi 7 dicembre 2018, la partigiana Adriana Romoli avrebbe compiuto 90 anni.

La ricordiamo con affetto e siamo grati la sua vita, per il suo insegnamento che cercheremo di seguire ed onorare e che indichiamo ad esempio a tutti i cittadini e in particolare ai giovani.

Adriana Romoli, nata il 7 dicembre 1928, prese parte giovanissima, con il nome di Anna, alla lotta di Resistenza.

Combattente partigiana, insieme alla sorella Luciana, fu protagonista e testimone di molti episodi  che portarono alla liberazione di Roma dai nazifascisti.

La sua opposizione al fascismo iniziò da giovanissima quando all’età di 10 anni, per aver difeso una sua compagna di scuola ebrea, discriminata dalle leggi razziali entrate in vigore nel 1938, fu espulsa da tutte le scuole statali e insieme alla sorella dovette continuare gli studi  da autodidatta.

A 12 anni cominciò anche a lavorare come tipografa; lavoro che continuò tutta la vita e la portò a diventare dirigente del sindacato Poligrafici e Cartai.

Fu anche dirigente della   F.G.C.I. –Federazione giovanile comunista italiana- di Roma insieme a Carla Capponi, Marisa Muso Luciana Franzinetti.

Si occupò con forza, costanza e tenacia della vita e delle necessità degli abitanti delle borgate romane privati del diritto alla casa.

Pacifista convinta sempre in lotta dalla parte degli ultimi e dei più bisognosi.

Adriana Romoli ci ha mostrato un impegno e  dato una testimonianza di vita che chiedono oggi a tutti  di  scuotersi dall’indifferenza e di opporsi al nuovo fascismo,  quello che continua a generare in ogni parte del mondo razzismo, violenza,  discriminazione contro le donne, omofobia, ingiustizia, diritti umani negati, popoli interi annientati dalle guerre nascoste e dalla fame, centinaia di migliaia di migranti respinti e che muoiono ogni giorno in mare o nei lager della Libia e della Turchia.

L’esempio di Anna ci chiede in questi giorni anche una mobilitazione civile contro il decreto sicurezza  che di fatto stravolge la Costituzione e precipita l’Italia nell’incubo dell’apartheid giuridico e rende legge pratiche ignobili contro la vita e la dignità dei migranti.

Siamo grati a Adriana per la sua vita, per il suo insegnamento che cercheremo di seguire ed onorare e che indichiamo ad esempio a tutti i cittadini e in particolare ai giovani.

Viterbo, 7 dicembre 2018

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17.11.2018
VIRGINIA TERRACINA
Nata 1943
Arrestata 16/10/1943
Deportata Auschwitz
Assassinata 23/10/1943
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Prende il cuore e l’anima.
E sferza il cervello.
(T. De Francesco)
Pietre di inciampo roma

Giacomo, Enrica e la piccola Virginia erano tre degli oltre 1000 ebrei che il 16 ottobre 1943 vennero rastrellati dai nazisti per le case di Roma e deportati nel lager di Auschwitz.

Questa è una delle tante vittime dei lager nazisti di cui l’artista tedesco Gunter Demnig ha voluto tramandare il nome con le sue Stolpersteine (letteralmente tradotto significa “pietre da inciampo”): si tratta di cubetti di pietra, sparsi nei marciapiedi di tutta Europa, ciascuno con un nome inciso; in Italia ha incominciato da Roma, ricordando ebrei, zingari, omosessuali, antifascisti, carabinieri che da qui furono deportati nei lager e lì morirono di stenti o furono uccisi.

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4.11.2018
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13.10.2018

Alberto Angela – Pagina Fan Ufficiale

Sono nato nel 1962. Non ho mai vissuto una guerra. Ho conosciuto la guerra fredda, il rischio di un conflitto, ma mai la guerra. Ho avuto la fortuna di vivere nel periodo più pacifico della Storia d’Europa. 70 anni di assenza di conflitti, a parte quello triste e cruento dell’ex Jugoslavia.
Io non so cosa significhi vivere sulla propria pelle le privazioni di una guerra: la fame, i bombardamenti, la morte dei tanti a cui vuoi bene. E non conosco, perché non l’ho vissuta, una dittatura. Non so cosa significhi vivere in un Paese che da un giorno a un altro vara le leggi razziali, in grado di modificare e stravolgere la vita quotidiana.
Leggi che fanno diventare improvvisamente il tuo vicino, il tuo negoziante che ogni giorno ti vende il pane, il tuo maestro, ma anche i tuoi genitori, e te stesso, cittadini diversi. Privati di tante libertà di base che noi consideriamo scontate.
Persone normali, dunque, come voi e come me, a cui la società chiude le porte senza appello. E tutto intorno a loro, a parte qualche eccezione, c’è solo indifferenza e silenzio.
Accadeva esattamente 80 anni fa, in un Paese come il nostro da sempre capace di accogliere a braccia aperte culture e religioni diverse. 
Da quel momento chi ha un credo diverso entra nel mirino dei persecutori, viene prima individuato, poi discriminato e infine catturato e mandato in un campo di sterminio.
Io non ho conosciuto tutto questo, come gran parte di voi. Ma c’è sempre il rischio che i volti bui della Storia riappaiano. L’unico modo per evitarlo è conoscerla, la Storia.
Raccontarla. Perché con l’alternarsi delle generazioni tutto viene stemperato e gradualmente dimenticato. Rimane solo nei libri. Ma non basta. Sono pagine terribili, ma troppo aride.
E allora bisogna entrare in quelle pagine e farle parlare. Ritornare nei luoghi, ritrovare i portoni dove i nazisti hanno strappato mamme padri e bambini, salire nei vagoni per capire come hanno viaggiato per giorni infernali e infiniti, entrare nei campi di sterminio stringendoci a loro, nelle loro paure, nelle loro angosce, nel loro infinito amore per i cari dai quali erano stati separati, mostrando tutta la crudeltà inconcepibile di una macchina della morte messa a punto dai nazisti per cancellare la vita di milioni di persone. Capire come si cercava di sopravvivere, là dove la sopravvivenza non era prevista, e come tantissimi, la maggior parte, sono morti. Sono loro a chiederci di non essere dimenticati (ma come sarebbe possibile?) Per l’atroce destino che hanno subito. E anche perché il loro sacrificio possa salvare tanti innocenti in futuro.
Ad aiutarci, in questo, ci sono i sopravvissuti, coloro che hanno vissuto sulla propria pelle la deportazione e i campi di sterminio, facendoci capire realmente questi tragici eventi, con le loro parole, le loro testimonianze, le loro emozioni.
La memoria è il più potente vaccino contro gli abissi della Storia.

Sabato prossimo, 13 ottobre, alle 21.30 su Rai1, la puntata di Ulisse avrà per titolo “Viaggio senza ritorno”, per raccontare il rastrellamento, la deportazione e il viaggio degli ebrei italiani verso il campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. 
È una puntata che abbiamo preparato pensando a voi, che siete più giovani e che in tantissimi ci seguite sui social. Perché spetta proprio a voi, giovani, prendere il testimone di questo capitolo incomprensibile della Storia per consegnarlo, integro, a chi verrà dopo di voi. Affinché la tragedia dell’Olocausto (così come tante altre tragedie della storia) venga ricordata e non si ripeta mai più. 
#Ulisse#Rai1

Un forte abbraccio a tutti
Alberto

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11.09.2018
 Massimo Recchioni

Il re codardo, da “Il Gobbo del Quarticciolo”

Così, l’8 settembre alle 18.30, dai microfoni di Radio Algeri, il generale Dwight Eisenhower rese pubblico l’armistizio; lo stesso fece Badoglio, alle 19.42, attraverso il proclama trasmesso dall’Eiar, la radio di Stato italiana.
Il proclama recitava: “Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate angloamericane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze angloamericane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno a eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”.
Con questo atto, l’Italia cessava immediatamente le ostilità contro le forze angloamericane. Quel proclama, al contempo, non forniva però istruzioni rispetto al come comportarsi nei confronti dei tedeschi. Subito dopo l’annuncio radiofonico, Badoglio si diresse dal re e dagli altri ufficiali, che si trovavano al Ministero della Guerra, per preparare la famosa e ignominiosa fuga, che avrebbe lasciato l’esercito italiano senza ordini e il paese allo sbando: l’Italia venne immediatamente invasa e Roma circondata dai tedeschi (da “Il Gobbo del Quarticciolo e la sua banda nella Resistenza, Massimo Recchioni e Giovanni Parrella)

08.09.2018
 Silvio della Tuscia
“Sono prigioniero dei tedeschi”. Il biglietto lanciato da GIACOMO ZOLLA, mentre il vagone bestiame della deportazione era in sosta a Torino, che la Croce rossa riuscirà a recapitare ai genitori, a Soriano nel Cimino.

Nel 75° dell’Otto settembre. Ricordiamo ?

Su Zolla, la scheda redatta per il Dizionario biografico Gente di Tuscia:
http://www.gentedituscia.it/zolla-girolamo-edmondo/

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24.08.2018

Marco Marcucci

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I Maestri del Socialismo

QUANDO LE MULTINAZIONALI AMERICANE ESULTAVANO PER IL NAZISMO CHE SCHIAVIZZAVA I LAVORATORI

L’impianto di imbottigliamento della Coca-Cola ad Essen cresceva in modo considerevole la sua redditività poiché, sotto il regime di Adolf Hitler, i lavoratori “erano poco più che servi ai quali era proibito non solo scioperare, ma anche cambiare lavoro, costretti a lavorare più duramente e più velocemente, mentre i loro salari erano deliberatamente tenuti ai livelli minimi.”

Infatti, nella Germania Nazista, i salari effettivi si erano abbassati rapidamente, mentre i profitti in corrispondenza erano accresciuti, e non era possibile far parola alcuna di problematiche del lavoro, tanto meno cercare di organizzare uno sciopero, senza che immediatamente si scatenasse una risposta armata da parte della Gestapo, con il risultato di arresti e licenziamenti.

Questo è stato il caso della fabbrica Opel della GM a Rüsselsheim, nel giugno 1936. Come ha scritto dopo la guerra il professore e membro della Resistenza anti-fascista della Turingia, Otto Jenssen, i dirigenti delle imprese della Germania erano felici “che il terrore per il campo di concentramento rendesse i lavoratori Tedeschi docili e mansueti come cagnolini.”

I proprietari e i managers delle corporations Americane con investimenti in Germania erano non meno incantati, e se apertamente esprimevano la loro ammirazione per Hitler, come erano usi fare il Presidente della General Motors, William Knudsen, e il boss della ITT Sosthenes Behn, questo avveniva senza alcun dubbio perché Hitler aveva risolto i problemi sociali della Germania in modo tale da creare giovamento ai loro interessi.

[fonte: Le Corporations Americane ed Hitler, di Jacques R. Pauwels]

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23.08.2018
 Silvio della Tuscia
Puntualmente, nell’ann.rio dell’esecuzione di SACCO e VANZETTI (https://www.youtube.com/watch?v=J6AAKZ5iuck), ripropongo le vicende relative a questo Manifesto che indice, per il 30 ottobre 1921, il Comizio in p.za del Comune a Viterbo, “per strappare al martirio della sedia elettrica, della vendetta del capitalismo borgese americano” i due più celebri, detto drammaticamente, anarchici italoamericani. 

A tal proposito, nell’80°, scrissi un art. per “Carmilla”, su invito di Alberto Prunetti. Doveva essere un contributo sui fatti di Viterbo del luglio ’21, per cui avevo da qualche mese discusso la Tesi di laurea, la cui pubblicazione, quasi 4 anni dopo, avrà per titolo Faremo a fassela. 
Per l’art. decisi però di concentrarmi su questo episodio, vista l’imminenza dell’ann.rio. Prunetti fu d’accordo. Ecco come scrivevo 11 anni fa: https://www.carmillaonline.com/…/un-manifesto-per-sacco-e-…/

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 Silvio della Tuscia
Oggi, 23 agosto, ricorre l’ann.rio d’un altro delitto, quello del parroco di Argenta, l’antifascista, Medaglia d’argento al valor militare per la Grande guerra, DON GIOVANNI MINZONI, avvenuto la sera di 95 anni fa per mano dei fascisti di Italo Balbo, che lo aggredivano selvaggiamente, alle spalle, mentre era di ritorno in canonica.

Ecco l’ottimo sceneggiato Rai DELITTO DI REGIME, IL CASO DON MINZONI, di Leandro Castellani (una volta su Youtube per intero, ora spezzettato in 3 parti, di cui questa è la sigla iniziale), che ricostruisce magistralmente i motivi, le circostanze dell’omicidio e le indagini che ne faranno seguito. 
Assai significativa la figura dell’antagonista, Balbo, interpretato egregiamente da Giulio Brogi.

 Padri e Madri della Libertà
DON GIOVANNI MINZONI Antifascista

“….La sera del 23 agosto del ’23, nei pressi della canonica, viene aggredito e ucciso a manganellate da alcuni squadristi facenti capo a Balbo che, travolto dallo scandalo e dal vasto moto di indignazione, deve dimettersi da console della Milizia.”

Don Giovanni Minzoni (Ravenna, 29 giugno 1885 – Argenta, 23 agosto 1923) è stato un prete e antifascista italiano, figura simbolo del cattolicesimo italiano.Nato in una famiglia piccolo-borghese – il padre, dapprima ferroviere, aveva rilevato una locanda – Giovanni Minzoni entrò in seminario nel 1897 e nel 1909 fu ordinato prete. Durante gli anni del seminario ebbe modo di entrare in contatto con don Romolo Murri, subendo il fascino del modernismo teologico e avvicinandosi al movimento democratico cristiano.
L’anno seguente fu nominato cappellano ad Argenta. Animato da totale amore per la Chiesa e dotato di acuta sensibilità per i problemi sociali, si interessò subito alla vita politica e civile del paese. Guardava, in particolare, con vicinanza le istanze dei lavoratori, che in quegli anni si andavano coagulando attorno alle nascenti Camere del Lavoro. Nel 1912 lasciò Argenta per studiare alla Scuola Sociale della diocesi di Bergamo, dove si addottorò nel 1914.
Alla morte del parroco di Argenta nel gennaio 1916 fu designato a succedergli, ma nell’agosto successivo fu chiamato alle armi per prestare servizio nella prima guerra mondiale. Inizialmente operò in un ospedale militare di Ancona, ma successivamente chiese di essere inviato al fronte: vi giunse come tenente cappellano del 255° reggimento fanteria della brigata Veneto. Durante la battaglia del Piave, dimostrò un coraggio tale da essere decorato sul campo con la medaglia d’argento al valore militare.Al termine del conflitto tornò ad Argenta e divenne parroco di San Nicolò. Qui si dedicò a tradurre in pratica i presupposti del cattolicesimo sociale, tanto nei confronti dei ragazzi quanto a beneficio delle classi lavoratrici. Promosse la costituzione di cooperative di ispirazione cattolica tra i braccianti e le operaie del laboratorio di maglieria. In ambito educativo promosse inoltre il doposcuola, il teatro parrocchiale, la biblioteca circolante, i circoli maschile e femminile. Grazie all’incontro con don Emilio Faggioli, già fondatore nell’aprile del 1917 del gruppo scout «Bologna I», e poi assistente ecclesiastico regionale dell’ASCI, don Minzoni si convinse della validità dello scautismo, per cui decise di fondare un gruppo scout nella propria parrocchia.
Nel ferrarese in quegli anni si respirava un clima da guerra civile: il 20 dicembre 1920 si erano registrati sei morti nel corso dell’eccidio del Castello Estense. Il 17 aprile 1921 fu vittima dello squadrismo fascista il sindacalista socialista Natale Gaiba, consigliere comunale ad Argenta e amico di Don Minzoni. Questo e molti altri episodi convinsero il sacerdote a ad opporsi esplicitamente al fascismo già prima della marcia su Roma, e a manifestare vicinanza alle vittime dello squadrismo, anche a quelle di matrice socialista.
L’educazione dei giovani era al centro delle sue preoccupazioni pastorali; la sua indubbia capacità organizzativa rese così stentatissima la costituzione ad Argenta dell’Opera Nazionale Balilla[L’ONB è successiva alla morte, di 3 anni]. Contrastò inoltre l’istituzione dell’Avanguardia giovanile fascista. Combattuto tra la preoccupazione di non acuire la conflittualità in un contesto già profondamente diviso e il desiderio di testimoniare le proprie convinzioni democratiche e religiose, don Minzoni attese l’aprile 1923 per rendere esplicita la propria adesione al Partito Popolare Italiano. Divenne in tal modo il punto di riferimento degli antifascisti di Argenta.
L’8 luglio 1923 don Emilio Faggioli fu invitato nel teatro parrocchiale di Argenta a tenere una conferenza sulla validità educativa dello scautismo. “Attraverso questo tirocinio e disciplina della volontà e del corpo”, affermò don Faggioli, “noi intendiamo formare degli uomini di carattere”. Dalla galleria lo interruppe allora il segretario del fascio di Argenta “C’è già Mussolini…!”. Monsignor Faggioli riprese il suo intervento spiegando all’uditorio che lo scautismo agisce sopra e al di fuori delle fazioni politiche. “Vedrete da oggi lungo le vostre strade i giovani esploratori col largo cappello e il giglio sopra il cuore. Guardate con simpatia questi ragazzi che percorreranno cantando la larga piazza d’Argenta.” “In piazza non verranno!” esclamò ancora il segretario del fascio. Gli rispose allora don Minzoni stesso: “Finché c’è don Giovanni, verranno anche in piazza!”. L’applauso dei giovani troncò il dialogo. Gli oltre settanta iscritti al gruppo degli esploratori cattolici di Argenta erano una realtà, e le minacce non erano servite al loro scopo.
Non tardò il tentativo del console della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale Raul Forti, originario di Argenta, di portare don Minzoni nel proprio campo: facendo leva sui suoi trascorsi militari, gli propose infatti di diventare cappellano militare della MVSN. Don Minzoni rifiutò adducendo come motivazione la presenza di molti ex comunisti nei ranghi della milizia fascista.
La sera del 23 agosto 1923, mentre stava rientrando nella canonica in compagnia del giovane parrocchiano Enrico Bondanelli, don Giovanni Minzoni fu vittima di un agguato teso da alcuni squadristi facenti capo al futuro Console della milizia Italo Balbo: venne colpito alle spalle con sassi e bastoni e ucciso con una forte bastonata alla nuca. Poco prima della morte Don Minzoni aveva scritto:

« a cuore aperto, con la preghiera che mai si spegnerà sul mio labbro per i miei persecutori, attendo la bufera, la persecuzione, forse la morte per il trionfo delle causa di Cristo »
Si era realizzata la preghiera fatta a Dio prima di partire per la guerra:

« Prego Iddio che mi faccia morire compiendo sino all’ultimo momento il mio dovere di sacerdote e italiano, felice di chiudere il mio breve periodo di vita in un sacrificio supremo »
Come voleva la dirigenza fascista ferrarese, le ricerche sui responsabili dell’omicidio furono archiviate nel novembre 1923. L’anno successivo – sull’onda dello scandalo politico provocato dal delitto Matteotti – i quotidiani Il Popolo e La Voce Repubblicana ritornarono sull’episodio denunciando Italo Balbo quale presunto mandante. “La Voce Repubblicana aveva pubblicato un pesante attacco a Balbo sul piano personale e politico, accusandolo di corresponsabilità nell’omicidio.”: quest’ultimo giornale in particolare pubblicò alcuni documenti riguardanti ordini da lui impartiti di bastonature di antifascisti e sue pressioni sulla magistratura Nel 1924 Balbo, divenuto nel frattempo Console della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN), a seguito di tali rivelazioni fu costretto a dimettersi dalla carica, perdendo la causa per diffamazione da lui intentata al quotidiano e condannato a pagare le spese processuali.

Nel dicembre 1924 fu riaperta l’inchiesta sul delitto. Il 14 luglio 1925 fu aperto un nuovo processo presso la corte di assise di Ferrara, che giunse a conclusione due settimane dopo, il 1° agosto 1925, in un clima di esplicita intimidazione di giornalisti e testimoni. Nell’ambito di questo processo, fu accertato in tribunale che il colpo mortale era stato inferto con un comune bastone da passeggio. Nonostante le tre condanne chieste dalla pubblica accusa, tutti gli imputati vennero assolti all’unanimità dai dodici giudici popolari.
Nel 1946 la Corte di cassazione annullò il secondo processo e l’anno successivo ne fu istruito un terzo, nuovamente presso la Corte di Assise di Ferrara. Quest’ultimo processo si concluse con la condanna per omicidio preterintenzionale degli imputati superstiti, che comunque furono scarcerati per sopravvenuta amnistia.
A sessant’anni dalla morte, nel 1983 le spoglie di don Minzoni furono traslate dal cimitero monumentale di Ravenna alla chiesa di San Nicolò di Argenta, dove furono inumate alla presenza, tra gli altri, del presidente del Senato Francesco Cossiga. Nell’occasione Giovanni Paolo II scrisse:

« Don Minzoni morì “vittima scelta” di una violenza cieca e brutale, ma il senso radicale di quella immolazione supera di gran lunga la semplice volontà di opposizione ad un regime oppressivo, e si colloca sul piano della fede cristiana. Fu il suo fascino spirituale, esercitato sulla popolazione, sulle forze del lavoro ed in particolare sui giovani, a provocare l’aggressione, si volle stroncare soprattutto la sua azione educativa diretta a formare la gioventù per prepararla nel contempo ad una solida vita cristiana e ad un conseguente impiego per la trasformazione della società. Per questo gli Esploratori Cattolici sono a lui debitori. »
(Papa Giovanni Paolo II, Lettera all’Arcivescovo di Ravenna in occasione del 60º della morte di don Minzoni)

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12.08.2018
SANT’ANNA DI STAZZEMA 12 agosto 1944.

STORIA DEI FASCISTI ITALIANI CHE AIUTARONO LE SS

“I “più viscidi”, nei ricordi dei superstiti, erano però i collaborazionisti locali. Furono loro, con ogni probabilità, a condurre le quattro colonne a Sant’Anna. Circondarono il paesino da ogni lato, bloccando ogni via di fuga.”

C’erano anche gli italiani nella 16esima divisione corazzata che compì la strage del 1944: alcuni portavano la divisa tedesca, altri arrivarono con abiti civili per non farsi riconoscere. Ma i superstiti santannini il loro modo di parlare lo ricordano ancora
C’erano anche gli italiani con le SS a Sant’Anna di Stazzema. Non solo i civili costretti a portare di notte, lungo i tornanti, il peso delle munizioni fino al paese della Versilia e, una volta assolto il compito, fucilati. Ma anche i volontari. Alcuni, arruolati regolarmente nella divisione, non si distinguevano dai tedeschi, perché portavano la divisa; altri, i fascisti locali, giunsero a Sant’Anna con gli abiti civili e il volto coperto per non farsi riconoscere. Dimenticarono però di camuffare la voce. E il loro accento, i santannini lo ricordano ancora.
C’erano anche gli italiani nella 16esima divisione corazzata. Un pensiero che, a distanza di 71 anni, non dà pace a uno dei superstiti, Enio Mancini. Nelle retrovie della divisione, composta in gran parte da ragazzi tra i 17 e i 20 anni e che contava in totale tra i 10mila e i 12mila uomini, gli italiani erano quasi la metà. Lo confermarono, dopo la guerra, il generale Max Simon, ufficiale dell SS, e Frederich Knorr, comandante dei servizi della divisione. Tra i nostri connazionali, alcuni erano stati reclutati dai campi di concentramento, altri arruolati come volontari, altri ancora venivano dall’esercito italiano, disciolto dopo l’8 settembre. Lo storico Carlo Gentile, tra gli esperti chiamati a deporre nel processo del tribunale militare di La Spezia, ha individuato 25 repubblichini arruolati nella 16esima divisione Reichsführer, per gradi che andavano dai soldati scelti ai sergenti.

I “più viscidi”, nei ricordi dei superstiti, erano però i collaborazionisti locali. Furono loro, con ogni probabilità, a condurre le quattro colonne a Sant’Anna. Circondarono il paesino da ogni lato, bloccando ogni via di fuga. Arrivarono all’alba, passando per vie impervie e sconosciute se non ai versiliesi. Del resto Mauro Pieri, Genoveffa Moriconi, Lilia Pardini, Enio Mancini, Renato Bonuccelli, Ada Battistini e molti altri superstiti hanno detto e ripetuto con assoluta certezza di aver sentito parlare in versiliese quella mattina. Nel 1945, a meno di un anno dall’eccidio, lo scrittore Manlio Cancogni, classe 1916, scriveva sulla Nazione del Popolo: “Dei nomi, uno sopra tutti, girano da tempo sulle bocche degli abitanti dell’intera regione e ci si aspetta, forse invano, che prove definitive confermino la verità del sospetto”.

Tra gli accusati di collaborazionismo, c’era Aleramo Garibaldi, che, come ammise alla commissione statunitense che fece le indagini subito dopo i fatti, aveva portato le armi a Sant’Anna, ma negò qualsiasi coinvolgimento attivo. Dopo la guerra, però, una superstite, Maria Luisa Ghilarducci, riconobbe in lui l’uomo che aveva azionato la mitragliatrice contro il suo gruppo. Garibaldi fu scagionato dal fatto che a Sant’Anna furono uccise anche sua moglie e le sue due figlie, che infatti figurano nell’elenco delle vittime. Ma i sospetti su di lui non sono mai stati cancellati. Al contrario di altri portatori, una volta a Sant’Anna Garibaldi non fu fucilato. Anzi, gli fu dato un lasciapassare tedesco per entrare e uscire dalla città. Tra gli altri presunti collaborazionisti citati nel corso degli anni figurano anche Francesco Gatti ed Egisto Cipriani. Nessuno però fu mai condannato, per insufficienza di prove. A dare il colpo di spugna nel 1946, fu l’amnistia firmata dall’allora ministro della Giustizia Palmiro Togliatti, con cui il guardasigilli, in un primo tentativo di pacificazione, condonò i reati di collaborazionismo e di concorso in omicidio compiuti dopo l’8 settembre.
Sant’Anna non è stata l’unica strage nazista che porta il marchio dei collaborazionisti. In altri casi, intervennero, a fianco dei nazisti, vere e proprie formazioni fasciste, come la Decima Mas a Guadine e a Forno, la Brigata Nera Apuana a Vinca e a Bergiola, la Brigata Nera di Lucca in Garfagnana e a Camaiore.
Ilaria Lonigro

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25.07.2018

25 Luglio 1943: la caduta di Mussolini

Dice di aver convocato il Gran Consiglio non per discutere la situazione interna, ma bensì per informarlo della situazione bellica del momento e poter prendere una decisione a livello di strategia militare, da applicare in seguito allo sbarco degli alleati anglo-americani in Sicilia e alle difficoltà riscontrate.

Mussolini, che appare fiducioso e sicuro di sé, da tempo però cova il malcontento di alcuni gerarchi, che trovano in Dino Grandi il loro portavoce.
La situazione è grave e richiede decisioni chiare e capaci di creare una reale svolta nella guida del governo.
Terminata la relazione introduttiva, seguita da non poche critiche, prende la parola Grandi che si appresta a leggere il documento preparato e firmato dai dissidenti.
Si tratta di un attacco diretto alla persona di Mussolini e di sfiducia nel suo operato, che si trova così con le spalle al muro, costretto ad ammettere tutta la sua colpevolezza.
Si apre la frattura: si parla di abolizione del regime totalitario, ritorno allo Statuto, ripristino del Parlamento e restituzione alla corona di tutte le sue prerogative.

L’errore più grave che gli viene imputato è quello d’aver accettato la germanizzazione del partito e del paese, avviando l’Italia a intraprendere l’ascesa in guerra.
Nel dibattito interviene anche Galeazzo Ciano.
Mussoline viene quindi disarmato dagli stessi appartenti al PNF, tenta un ultimo misero tentativo di riabilitazione della sua immagine, ma ormai la sorte è certa, non può evitare la messa in votazione del documento.
L’esito dello scrutinio avviene all’alba del 25 luglio ed è senza appello: diciannove sì contro sette no.

I favorevoli sono: Grandi, Bottai, Federzoni, Ciano, De Vecchi, De Marsico, Albini, Acerbo, Alfieri, Marinelli, Pareschi, De Bono, Rossoni, Bastianini, Bignardi, De Stefani, Gottardi, Balella, Cianetti.

Nonostante l’esito della votazione, Mussolini crede ancora di poter ottenere la fiducia del re; ma questi lo fa arrestare, mentre sale al potere come nuovo capo del governo Pietro Badoglio.
La radio trasmette il seguente comunicato: “Sua Maestà il re e imperatore ha accettato le dimissioni dalla carica di capo del governo, primo ministro e segretario di Stato, presentate da S.E. il Cavaliere Benito Mussolini, e ha nominato capo del governo, primo ministro e segretario di Stato S.E. il Cavaliere Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio”.
Alle ore 22.45 il maresciallo legge alla radio un proclama alla nazione nella quale dichiara che “la guerra continua”.
Vi è una confusione generale ma  il popolo non può fare a meno di esultare e riversarsi nelle piazze per festeggiare.

Non possono immaginare quello che di lì a poco accadrà.
Mussolini, prigioniero sul Gran Sasso, viene liberato da un commando nazista tedesco e trasportato in Germania dove darà vita alla Repubblica sociale italiana.
Coloro che avevano firmato l’ordine del giorno Grandi saranno processati e condannati a morte nel processo di Verona dell’8-10 gennaio 1944.
I 5 arrestati (Ciano, De Bono, Marinelli, Pareschi e Gottardi), giudicati colpevoli d’alto tradimento, saranno giustiziati mediante fucilazione.
Mussolini fece la storia degli avvenimenti militari gettando la colpa dei suoi crimini e delle sue sconfitte su tutti, salvo che su se stesso.
La liberazione da lui si sancì solamente con la sua uccisione il 28 Aprile del 1945.

Ma quel 25 Luglio rimane nella memoria per la caduta definitiva del suo governo.

Fonte: InfoAut

Sabato 27 gennaio 2018 

Viterbo – Enrico Mezzetti, presidente Anpi, in occasione della Giornata della memoria

La tragica storia degli ebrei sia da monito per l’oggi

di Enrico Mezzetti – Presidente provinciale Anpi

L’Anpi di Viterbo parteciperà alle celebrazioni promosse dal comune di Viterbo di concerto con l’istituto comprensivo Fantappié.

Ricorderemo davanti alle pietre d’inciampo della loro abitazione, al civico 19 di via della Verità,   Emanuele Vittorio Anticoli,  Letizia Anticoli, Bruno di Porto cioè …