Riccardo Infantino – 31.12.2020
Fuochi partigiani…
…o piuttosto, vista la data, dovrei dire botti…quelli che vorrei far fare ai sostenitori delle ipotetiche cose buone che avrebbe fatto il Benito, quelli che l’Italia fascista va bene, ma non ha mai commessi crimini contro i civili paragonabili a quelli del nazismo (vero…i crimini fascisti nella ex Jugoslavia sono stai, se possibile, anche peggiori…), quelli che in piena emergenza consegnano la loro speranza e la loro sovranità di cittadini ad un ipotetico grande uomo (ma la Marcia su Roma non vi ha insegnato nulla?…), quelli che “i politici mi fanno tutti schifo” (e allora perché continui a votare le stesse persone…), e soprattutto quelli che “non vado al voto perché tanto è inutile, non cambia niente”…sembra la canzone di Jannacci….
Caro 2021, se possibile porta nelle coscienze degli uomini (non solo in Italia, negli altri paesi non stanno tanto meglio) un briciolo di solidarietà e di rinnovato rispetto per sé e per gli altri, perché essere antifascista e partigiano è anche questo.
Saluti anitfascisti a tutt*
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Riccardo Infantino – 24.12.2020
Ne Il partigiano Johnny il protagonista afferma che la vita del partigiano è una continua attesa, attesa di entrare in azione, attesa che passino i fascisti davanti per attaccarli, attesa, attesa…quando molti anni fa lessi per la prima volta questo particolare romanzo mi colpì davvero l’ osservazione…rifletteva la situazione reale, e tutta la storia di Johnny è vera: da imboscato per evitare guai con chiunque a parte attiva della Resistenza nella zona del Bormida e del Tanaro, dopo una presa di coscienza apparentemente improvvisa.
Il natale partigiano del 2020 magari è così: attesa che si possa di nuovo incontrarci tutti di persona (e non solo in una bella riunione on line dei vari Comitati Provinciali) , attesa della fine di una pandemia, ma soprattutto attesa della presa di coscienza di ognuno di noi, perché in questo momento non bisogna smettere di alimentare la consapevolezza che l’uomo, come diceva il buon Aristotele, è un animale politico, e tende allora istintivamente alla socialità ed alla solidarietà.
Per quanto possibile buon Natale partigiano, e sempre saluti antifascisti a tutt*
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Dove si incontrano i partigiani
Nella fase della lotta al fascismo del ventennio i partigiani si incontravano sulle montagne, nelle riunioni clandestine all’interno dei casolari di campagna, nelle case di chi metteva a rischio la propria vita per dare loro un riparo che non di rado era la differenza tra la vita e la morte per mano dei fascisti.
Negli anni del fascismo moderno gli ormai anziani resistenti si incontravano nelle sezioni dei partiti (tutti, la Resistenza è stata opera di tutti i partiti) e nei luoghi di lavoro, accanto alle generazioni a loro successive, che raccoglievano – e raccolgono – il testimone della buona custodia della memoria resistenziale antifascista.
Oggi si incontrano anche quando non si potrebbe di persona, come è accaduto il 4 dicembre nella nostra sede nazionale: il presidente Pagliarulo si è connesso in video conferenza con i rappresentanti di gruppi di orientamenti eterogenei (due soli nomi per dare l’idea: Maurizio Landini per la CGIL e Roberto Rossini per le ACLI) per definire un cammino comune nella creazione attiva (vuol dire non stare a guardare e commentare su qualche social, ma agire fattivamente) di un network antifascista che parta dall’ANPI e vada oltre lui per “reclutare” nuovi partigiani (nell’animo e nella prassi quotidiana) che (si spera) convincano l’opinione pubblica, in particolare la così detta maggioranza silenziosa, a riprendere in mano i valori della carta costituzionale, primi tra tutti l’eguaglianza e la sovranità popolare, il potere più forte che ogni cittadino ha nelle mani: quando esercita il proprio diritto dovere di voto e quando fa sentire forte e chiara la voce propria e quella degli altri cittadini (anche in una piazza telematica, come in questo caso) può veramente mutare prospettiva e far virare questo paese dal rischio concreto di torsione autoritaria e di concessione della piena fiducia ad un uomo solo, visto come una sorta di supremo soccorritore, ad una realtà di democrazia intesa come dialogo e civile contrapposizione tra le posizioni rappresentate in Parlamento attraverso il voto dei cittadini.
Più che mai è necessario utilizzare al massimo possibile la Rete, che per sua stessa essenza è libera nel collegare (stavo per dire linkare…) i pensieri liberi e democratici.
Saluti antifascisti a tutt*
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Riccardo Infantino – 011.12.2020
Dell’epidemica intolleranza
Titolo vecchio stile, da trattato ottocentesco, per poter parlare di un atteggiamento moderno perché veicolato dalla Rete e al tempo stesso antico, dato che in ogni epidemia che si rispetti si scatena la caccia all’untore, si va alla ricerca di chi potrebbe aver veicolato il virus, che esista oppure meno (l’untore, si intende).
Nella quinta Mappa dell’Intolleranza elaborata da Vox – Osservatorio Italiano sui Diritti, viene tracciato un dettagliato profilo quantitativo e qualitativo dello hate speech, l’utilizzo delle parole di odio lanciate in Rete, accanto ad una articolata analisi e valutazione dei dati statistici, che di per sé non indicherebbero più di tanto, ma aggregati e confrontati restituiscono un quadro molto preoccupante dell’intolleranza verso chi cerca di essere se stess* (nel rispetto degli altri).
Se lo hate speech è in proporzione diminuito rispetto alla rilevazione del 2019, i suoi contenuti di odio si sono concentrati e radicalizzati: sono in altre parole divenuti più circoscritti nei luoghi della Rete – tipicamente i social network, ma più potenti nella loro carica negativa, e soprattutto – dato preoccupante – diffusi non solo nelle grandi città ma anche nei piccoli e medi centri urbani…come il meccanismo di una pandemia, che non evita nessuno.
Non è difficile indovinare chi siano i bersagli preferiti di questa incivile pratica: in ordine di intensità donne, ebrei, migranti, musulmani, disabili; in pratica quelle persone che potrebbero sfuggire all’incasellamento che è parte costituente di una società che tenderebbe ad un controllo di massa capillare mirante a garantire ordinata sicurezza, legalità e buona salute…
Non si può a questo punto fare a meno di notare che l’intolleranza fa parte del DNA del pensiero totalitario, che si propone di demonizzare prima, per poi escludere ed eliminare ogni e qualsiasi modo di pensare che preveda critiche alle verità spacciate come conclamate ed indiscusse, possibilmente con l’appoggio della propaganda di grossi media.
Lo hate speech, il linguaggio dell’odio, può essere allora l’humus ideale per dare nuovo vigore al fascismo ed alla sua essenza violenta…la nostra compianta presidentessa, Carla Nespolo, ricordava che antifascismo significa, in prima istanza, lotta non violenta…
Saluti antifascisti a tutt*
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MEMORIA E CONOSCENZA (2) – “PARTIGIANI DEI PARTIGIANI”
Sono tante le lezioni che ci vengono dallo studio della storia recente, e che possono fornire esempi significativi ai nostri giovani studenti.
A proposito della differenza tra le due parti in lotta durante la Resistenza e l’oppressione nazifascista in Italia, Vittorio Foa, ad esempio, partecipando ad un dibattito televisivo, disse una volta a Giorgio Pisanò, esponente fascista tra i fondatori dell’MSI:
“Se aveste vinto voi, io sarei ancora in prigione. Siccome abbiamo vinto noi, tu sei senatore”.
E fu ancora Sandro Pertini, forse il più amato dei presidenti che la nostra Repubblica abbia mai avuto, a dichiarare che
“Il fascismo – non può essere considerato una fede politica; il fascismo è l’antitesi delle fedi politiche”.
Il fascismo, aggiungiamo noi, è un crimine dal quale sono derivate le tragedie che hanno travagliato l’Italia e gli italiani per tanti anni. E che purtroppo ci travagliano ancora.
Perché i conti con il fascismo in Italia non sono mai stati chiusi definitivamente.
Oggi si chiama “neofascismo”, ma non c’è molta differenza tra questo e quello che è stato.
I tratti distintivi sono sempre gli stessi. Lo stesso fanatismo, la stessa intolleranza, la stessa volontà di sopraffazione, la stessa anima liberticida, eversiva, violenta, razzista, xenofoba, antisemita, omofoba, machista, sessista.
E, in molti casi, anche le stesse persone, riemerse da un passato che si credeva, a torto, morto e sepolto. “Riabilitate” prima per esigenze strategiche dalle truppe di occupazione angloamericane, che avevano bisogno di insediare in posti chiave di potere – prefetture, questure, amministrazioni locali, ecc. – solerti e zelanti funzionari muniti di regolare patente di anticomunismo “d.o.c.” (e quali preferire se non quelli che erano già stati messi lì dal fascismo?).
Può valere per tutti l’esempio di Marcello Guida. Da direttore del carcere di Ventotene durante il fascismo a questore prima a Torino e poi a Milano negli anni ’60 (Pertini si rifiutò di stringergli la mano, quando lo incontrò di nuovo dopo trent’anni).
Amnistiati all’indomani del referendum istituzionale nel 1946, e successivamente beneficiati grazie a provvedimenti vari di indulto e condono. Ed infine – in tempi più recenti – “sdoganati” da forze politiche (talvolta anche di governo) compiacenti. Anche qui gli esempi non mancano.
Un vulnus che ancora ci addolora, e che è costato lutti e rovine anche dopo il 25 aprile del 1945.
Parliamo naturalmente in primo luogo dei crimini orrendi commessi negli anni ’60 e ’70 da elementi e/o organizzazioni dichiaratamente neofasciste che, in barba alla legge Scelba (per la quale, essendo fuorilegge, avrebbero dovuto essere disciolte e perseguite), hanno potuto compiere attentati e commettere stragi, spesso impunemente. Attentati e stragi in cui hanno perso la vita centinaia di persone inermi ed incolpevoli.
E non ci riferiamo solo alle stragi di Piazza Fontana nel ’69, di Brescia e del treno Italicus nel ’74, della stazione di Bologna nell’’80 (solo per citarne alcune, tra le tante in cui i neofascisti sono stati individuati, e talvolta condannati, come mandanti e/o esecutori materiali), ma anche di tutte le altre che, insieme a tentativi vari di colpi di Stato, avevano come scopo ed obiettivo principale quello di riportare l’Italia indietro di trenta o quaranta anni. Spianare la strada a soluzioni autoritarie, vanificando le conquiste di libertà e di giustizia sociale compiute dal secondo dopoguerra dalle forze politiche e sindacali e dall’opinione pubblica democratiche, progressiste e antifasciste del Paese.
Ecco, ed è da qui che occorre partire per parlare del significato e dell’importanza dell’essere ancora oggi “partigiani”.
A questo proposito vale la pena di citare alcuni passaggi significativi della relazione che il Presidente nazionale Gianfranco Pagliarulo ha svolto recentemente nel corso della riunione del Comitato Nazionale ANPI:
“Da sempre l’Anpi ha operato nella direzione del contrasto ai neofascismi. Usciamo in particolare da stagioni di grande lavoro su questo terreno. Consapevoli che oggi questo impegno, pur necessario, non è più sufficiente, dobbiamo rapidamente aggiornare il nostro programma a questo proposito…”.
Una simile esortazione spinge immediatamente ad interrogarsi sul significato e sulle implicazioni di questo “aggiornamento” caldeggiato dal nostro Presidente. Che cosa significa infatti, che il nostro lavoro sul contrasto ai neofascismi, “pur necessario, non è più sufficiente”?
Una risposta la si può trovare, credo, poco più avanti nel testo della relazione, allorché nel delineare il progetto di “una grande alleanza democratica e antifascista per la persona, il lavoro e la socialità”, si afferma che:
“… In questa grande prospettiva di cambiamento che dev’essere sostenuta in primo luogo dall’Anpi in un più ampio movimento popolare, si incarna e si inquadra l’antifascismo di oggi, che non può ridursi alla ovviamente necessaria negazione del fascismo, ma dev’essere conoscenza e coscienza della storia recente del Paese….”.
Un “aggiornamento”, quindi, non di mera facciata ma di grande, significativa portata.
Perché insiste sulla necessità e l’urgenza di porre tra gli obiettivi di questa grande mobilitazione, la lotta a tutte le forme in cui il fascismo si manifesta, con rinnovata pericolosità, in Italia e nel mondo.
Non c’è dubbio infatti che la minaccia rappresentata dalla presenza neofascista sia ovunque ancora grave e preoccupante. Magari non si fanno chiamare più fascisti (anche perché per la maggior parte si tratta di esponenti di una subcultura giovanile che del fascismo sanno poco o niente), ma i loro atteggiamenti, i loro slogan deliranti, l’estremismo, l’aggressività, il culto della violenza sia verbale che fisica che li caratterizzano, costituiscono sempre un pericolo da non sottovalutare.
Cambiano nome e mutano pelle negli anni, le loro organizzazioni talvolta vengono sciolte e i loro leader condannati per reati di terrorismo o comuni, ma poi si trasformano e si ripresentano con altre sigle. Qui da noi, ad esempio, “CasaPound” e “Forza Nuova” sono attualmente quelle più in vista. Ma fino a pochi anni fa si chiamavano “Ordine Nuovo”, “Avanguardia Nazionale”, “Ordine Nero”, “Fronte Nazionale”.
Sono sempre gli stessi. E quelli di oggi non si sono mai dissociati, né hanno mai preso le distanze da coloro che li hanno preceduti, anche se apertamente riconosciuti autori di reati e per questo condannati in via definitiva dalla magistratura ordinaria.
Non si può abbassare la guardia nei confronti di queste minacce. Occorre essere presenti, vigilare, denunciare, ed opporsi con fermezza.
Aldo Moro, in un suo memorabile discorso all’assemblea costituente nel 1947, rispondendo ad una proposta di un suo collega parlamentare (Roberto Lucifero, prima liberale, poi monarchico), che riferendosi alla nascente Costituzione italiana proponeva di usare il termine “afascista”, si oppose con forza a questa proposta, dimostrando come e perché fosse necessario che il termine da usare nel testo definitivo fosse “antifascista”.
E a tutt’oggi, mentre continuano le legittime rimostranze di chi lamenta che la nostra Costituzione, ancor prima di essere “aggiornata” dovrebbe essere applicata, tocca anche all’ANPI fare in modo che questa battaglia venga portata avanti. Anche a noi, che partigiani non siamo, e non lo siamo – per motivi anagrafici, se non per altro – mai stati, ma che riconosciamo come giusti e sacrosanti i valori ed i principi contenuti nella nostra Costituzione.
A noi che oggi siamo, per dirla con le parole della nostra compianta presidente Carla Nespolo recentemente scomparsa, “partigiani dei partigiani”.
Ed è anche per dare testimonianza di questo, della nostra volontà di continuare questa battaglia, che celebriamo le ricorrenze. Le donne e gli uomini che 75 anni fa imbracciarono le armi per combattere il nazifascismo, non lo fecero solo per liberare l’Italia dalla tirannide. Lo fecero anche – e forse soprattutto – per affermare un’idea di società libera e giusta, in cui i principi di libertà, di giustizia, di eguaglianza, fossero ispiratori di una Stato profondamente ed autenticamente democratico.
Noi qui, oggi, a 75 anni di distanza, siamo a chiederci se quei principi si sono affermati, se lo Stato che abbiamo costruito risponda concretamente ai requisiti di una democrazia compiuta.
E’ una domanda che abbiamo il dovere di porci, per il rispetto che portiamo alla memoria del sacrificio di quelle donne e di quegli uomini. Le celebrazioni non sono – come qualcuno insiste nel voler far credere – “divisive”. Lo sono solo per chi soffre di inconfessabili nostalgie per un triste, vergognoso passato di lutti e rovine, il cui peso porteremo per sempre di fronte alla Storia.
Resta su tutto la necessità di prendere coscienza del fatto che la democrazia non si conquista una volta per tutte, che non si può dare mai per acquisita in modo definitivo. Ma che occorre costruirla giorno dopo giorno, con pazienza e tenacia, e soprattutto difenderla dalle minacce dalle quali è costantemente insidiata.
Il giornalista Gad Lerner, in suo intervento qualche tempo fa, fece riferimento all’ “inedito ruolo di protagonismo politico toccato in sorte all’ANPI”.
Il “ruolo” a cui si riferisce è proprio quello di rispondere alle esigenze di tutti i democratici e gli antifascisti di questo Paese di ritrovarsi a lottare per la libertà e la giustizia sociale con lo stesso spirito unitario che animò i partigiani del CLN.
Ed è proprio per rivendicare la giustezza e la legittimità di questo ruolo che oggi riteniamo sia importante dare rinnovato impulso alle iniziative dell’ANPI, nell’ambito di una nuova, grande sinergia di forze democratiche ed antifasciste.
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Riccardo Infantino – 04.12.2020
Antifascismo antipandemico
No, non voglio aggiungere una ipotesi balzana tra le tante ancora più inverosimili che schizzano in Rete “grazie” ad una nutrita schiera di immunologi ed infettivologi improvvisati, come sempre lascio che le persone competenti facciano il loro mestiere senza essere intralciate…l’antifascismo non è la cura per la pandemia in atto, ma potrebbe essere una ottima terapia immunizzante contro una malattia che si sta diffondendo a macchia d’olio da mesi e mesi: l’ossessione per la sicurezza sanitaria, che colpisce immediatamente i diritti costituzionali fondamentali e infetta la fiducia nelle istituzioni democratiche.
Mi si perdoni l’uso di una terminologia medica, ma in un momento in cui la democrazia prima è stata sospesa poi viene vista quasi come un agente patogeno che concorrerebbe alla permanenza ed alla diffusione del COVID 19 non riesco a trovare lessico più adatto per la situazione…proprio oggi mi è caduto l’occhio su alcuni dati del CENSIS, pubblicati in un interessante articolo del Fatto Quotidiano: dopo una puntuale, quanto purtoppo prevedibile, analisi delle attuali conseguenze della pandemia (un’Italia diseguale che penalizza sempre di più chi non è benestante ed aumenta in modo preoccupante il numero dei poveri, soprattutto di sesso femminile) riporta i dati piuttosto sconcertanti dell’opinione statisticamente significativa del cittadino medio: appena il 26% crede ancora nel Parlamento (l’organo legislativo supremo), e una cospicua maggioranza “silenziosa”, nella sua scarsa fiducia verso il Governo, sarebbe però dispostissima a sacrificare le proprie libertà fondamentali in cambio di una sicurezza santaria definitiva…oltre ad un bel 77,1 per cento favorevole a pene severe per chi non indossa la mascherina o non osserva la distanza prescritta e ad un altrettanto rilevante 56,6 % che sogna la pena del carcere per chi non rispetti l’obbligo di quarantena…siamo ai limiti del giustizialismo…ciliegina finale: il 43,7 % vorrebbe, alla faccia del principio costituzionale, la reintroduzione della pena di morte…magari si pensa di praticare l’iniezione letale ai COVID 19 che stanno attraversando il paese, non so che altro dire…
In questa aberrazione culturale che rischia di portarci ad appoggiare una politica decisionista e sbrigativa l’antifascismo potrebbe essere il vaccino che suscita quegli anticorpi in grado di farci ricordare che il cardine della nostra costituzione è la persona nell’integrità dei propri diritti, che nemmeno in caso di guerra potrebbero venire meno, se mai limitati solo nello stretto necessario.
Questa la teoria; nella pratica occorre una azione quotidiana – non c’è bisogno di gesti eroici o plateali – di recupero della solidarietà reciproca e del rispetto dell’altro in quanto essere umano che nasce fornito dei diritti inalienabili…occorre fare presto, prima che ci si convinca che solo una emergenza infinita ci potrà tutelare dall’invisibile virale nemico…
Saluti antifascisti a tutt* (e mi raccomando, mettiamo sempre la mascherina)
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Riccardo Infantino – 27.11.2020
Quando (e come) può nascere la violenza
Il pensiero che ho formulato nel titolo mi è venuto in mente molto, troppo spesso in questi ultimi tempi, e non solo in considerazione della ricorrenza del 25 novembre, Giornata contro la violenza sulla donna, ma più in generale su quella violenza così detta di genere (i pestaggi di omosex e trans, per capirci, molto più diffusi di quanto si possa immaginare) e sul drammatico aumento dei casi di violenza familiare che l’obbligo di chiudersi in casa dei mesi passati ha generato, e che è ben documentato da qualsiasi centro antiviolenza.
Non credo sia più il caso di fermarsi ad una condanna – necessaria, comunque -, ma di rimboccarsi le maniche e cercare di capire come può nascere in ognuno di noi – si, in ognuno, perché dal punto di vista dell’aggressività nessuno è esente – e una volta compreso cercare di disinnescare questo tipo di meccanismo.
L’aggressività è tipica delle razze animali, uomo compreso, e le scariche di adrenalina sono esperienza che tutti proviamo almeno una volta al giorno (chi può mi smentisca…); cosa separa allora la pulsione violenta dalla sua realizzazione pratica, perché non sempre interviene quel sano freno inibitorio che impedisce di lasciare per terra chi guida l’ennesima macchina che ti impedisce di uscire di casa persino a piedi perché parcheggiata che peggio non si può, oppure chi ti urta al supermercato e ti sta praticamente attaccato, alla faccia del principio di precauzione del distanziamento anti contagio?
Forse il fatto che da molto, troppo tempo respiriamo una atmosfera satura di competitività esasperata mista a fisiologico nervosismo per l’incertezza sanitaria ed economica nella quale siamo immersi…mi viene spontaneo pensare che sia l’esito probabile del miscelarsi di una forma mentale basata sui rapporti di forza (non limitata al patriarcato, ma in generale ai rapporti interpersonali) con il dogma della competizione, unica fede del libero mercato.
Ancora una volta vorrei cercare (diciamo meglio, potremmo cercare, dentro e fuori l’ANPI) una risposta nella carta costituzionale, chiederle quali princìpi bisogna conservare ed alimentare per, come diceva Vittorio Arrigoni scrivendo per Il Manifesto da Gaza, restare umani…mi viene in mente solo quello della solidarietà umana indirizzata al singolo ed al gruppo sociale, espresso nell’articolo 2: “ La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. “.
Volendo interpretarlo molto pragmaticamente – lascio come è giusto le considerazioni politiche e giuridiche a chi ne sa davvero – lo intedenderei come un invito a tutti i cittadini (e chi è, se non tutti noi, la Repubblica…) ad essere propensi, ognuno per ciò che può e sa fare, verso i propri simili (e con il termine si intende ogni essere umano) perché altrimenti, vista la difficile congiuntura economica che ci aspetta nei prossimi mesi, rischiamo di prenderci a bastonate per una pagnotta o un litro di latte…esagero?
Saluti antifascisti a tutt*
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MEMORIA, CONOSCENZA – E STUDIO DELLA STORIA
E’ il 14 aprile del 2018 quando, all’atto della costituzione della sezione ANPI di Vetralla intitolata a Renato Fabri, martire delle Fosse Ardeatine, viene approvato un documento fondativo in cui si precisano i presupposti sulla base dei quali si decide di dar vita alla sezione.
Nel documento si sottolinea – tra le altre cose – il valore imprescindibile della Memoria:
“Innanzitutto, vogliamo riaffermare con forza e convinzione il valore della memoria (…….). E’ necessario però che la memoria di oggi e di domani sia nutrita di contenuti e gesti che rendano possibile e coerente l’impegno dei cittadini di fronte al riapparire nella società di governi, partiti e correnti d’opinione con tendenze autoritarie ed antidemocratiche”.
Affinché nella nostra società questi “contenuti e gesti” e questo “impegno” divengano realtà quotidiana concreta e tangibile, il documento insiste poi sulla necessità di riaffermare e valorizzare il ruolo della Conoscenza, “…. come unico strumento per comprendere le complessità e le contraddizioni del mondo contemporaneo e di quello che aspetta l’umanità nei prossimi decenni”.
Non vi è dubbio che questi due aspetti – Memoria e Conoscenza – siano due cardini fondamentali intorno ai quali ruotano da sempre la vita e le attività dell’ANPI.
In tutte le ricorrenze che si celebrano ufficialmente, ed in occasione delle quali l’ANPI promuove manifestazioni ed eventi significativi, come ad es. il 27 gennaio (Giorno della Memoria), il 24 marzo (eccidio delle Fosse Ardeatine), il 25 aprile (Anniversario della Liberazione), il 2 giugno (Festa della Repubblica), questi due aspetti assumono un ruolo di particolare rilevanza.
Perché non vi può essere Memoria del passato senza Conoscenza della Storia, così come non vi può essere una compiuta conoscenza di fatti, situazioni od eventi passati senza il ricordo di chi ne ha memoria, per averli vissuti in prima persona o per averne raccolto testimonianza diretta.
Da qui il ruolo di protagonisti che in queste occasioni viene svolto da scuole, insegnanti e studenti, da un lato, ed ex-combattenti, reduci, partigiani, ex-internati in lager o deportati in campi di lavoro forzato, parenti di vittime della repressione nazifascista, dall’altro.
I racconti dei sopravvissuti e dei testimoni forniscono la materia stessa di cui si sostanzia la Storia come disciplina, il cui studio è fondamentale per la costruzione del tessuto culturale del cittadino in una società civile e democratica.
Sappiamo tuttavia quanto sia tutt’ora carente e lacunoso, nelle scuole di ogni ordine e grado, l’insegnamento della Storia del XX secolo, ed in particolare lo studio, la ricerca e la riflessione su quei particolari avvenimenti a cui dette ricorrenze si riferiscono. I motivi sono diversi. Talvolta si tratta di “riluttanze” – quando non addirittura di veri e propri rifiuti – di natura ideologica.
Ma più spesso si tratta di questioni di carattere metodologico-didattico.
Diceva Pietro Calamandrei a questo proposito: “I ragazzi delle scuole imparano chi fu Muzio Scevola o Orazio Coclite, ma non sanno chi furono i fratelli Cervi”. Affermazione che spiega con chiarezza la natura del problema. All’inizio di ogni ciclo scolastico, lo studio della Storia ricomincia praticamente ogni volta dalle origini del mondo, ed al termine non riesce mai a raggiungere – o ad affrontare in modo appropriato – la trattazione di eventi storici recenti.
Va detto che un tale difetto non è riferibile soltanto all’insegnamento della Storia, ma a quello di tutte le discipline che rientrano nell’ambito del cosiddetto “asse culturale storico-linguistico-letterario” (italiano, storia, lingue straniere, filosofia, storia dell’arte, ecc.), le quali risentono tutte – più o meno in egual misura – dei limiti di un approccio che tende a privilegiare la trattazione ripetuta ed insistita di argomenti (autori, opere, periodi, avvenimenti, ecc.) che finiscono fatalmente per assorbire la quasi totalità del tempo a disposizione.
Non si tratta semplicemente di difetti nella programmazione curricolare, ma bensì di problemi che nascono da approcci metodologico – didattici che privilegiano la “quantità” a scapito della “qualità”, i contenuti piuttosto che i metodi, il prodotto invece del processo (il “che cosa” rispetto al “come”).
Un diverso approccio che, privilegiando una didattica di tipo laboratoriale, favorisca invece lo sviluppo di competenze legate ai metodi di indagine e di analisi di determinati eventi storici, darebbe la possibilità di selezionare in modo “mirato” i contenuti, rimodulando i tempi di trattazione degli stessi e fornendo contestualmente agli studenti strumenti culturali utili per orientarsi nella comprensione dei fenomeni, a prescindere dalla loro rigida sequenzialità temporale.
Non può sfuggire, in un approccio siffatto, la differenza nella qualità dell’azione formativa, per cui la dimensione meramente contenutistica lascia il posto allo sviluppo di capacità critiche e logico-cognitive cruciali per la lettura e l’interpretazione dei contenuti stessi.
Una riflessione in questo senso, oltre a dare a docenti e studenti la possibilità di affrontare temi ed argomenti storici più vicini ai giorni nostri (con il valore aggiunto del più immediato collegamento con l’educazione civica), sarebbe anche coerente con quanto previsto dal Protocollo di Intesa ANPI-MIUR, in particolare laddove si afferma che “… le Parti, ( …….), ricercano e sperimentano modalità di raccordo, di interazione, di confronto permanente, al fine di promuovere e realizzare interventi idonei a diffondere nelle scuole una sempre maggiore attenzione ai processi di studio, di riflessione, di approfondimento”.
E per quanto attiene agli aspetti, non secondari, della formazione in servizio dei docenti necessaria per guidare in modo appropriato gli orientamenti e le scelta di natura metodologico – didattica, è utile citare qui quanto ancora sottolineato nel Protocollo, circa la necessità di
“…. promuovere attività di scambio, formazione, seminari e conferenze su temi e metodi della didattica e pedagogia dell’insegnamento della storia”.
Appare in tutta la sua evidenza, quindi, come un contributo significativo dell’ANPI alla funzione formativa di questo specifico ambito disciplinare non possa che passare attraverso un processo finalizzato ad un ripensamento di approcci e metodi che coinvolga anche la didattica delle altre discipline di ambito “umanistico”.
Ma perché tutto questo è così importante per comprendere compiutamente ciò che si intende per rapporto tra Memoria e Conoscenza, ed il senso che si vuole dare allo studio della Storia?
La consapevolezza del cittadino dell’importanza delle conquiste di libertà e di democrazia, si realizza soprattutto attraverso la scoperta del legame esistente tra passato e presente.
La conoscenza della Costituzione, ad esempio, delle sue origini, delle sue ragioni politiche, economiche e sociali, del suo divenire – attraverso gli anni bui del fascismo fino a quelli più recenti della Costituente – e della incontestabile attualità della sua funzione a tutela dei diritti inalienabili del cittadino, rappresenta un passo cruciale per sviluppare nei giovani la consapevolezza che tali diritti non sono mai conquistati e garantiti una volta per tutte, ma che vanno difesi quotidianamente.
Le celebrazioni di cui stiamo parlando, hanno tutte un comune denominatore: ricordare il sacrificio di quanti hanno lottato, combattuto, speso la propria vita per porre fine all’oppressione nazifascista e dare vita ad uno Stato moderno, libero e democratico.
E questo è il senso del messaggio che per loro tramite ci deve giungere, e che deve passare attraverso la memoria e la conoscenza della Storia.
Un messaggio che sollecita impegno civile e politico, vigilanza costante – “militante” – a difesa della democrazia, contro il pericolo sempre incombente di pericolose involuzioni autoritarie e tentazioni di oscuri ritorni ad un passato di lutti e rovine.
La Memoria è la sola cosa che possa evitare i nuovi pericoli liberticidi dei nostri giorni. Ringrazio Paolo Coppari per questa bella riflessione
Riccardo Infantino
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Riccardo Infantino – 15.11.2020
Mutamenti antropologici e antifascismi
Quel particolare antifascista che è stato Pier Paolo Pasolini aveva elaborato un concetto che potrebbe essere di grande attualità, il mutamento antropologico.
Riferendosi alla cultura del capitalismo – che inverte il rapporto tra persone e cose, ponendo le seconde davanti alle prime – il grande scrittore friulano osservava, negli Scritti Corsari, come nel passaggio da una società contadina ad una industriale non si è verificata una mutazione fisica, ma culturale, un cambiamento dei valori e del modo di pensare se stessi e gli altri.
E questo modo, forse direbbe oggi Pasolini, ci identifica tutti esclusivamente come consumatori ed oggetti di consumo, indebolendo la capacità di essere anti…
I puntini sospensivi sono voluti, dato che anti- non è necessariamente contrarietà al fascismo, ma avversione in senso generale per ogni idea o situazione che mortifichi l’essere umano nella sua capacità di fare gruppo ed essere libero con gli altri simili…
Il mutamento antropologico che potrebbe portare il distanziamento sociale in atto, una volta che questo venisse percepito come condizione di vita normale, ordinaria (e purtroppo siamo sulla buona strada perché ciò accada) è il considerarci ognuno come una entità necessariamente separata dagli altri, possibilmente attenta a quello che potrebbero farti gli altri, e soprattutto preoccupata di non ammalarti di qualsiasi cosa (non necessariamente Covid19)…per questo non è sempre fattibile (faccio un esempio teorico, sia ben chiaro…) mettere in pratica il principio di solidarieta (la vicinanza umana…) e di eguaglianza (chi sta bene e chi non è in perfetta salute…sono eguali o no?…).
Direbbe la buonanima del commissario Salvo Montalbano: l’antifascismo ai tempi della pandemia…che m’avi a significari?…che vuole dire?
La risposta forse è nell’antifascismo come opposizione attiva (non limitata alla indignazione e alla denuncia, ma ad un agire pratico che inizia da noi stessi, perché nessuno è immune…) a quello che sospende la socialità e la partecipazione e la sostituisce con una serie di regole intoccabili perché ne andrebbe della salute e della sicurezza (ormai pare che i due vocaboli siano diventati sinonimi…).
Hanne Arendt, ne La genesi dei totalitarismi, riferendosi al nazismo ed allo stalinismo, parlava dello stato totalitario come di una entità che annullava le individualità dei singoli cittadini per conglobarli uno schiacciato con l’altro, in un blocco unico, asfissiante, che si spostava non si sa bene dove…
Allora come si può fare, nella pratica ad opporsi a tutto questo?
Un buon inizio potrebbe essere rimanere propensi verso gli altri esseri umani, fare anche solo delle piccole gentilezze, non permettere che il dogma sanitario securitario ci muti, come diceva il buon Pasolini antropologicamente.
Saluti antifascisti a tutt*
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Riccardo Infantino – 07.11.2020
L’equilibrio democratico
Leggevo in una delle news letters con le quali intaso la mia casella di posta di una azione compiuta da Fontana, nella sua carica di governatore della Lombardia, nel quadro delle misure di prevenzione e cura del contagio per il CoVid19.
In pratica è stato attuato un monitoraggio dei cittadini lombardi tracciando i loro spostamenti tramite gli smartphone, verificando quali celle via via i loro telefoni cellulari avessero agganciate.
Sorveglianza di massa, controllo invasivo delle libertà fondamentali motivato con una emergenza sanitaria, prove generali di una tecnocrazia liberticida?
In casi come questo si inizia prima di tutto dalla carta costituzionale, nello specifico dal diritto di movimento (art. 16) e dalla inviolabilità della libertà personale (art. 13): nessun potere o istituzione può, in linea di principio, impedire la libera circolazione e tanto meno porre delle limitazioni alla libertà individuale, pena la messa a rischio di uno dei fondamenti (accanto al principio di solidarietà e quello di eguaglianza) del vivere democratico.
Dall’altra parte viene sancito il diritto alla salute (art. 32), individuale e collettiva, per difendere la quale potrebbe essere necessario il ricorso a misure restrittive (si badi bene, restrittive, non sospensive…) dei diritti di cui sopra.
La legislazione in vigore sulla privacy autorizza la raccolta dei dati riguardanti la persona in forma anonima, e solo per motivi assolutamente necessari – in effetti la tutela della salute può rientrare in questa casistica -, ma non prevede la situazione di monitoraggi di massa quali quelli effettuati in Lombardia.
Per certi aspetti sembra di vedere, in piccolo (?), la vicenda del Patriot Act statunitense, che autorizza praticamente ogni tipo di controllo del singolo e della massa a fini di prevenzione e repressione di possibili reati terroristici…o forse sarà il trend dei prossimi anni nella attuazione di misure per le emergenze…sempre allo stesso punto si torna: se un giustissimo principio di precauzione diventa quasi ossessione di sicurezza (magari al fine di tutelare la tranquillità dei cittadini, diamolo pure il beneficio del dubbio) si potrebbe cadere nel paradosso di essere disposti a rinunciare ad una parte di libertà per essere più liberi dopo…dopo quando?…
Saluti antifascisti a tutt*
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Riccardo Infantino – 30.10.2020
Ripensare la democrazia?
Nella (grossa) domanda che mi pongo il punto interrogativo è d’obbligo: mentre ancora siamo nell’emergenza sanitaria – e anzi alle soglie di una fase più critica – come potremmo mantenere viva la componente indispensabile della democrazia, la socialità e l’interazione tra i cittadini, sulla quale si fonda la sovranità popolare, intesa come volontà dei singoli che si concilia con quella della collettività?
Le misure restrittive in atto e quelle in dirittura di arrivo fino a che punto incidono (e incideranno) sulla attuazione dell’articolo 2 della Costituzione, che prevede la tutela dell’individuo in quanto singolo e in quanto inserito in una collettività che in questo momento è chiamata a proteggere se stessa?
A che prezzo, e soprattutto fino a dove ci si potrà spingere nel capovolgere il rapporto diritti – sicurezza a favore del secondo elemento, senza intaccare in modo irreversibile la libertà dei cittadini?
Come sarà, quali basi avrà la repubblica democratica fondata sul lavoro, la cui sovranità appartiene al popolo, espresso nel Parlamento, una volta usciti dalla tempesta che stiamo traversando?
Quanto tempo ci vorrà per ripristinare il bilanciamento dei poteri e l’effettivo controllo del Parlamento sull’esecutivo, che ora, grazie ad una delega che appare incondizionata, può agire direttamente e quasi senza vincoli?
Ma soprattutto il fattore più importante: noi cittadini, titolari della sovranità popolare, saremo ancora in grado di pensarla come inalienabile, non trasferibile su nessun singolo individuo o ristretti gruppi di persone, pena una deriva oligarchica o di assetto politico da uomo solo al comando?
Non ho le risposte, in questo frangente nutro solo la speranza che a nessuno venga in mente che per raddrizzare il paese dopo la pandemia sia necessario continuare a lasciare mano libera a pochi decisori, per quanto intenzionati (almeno così dicono e agiscono ora) a perseguire il benessere e la salute della comunità.
Saluti antifascisti a tutt*
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Riccardo Infantino – 16.10.2020
Un nuovo barlume di speranza (per tutti e per l’ANPI)
In questi giorni, complice la fornitura dei famosi (o famigerati, fate un po’ voi) banchi a ruote, le mie lezioni si sono svolte per una settimana on line (detto per inciso l’esperienza mi ha insegnato che questo tipo di lavoro, se ben condotto, dà buoni risultati).
Quello di cui voglio parlare nell’articolo della settimana è un episodio che merita il giusto rilievo: in una lezione sulle civiltà mesopotamiche e sulle prime leggi scritte (il Codice di Hammurabi) ho avviata, con una classe prima di liceo scientifico (dunque con ragazzetti di tredici e quattordici anni) una discussione sulle leggi, sul loro significato e su come andrebbero fatte rispettare.
Accanto a non molte posizioni, come dire, intransigenti (ci vogliono le leggi e pene severe perché altrimenti ognuno fa quello che vuole), la maggior parte dei miei ragazzi mi ha chiarito che crede nella legge come indicazione e regola per la buona convivenza, e soprattutto nella convinzione che ogni cittadino non debba avere bisogno del timore del bastone, ma essere libero in modo tale da non danneggiare chi gli sta intorno.
Ammetto di essere rimasto sorpreso, perché di solito a quella età non sono infrequenti le infatuazioni di tipo filoautoritario e le “pensate” del tipo “un grande uomo potrebbe salvarci” e invece…la mia sorpresa è aumentata ancora, e in meglio, quando mi è stato chiesto di spiegare cosa è l’anarchia (che avessero ascoltato La locomotiva di Guccini?…) e in cosa differisce dalla democrazia come è nella nostra Costituzione.
Ovviamente mi hanno poste tutte queste domande nel linguaggio proprio della loro età, dunque con molte approssimazioni, ma non importa: la cosa più bella è aver mostrata una sensibilità acuta verso i due ingredienti fondamentali della convivenza civile, la libertà ed il rispetto reciproco.
Forse la nostra presidente(ssa), Carla Nespolo, dovunque e in qualsiasi modo sia, avrà sorriso, magari accanto ai partigiani come fu suo padre…
A questo punto proverò con la somministrazione di una modica quantità per uso personale di Costituzione…
Saluti antifascisti e speranzosi a tutt*
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Riccardo Infantino – 8.10.2020
E ora che si fa?
Ce lo siamo chiesti tutti dal 6 ottobre scorso, quando la partigiana Carla Nespolo ha cambiato campo di azione, dal mondo dei vivi a quello della Storia (quella con la “S”, che i partigiani come suo padre hanno costruita con le proprie mani).
Guardando le foto dei funerali di stamattina, i vari picchetti d’onore che hanno vegliata ininterrottamente la bara, leggendo i messaggi di cordoglio – dal presidente Mattarella ai semplici cittadini, passando per don Ciotti – mi sono accorto che le sono bastati poco meno di tre anni – ha assunta la presidenza della nostra associazione nel 2017 – per raccordare ai valori della Resistenza, alla base della Costituzione, le autorità piccole e grandi e la gente comune.
In qualche modo questa sua operazione ha ridotta drasticamente la distanza che nel corso del tempo si era creata tra la società civile (almeno quella che crede sempre nella democrazia e nella sovranità che appartiene al popolo) e le istituzioni… abbiamo sofferto e siamo ancora convalescenti – volendo utilizzare una metafora dettata dai tempi che stiamo attraversando – di una forma di amnesia collettiva che ci ha impedito di ricordare come la sovranità appartenga al popolo (la società civile), che la esercita eleggendo i propri rappresentanti in Parlamento (la classe politica), vista la evidente impossibilità di una assemblea deliberante di 48 milioni di aventi diritto al voto…malgrado qualcuno abbia fatta balenare in un recentissimo passato l’idea che nella Rete sia possibile una forma di democrazia diretta (plebiscitaria?) di dimensioni mastodontiche, magari bypassando Camera e Senato.
Forse è proprio qui la risposta alla domanda: ora che si fa…raccogliamo dalle mani della comandante Carla la memoria del passato e continuiamo a nutrirla con il nostro presente, pensando (e magari lei ci sta sorridendo, dovunque sia) che i contenuti di quella memoria sono connaturati all’essere umano…
Saluti antifascisti a tutt*, dovunque siano
Riccardo Infantino – 3.10.2020
Gramsci e le donne, parola di Noemi Ghetti
Nel corso di una pregevole e stimolante iniziativa promossa dalla Casa delle Donne di Viterbo, PARVA, organizzata da Vanda Fontana e gentilmente ospitata nei locali del circolo ARCI Il Cosmonauta, la studiosa e scrittrice Noemi Ghetti ha presentato il suo ultimo libro, Gramsci e le donne.
La conversazione (che tale è piacevolmente divenuta nel corso dell’incontro) è partita dalla esperienza personale dell’autrice, che fin dalla propria tesi di laurea sugli Etruschi visti dalla cultura greca ha evidenziato come il modello di donna quale essere geneticamente imperfetto e perciò inferiore per natura rispetto all’uomo abbia radici culturali molto, molto antiche.
Nel suo lavoro la studiosa ripercorre l’esperienza biografica di Gramsci nel mondo femminile e le sue riflessioni “contro” (come del resto era abituato a fare), a partire da una delle tante note contenute nei Quaderni dal carcere, più precisamente quella riferita alla Beatrice dantesca che, precisa, trova il suo compimento non certo come donna reale e concreta, ma con la sua morte e la sua angelificazione, in pratica scomparendo…
Il grande studioso, continua Ghetti, ebbe più di una relazione d’amore, ed il suo aspetto dimesso abbinato, come è noto, ad un evidente difetto fisico non gli causò problemi nel rapporto con le donne, forse proprio perché lui non le cancellò mai, magari sublimandole dantescamente, ma le tenne sempre presenti: una sua – per gli altri uomini – curiosa abitudine era quella di non andare alle riunioni di partito con (soli) uomini, ma di andare in cucina e sfaccendare con le mogli dei suoi amici compagni.
Anche nella dottrina marxista leninista Gramsci individuò una matrice indubbiamente patriarcale nel momento in cui fece notare che Lenin curò che le operaie avessero la possibilità di avere accesso al lavoro in fabbrica al pari dei lavoratori uomini…ma senza che fosse loro garantita la possibilità di una buona istruzione di base…
Altro particolare evidenziato dall’autrice: Gramsci, rimasto presto orfano di padre, visse in una famiglia di stampo matriarcale, nella quale però le sue sorelle si erano date la funzione di badanti, viste le sue difficili condizioni fisiche.
Cosa ci viene presentato dello studioso sardo nei libri di scuola e nella cultura “ufficiale”, rileva la studiosa: elementi tratti dai Quaderni dal Carcere (documenti che Togliatti, vista la evidente eterodossia del pensiero gramsciano pensò bene di tenerli per sé fino alla morte), sempre e comunque volti alla creazione di una specie di santino antifascista, piuttosto che alla valorizzazione di una interpretazione del marxismo leninismo fuori dai canoni riconosciuti (e magari imposti…) e soprattutto capace di valorizzare finalmente il merito ed il ruolo della donna.
Il tono degli interventi del pubblico si è mosso all’interno di questa scia, in particolare quello di una studentessa del liceo scientifico di Viterbo, che ha nettamente evidenziato come tutt’ora la scuola ed in generale il sistema di istruzione sia spesso bloccato in una logica di tipo trasmissivo, quasi dogmatico, che di fatto impedisce lo sviluppo di un pensiero critico che provenga dal mondo femminile.
Che dire, se non che occasioni come questa danno finalmente la possibilità di prendere esempio da un pensiero divergente, molto molto utile in un momento in cui l’osservanza di regole “indiscutibili” è caldamente raccomandato per la salute pubblica (!) e per la “sicurezza”.
Saluti antifascisti a tutt*
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Riccardo Infantino – 25.9.2020
I rischi della democrazia
Il referendum istituzionale appena concluso con la preponderante vittoria del Si alla riduzione sostanziale del numero dei parlamentari – è opportuno ricordare che ha votato il 53,84% degli aventi diritto ed ha vinto il Si con una percentuale del 69, 64% a fronte del 30,36% del No – potrebbe porre due questioni fondamentali: che valore effettivo in termini di peso politico e di opinione ha un voto la cui partecipazione ha interessata praticamente la metà degli elettori, malgrado il risultato sia stato schiacciante?
Cosa pensa l’altro 46,16 % degli italiani che non è andato a votare, come mai non ha sentita la necessità morale, prima ancora che civile, di esprimere la propria volontà su un argomento fondamentale per la nostra democrazia parlamentare, vale a dire quanti debbono essere quelli che indichiamo come nostri rappresentanti?
Perdonatemi il ragionamento del tipo “se Cleopatra avesse avuto il naso più lungo Antonio non si sarebbe innamorato di lei e a Roma non ci sarebbe stata la guerra civile”: se fosse andato a votare il blocco dei non votanti quale sarebbe stato il risultato, avrebbero comunque vinto i Si (cosa probabile, vista la proporzione dei numeri rispetto ai No) oppure sarebbe stato diverso?
In occasione del referendum sull’acqua pubblica del 2011 la percentuale di adesione al voto raggiunse il 57%…perché anche allora poco meno della metà degli aventi diritto non si recò alle urne per un quesito di importanza forse anche maggiore del numero dei parlamentari?
Come mio solito lascio le analisi politiche a chi lo fa di mestiere, mi limito in queste poche righe ad esprimere i miei dubbi da semplice cittadino ed antifascista di strada, pensando che la vincitrice effettiva di questo referendum è, anche stavolta, l’Anonima Astenuti…e questo fortissimo raggruppamento può assumere posizioni imprevedibili.
Ultima considerazione sui rischi della democrazia: se si vuole davvero essere rispettosi della volontà che la maggioranza esprime alle urne si deve accettare un responso che proprio non ti va giù…e prepararsi a far capire a chi non ha votato come te che potrebbe aver scelto in modo non adatto per tutelare il diritto di tutti ad essere rappresentati in Parlamento; magari ci ripenserà e dopo essersi morso le mani ti aiuterà a ridurre le conseguenze di un taglio che non porterà se non una drastica riduzione della effettiva possibilità di portare la propria voce nell’organo legislativo, anche se sei una esigua minoranza.
Ovviamente armandosi di una pazienza da monaco tibetano…
Saluti antifascisti a tutt*
Riccardo Infantino – 5.9.2020
Distanze e Costituzione
Lunedì tre scuole su quattro riprenderanno le lezioni, in modo più o meno avventuroso, rispettando il nuovo dogma del distanziamento sociale…
Quanto durerà la separazione tra gli esseri umani non è dato saperlo…ma davvero è assolutamente necessario chiuderci ognuno in una bolla “protettiva” isolati dagli altri, frammentando la stessa convivenza civile raccontata dall’articolo 2 della nostra Costituzione?
Non cerco risposte, e sinceramente non voglio atteggiarmi a virologo o infettivologo improvvisato – per quello ci sono persone che si occupano per mestiere di batteri e pandemie, lasciamoli parlare, dato che ne sanno molto più di noi – , ma non posso fare a meno di pensare, da cittadino e da insegnante, a quello che disse Piero Calamandrei sulla scuola, definendola un organo costituzionale che avrebbe educata la classe politica del futuro.
Non metto al rogo le mascherine, né penso che non vi sia alcuna infezione, ma l’idea che questo anno scolastico che sta per iniziare instilli nei ragazzi l’abitudine ad un isolamento fisico che venga interrotto solo da una socialità virtuale mi preoccupa molto…
Contrastare una cattiva abitudine…forse dobbiamo insistere tutti nell’autoconvincerci che questa non può e non deve essere la normalità, per quanto possa essere prolungata nel tempo; un po’ come lo stato di guerra infinito, magari preventivo – come venne dichiarato 19 anni fa dopo il crollo delle Twin Towers – che rivela tutta la sua falsità nel momento in cui se ne vanno a cercare le ragioni, che non ci sono e non ci saranno mai.
Come diceva Aristotele nella Politica: l’uomo è un animale politico, e chi vive da solo o è una bestia o è un dio.
Saluti antifascisti e socializzanti a tutt*
Figlio di una società malata.
Un taglio e via
Riccardo Infantino – 5.9.2020
Forme di protesta
La morte volontaria per fame della attivista turca Helin Bolek, seguita da quella dell’avvocatessa Ebru Timtik è un masso in faccia che arriva a tutti, almeno a tutti quelli che hanno conservato la nozione del rispetto per la persona umana.
Come tutti quelli che in un modo o in un altro hanno compiute azioni di protesta per rivendicare i propri diritti mi chiedo se sia umano un modo di protestare che può arrivare all’autoannientamento, dopo il quale è sicura una ondata emotiva di compassione (la morte spaventa sempre, non neghiamolo), ma non è certa una onda lunga di coinvolgimento e di presa di coscienza che porti ad azioni meno estreme ma comunque incisive.
Nel 1963 un monaco buddista vietnamita si diede fuoco, circondato da un folto gruppo di confratelli, per protestare contro la discriminazione religiosa nei confronti del credo buddista in atto nel suo paese, ed in Cina (il cui governo, come noto, non ha mai avuto un eccessivo rispetto per chi voleva e vuole professare un culto) ad oggi 138 monaci hanno seguìto questo tragico esempio.
Tutti sappiano che praticamente in ogni città d’Italia esiste una piazza Jan Palach, lo studente che nel 1969 scelse questa orribile morte per protestare contro l’invasione delle forze armate dell’allora Unione Sovietica (e sette altri suoi compagni scelsero di morire in quel modo per lo stesso motivo).
Da giovanissimo studente alle prese con i versi del Purgatorio di Dante rimasi sorpreso quando lessi che Catone l’Uticense, suicida dopo che Cesare prese poteri assoluti a vita (in realtà finendo assassinato un anno dopo alle Idi di Marzo…) era a guardia della montagna del Purgatorio: le grandi religioni non prevedono che un essere umano si tolga la vita che gli è stata data proprio dalla divinità che di solito prega, se credente.
Eppure Dante stesso scioglie questo nodo: Catone, non potendo essere libero da vivo, lo fu da morto, preferì rinunciare alla propria vita piuttosto che alla libertà.
Proprio la libertà come valore che precede tutti gli altri conclude il discorso agli studenti della Statale di Milano di Piero Calamandrei nel 1955: a proposito del sacrificio dei partigiani che morirono per lasciare alle generazioni a venire un paese libero, disse che la Costituzione si trovava ovunque un italiano avesse data la propria vita per la libertà.
Non voglio certo inserirmi in un dibattito di dimensioni enormi, ma da semplice essere umano che nasce, come ci ricorda la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, libero e fornito di eguali diritti, mi chiedo se sia giusto nei confronti di se stessi e di chi ti sta intorno annientarsi nella speranza che chi ti sopravviverà saprà proseguire la battaglia per la quale hai data la tua vita.
Non aggiungo altro, non ho risposte e vorrei che qualcuno me ne suggerisse.
Saluti antifascisti a tutt*
Riccardo Infantino – 28.8.2020
Come cambieremo (?)
Il refrain che risuona sui media ufficiale e non è: l’emergenza Covid 19 necessariamente cambierà tutto il nostro modo di vivere e di concepire i rapporti umani ed interpersonali, dobbiamo aspettarcelo.
Da buon (quasi) empirista eretico non sono del tutto convinto di questa – come la chiamerebbe Pasolini – mutazione antropologica, forse perché non accetto l’idea che una emergenza sanitaria conclamata diventi la “normalità” a livello planetario.
Nella Storia (sempre quella con la “S” maiuscola…) i grandi cambiamenti hanno funzionato nel momento in cui sono penetrati a livello di coscienza collettiva, come il fatto di passare da una famiglia patriarcale allargata di tipo contadino (basta vedere la scena del pranzo in Novecento atto primo) ad una di tipo mononucleare, tipica della società industriale, stipata con altre in casermoni di alloggi popolari costruiti in quelle che diverranno le periferie urbane di cui parla Gaber quando canta le gesta del Cerutti al bar del Giambellino.
Profittando del fatto che gli arresti domiciliari collettivi sono terminati sono tornato anche io a mescolarmi con i miei simili umani, e francamente, a parte un nemmeno troppo esteso ossequio alle prescrizioni sanitarie sul distanziamento sociale e sull’uso delle mascherine di protezione non ho trovati cambiamenti profondi: individualisti inguaribili eravamo e tali siamo rimasti…
Il mantra della sicurezza sanitaria: mi verrebbe da dire che c’è una battaglia in corso in Rete ed in particolare sui social network combattuta a colpi di foto e filmati che mostrano da una parte l’inevitabilità delle misure anti contagio e dall’altra il loro essere, in realtà, armi di condizionamento che ci porteranno quanto prima ad un regime monocratico di ipercontrollo globale di massa e dei singoli, magari attraverso microchip sottocutanei impiantati…mi sono preso la briga di vederne una scelta da entrambi i fronti, e sinceramente non mi pare (soprattutto i secondi, ma lo porgo come mio parere strettamente personale) che le ragioni addotte siano proprio tutte da cestinare come idiote, liberticide o complottarde…
A proposito di regimi autoritari su base sanitaria all’orizzonte mi viene in mente quello che diceva a lezione Franco Gaeta, il mio professore di Storia Moderna alla Sapienza di Roma: non è stato Mussolini a mettere la camicia nera all’Italia, ma è stata l’Italia ad inglobare il partito fascista.
Forse questa nostra suprema capacità di adattamento non adattamento potrebbe essere la via di uscita dal pericolo di un convincimento di massa della necessità del prevalere della sicurezza sulla libertà e sui diritti?
Saluti antifascisti a tutt*
Il covid non esiste.
La politica dello scarto.
Riccardo Infantino – 22.8.2020
La ordinaria emergenza
Le pubblicità riflettono il modo di pensare di un determinato momento storico; penso a quando, ormai più di venti anni fa, venne mandato in onda il primo spot dove si vedeva l’uomo che stira e che conquista una donna con la cucina.
Quei pochi secondi di un video promozionale contribuirono non poco a incrinare la concezione della divisione del lavoro tra compiti maschili e femminili, ed anche se su questo argomento (e non solo) stiamo tornando indietro almeno una parte dell’opinione pubblica ha finalmente compreso che parlare di lavori da uomo e lavori da donna non ha molto senso, soprattutto se si pensa che gli orientamenti sessuali sono ben più di due.
Nelle rare volte in cui mi capita di vedere la televisione (che ho accantonata ormai da più di dieci anni) a casa di parenti o amici sono rimasto colpito da un promo che presenta all’inizio due persone prive di mascherina sul volto, che parlano evitando accuratamente di toccarsi, e subito dopo altri due personaggi che la mascherina la indossano e concludono lo spot facendola vedere in bella evidenza.
Questa pubblicità viene trasmessa in ore di grande ascolto, e la logica conclusione che se ne può trarre è una sola: la distanza di sicurezza ed il conseguente isolamento interpersonale sono ormai parte della nostra quotidianità, al punto da entrare anche negli spot promozionali.
Già…il nostro bel paese è famoso per trasformare inevitabilmente l’emergenza in condizione di stabile “normalità”, atteggiamento che è prima di tutto una forma mentale, ed anche pericolosa, molto…
L’unico modo per non cadere prigionieri di questa forma mentale (che ti predispone ad accettare in modo definitivo decisioni emergenziali e provvedimenti più che restrittivi, motivati da un effettivo stato di emergenza – transitorio, come vuole la legge, che delimita a sei mesi rinnovabili una sola volta lo stato di emergenza – ) non è comportarsi irresponsabilmente non rispettando i protocolli minimi di sicurezza (il pericolo di una nuova diffusione del contagio c’è, sarebbe da idioti negarlo).
La via di uscita dalla potenziale assuefazione è il tenere sempre presente che si tratta di misure eccezionali, che non devono rientrare nella normalità della vita quotidiana, ma sono, per loro natura, transitorie.
Una volta chiarito questo sarà meno facile accettare supinamente provvedimenti che sospendono i diritti invece di limitarli (come prevede la carta costituzionale), o magari considerare “normale” che un soggetto politico unico emani decreti legge che bypassano il Parlamento, l’organo legislativo per definizione (almeno fino a quando non verrà decurtato, riducendo così il suo potere di effettiva rappresentanza democratica), ma soprattutto non si accetterà la pericolosa seduzione del decisionismo rapido, unico modo per risollevare il paese a terra…e poi (poi quando?) si tornerebbe alla democrazia parlamentare…
Nella mentalità comune si annida da sempre un pericolo: l’uomo forte (invocato da Vittorio Feltri non molto tempo fa) per necessità, che attraverso un uso altruistico di poteri allargati farà senz’altro il bene dei cittadini…che si dimenticano come il potere della sovranità popolare – l’unico concepibile in una vera democrazia – è in ognuno di noi e nella nostra totalità, senza bisogno di pericolosissime deleghe molto, troppo ampie.
Ce ne ricorderemo alle elezioni e nella nostra pratica quotidiana di cittadini?
Speriamo proprio di si.
Saluti antifascisti a tutt*
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Riccardo Infantino – 15.8.2020
Dove si può lavorare
L’Italia è una repubblica democratica fondata sullo smart working…che ne pensate di una eventuale modifica al primo articolo della carta costituzionale, decisamente in sintonia con i tempi che stiamo attraversando?
Come tanti altri anche io ho affrontati i mesi dei domiciliari collettivi (perdonatemi, ma non riesco a definire in altro modo il lockdown dei mesi passati) facendo lezione on line, e mi sono posto tante belle domande, sempre pensando che si trattava di una situazione emergenziale che non dovrebbe assumere caratteristiche di normalità.
Cosa vuol dire “lavoro intelligente” (smart working), quali sono gli spazi più adatti per svolgerlo, come cambia la scansione degli orari e del tempo individuale, e soprattutto su chi pesa maggiormente.
In un documentato articolo di Sandra Burchi ho trovate le risposte che cercavo: non bisogna prima di tutto confondere lo smart working (il lavoro intelligente, che può anche svolgersi in una struttura dedicata in modo completamente ottimizzato e salutare per il lavoratore – ndr -) e l’home working, il lavoro a casa…e qui iniziano i problemi: per lavorare tranquilli senza interruzioni forzate – soprattutto nelle riunioni on line, di cui si è fatto uso ed abuso in questo periodo, è necessario anche solo un piccolo angolo della propria abitazione da destinare solo a quello scopo…già, ma quanti di noi possono avere la fortuna di disporne e di poterlo utilizzare senza essere interrotti di frequente per le questioni più varie collegate alla vita quotidiana e alla gestione familiare?
Altro grave problema: la connessione; qui tocchiamo un punto dolente della nostra infrastruttura delle comunicazioni: quando ci sentiamo sbandierare che ormai quasi tutto il territorio nazionale è coperto dalla banda larga e che la fibra ottica è destinata ad arrivare a tutti non viene chiarito che escluse le grandi città le velocità di connessione – soprattutto in momenti di uso particolarmente intenso – subiscono rallentamenti e blocchi, dato che viaggiano non di rado su cavi non sempre di ultima generazione.
Le piattaforme più utilizzate per le videolezioni sono nate in paesi come gli Stati Uniti o la Svezia dove, mi si passi l’espressione, anche i lavandini hanno una connessione quanto meno veloce.
Ultimo, ma non meno importante, il fattore tempo: abbiamo tutt* sperimentato che non è affatto vera la storiellina che nell’home working ci sia una migliore gestione del tempo lavoro; complici le fisiologiche e molteplici interruzioni delle attività ed una scansione cronologica delle fasi della giornata che viene per forza alterata dalla onnipresenza del fattore lavoro proprio nel luogo dove lo si teneva fuori dalla porta (magari per insegnanti e liberi professionisti non è esattamente così) quello che era l’orario determinato da scansioni temporali più o meno fisse (quasi un fantozziano timbro del cartellino) si è improvvisamente dilatato in modo non di rado invasivo, generando una sfasatura tra tempo effettivo di attività svolta e retribuzione per nulla corrispondente (che dovrebbe, ci ricorda l’articolo 36 della Costituzione, essere proporzionata alla quantità ed alla qualità del suo lavoro); un po’ come quando ci hanno riempite le orecchie con il lavoro a progetto, senza però ricordarci che il dover soddisfare una consegna entro una determinata data può significare nel migliore dei casi arrivare al traguardo in anticipo sui tempi previsti, e magari senza troppo fatica…oppure essere costretti a dilatare i tempi magari per buona parte della giornata ed oltre, dati gli imprevisti che possono sempre presentarsi.
Ho iniziato ad occuparmi di lezioni a distanza e di scuola digitale più di dieci anni fa, e questo mi ha permesso di gestire tutto sommato agevolmente questi mesi di lezioni on line…ma comunque alla fine anche per me c’è stata una dilatazione dei tempi di lavoro, se pure non eccessiva.
Le nostre abitazioni e le nostre città non sono state pensate, in origine, come adatte all’home working, in termini di organizzazione degli spazi e di semplicità e qualità di accesso alla connessione (che è uno dei diritti nuovi e cruciali che occorrerà definire anche in sede costituzionale), e soprattutto non si è ancora verificato un significativo cambio di mentalità: il lavoro in Rete, nella sua fluidità, ti obbliga a metterti in discussione e a ridefinire ogni volta il modo di agire; nella famiglia presuppone una divisione dei compiti equa, chi è impegnato in un dato momento nell’attività al computer deve essere messo in condizione di farlo dall’altra persona – in altre parole è necessaria una percentuale paritaria di distribuzione del carico domestico tra i componenti la coppia -, e dove fosse necessario servirebbe l’aiuto di una struttura pubblica – baby sitter, aiuto significativo con i genitori anziani in difficoltà, solo per fare due esempi – che purtroppo non è arrivato in modo completamente incisivo.
Il risultato è stato che le donne hanno pagato il prezzo più alto di questa forzata trasformazione in digital worker: molte hanno ripiegato sul part time per fare fronte alle incombenze familiari – il part time come salario, non come quantità di lavoro… – e troppe hanno direttamente mollato il lavoro per seguire i figli nelle attività scolastiche, riproponendo il dilemma (costruito) tra famiglia e carriera, che a me ricorda molto l’altro, egualmente truffaldino, tra sicurezza-salute e libertà-diritti.
Se noi uomini leggessimo meglio la Costituzione ricorderemmo che i principi di eguaglianza e di assistenza reciproca sono tra i cardini fondamentali della nostra democrazia (ora sospesa), e magari agiremmo di conseguenza; una curiosità da studioso della Storia: nelle coppie omosex si pone lo stesso il problema?
Saluti antifascisti a tutt*
Riccardo Infantino – 8.8.2020
Segrete trasparenze
La vicenda della secretazione dei verbali del Comitato Tecnico Scientifico contenenti le motivazioni che hanno portato al lockdown si è appena conclusa con un atto di disponibilità e saggezza politica: Giuseppe Conte ha tolto il segreto di stato su quelli che, nel ricorso presentato dagli avvocati della Fondazione Einaudi, sono stati definiti atti amministrativi e non politici (in altre parole: documenti che rientrano nella prassi per la gestione delle emergenze, dunque soggetti all’obbligo della trasparenza); subito dopo la presentazione della istanza al TAR la Presidenza del Consiglio, come in una reazione a catena l’ha contestata di fronte al Consiglio di Stato, sostenendo la non opportunità della diffusione pubblica dei verbali con motivazioni di ordine pubblico e di sicurezza nazionale.
La legge sulla secretazione degli atti pubblici, (entrata in vigore nel 2007 e aggiornata nel 2008) riconosce come suscettibili – per un periodo fino a 15 anni, prorogabile fino a 30) di essere coperti da segreto di stato e dunque inaccessibili se non ad una ristrettissima cerchia di persone quei documenti che, se resi pubblici, metterebbero in pericolo l’integrità delle istituzioni e la sicurezza generale del paese, e tra queste circostanze è compresa anche la sfera sanitaria.
Una eventuale decisione del Consiglio di Stato a favore della non pubblicità dei verbali avrebbe mutata inevitabilmente la concezione stessa di trasparenza degli atti di governo, uno dei presupposti della democrazia: quello che viene deciso dai delegati a rappresentare i cittadini deve essere palese e sotto gli occhi di tutti; come diceva Norberto Bobbio la democrazia è il governo del potere visibile.
Come cittadino non contesto la proroga dello stato di emergenza fino al 15 ottobre (visto l’andamento della curva dei contagi è palese che ancora non siamo affatto fuori dalla pandemia), ma sono sinceramente preoccupato per la tenuta della nostra democrazia parlamentare, che prevede le due Camere come supremo organo legislativo, ed il mantenimento dei diritti fondamentali – con alcune circoscritte e ben chiare limitazioni – anche in caso di emergenza nazionale.
Attraverso la decretazione di urgenza è di fatto possibile scavalcare Camera e Senato…e chi mi garantisce che questo potere monocratico non scivoli nell’abuso strutturale e nella modifica del meccanismo costituzionale, in una emergenza che si potrebbe protrarre molto oltre i termini previsti dalla legge sulla protezione civile, vale a dire sei mesi più una sola proroga di altri sei?
Una ultima cosa: nel decreto di prolungamento della emergenza è stata prorogata di altri 4 anni la permanenza ai vertici del COPASIR (l’agenzia nazionale delegata alla sicurezza del paese) della ex opposizione (ora al governo) a cui, secondo la normativa, spettava la direzione di quell’organo proprio in quanto opposizione…già…ma ora che non lo è più?
E soprattutto: come sta mutando la percezione del cittadino comune riguardo il presupposto fondamentale del nostro ordinamento, il bilanciamento ed il controllo reciproco dei poteri, perché nessuno prevalga o scavalchi l’altro, nemmeno in situazioni di emergenza?
Mi auguro che a pochi venga in mente di pensare che le leggi le fa un uomo solo, magari per il bene comune…la Storia insegna qualcosa di molto diverso.
Saluti antifascisti a tutt*
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Seicento volte di più
Riccardo Infantino – 31.7.2020
Chi resiste campa cento anni
Mentre fiorivano da ogni dove i messaggi di sincero e sentito (…) cordoglio per la morte del neocentenario Gianrico Tedeschi mi è venuto in mente l’altro grande resistente centenario, il partigiano Pietro Ingrao, scomparso nel 2015.
I due baldi ragazzotti hanno avuta in comune, oltre la veneranda età, un comune percorso culturale che li ha portati dallo studio nelle istituzioni fasciste alla loro ben nota militanza di segno contrario.
Facevano parte della seconda generazione di antifascisti, che vissero la strana e particolarissima esperienza di una formazione all’interno delle scuole di regime – dove in realtà agivano figure che introducevano, come i moderni virus trojan, semi di critica e di libertà attraverso i contenuti apparentemente intoccabili ed imposti – e di un approdare alla opposizione al medesimo regime proprio grazie alla cultura, che li mise in contatto con altri ragazzi di allora, che fecero gruppo ed iniziarono una efficace quanto capillare azione di contrasto.
Pietro Ingrao, dopo gli studi liceali classici e la laurea in giurisprudenza, partecipò ai Littoriali, competizione culturale che faceva conoscere tra di loro giovani di tutte le province italiane e, di fatto, favoriva la creazione di una rete di scambio di idee ed esperienze, che provocò, e non solo nel caso di Ingrao, la nascita ed il rafforzamento di una avversione ad un pensiero unico che aveva la folle presunzione di voler rendere innocui gli stimoli di libero pensiero che i grandi del passato sono sempre riusciti a proporre, aggirando con la loro forza le maglie di qualsiasi censura.
Gianrico Tedeschi, come lui stesso ha detto, scoperse la vacuità dell’apparato fascista dopo essersi arruolato – lasciati gli studi universitari – nella campagna di Grecia, che si dimostrò una caccia ai partigiani inesistenti…a quel punto rifiutò di aderire alla Repubblica di Salò, venendo per questo internato in un campo di prigionia.
Lí, prosegue il racconto dell’attore, allestí per sopravvivere uno spettacolo teatrale sfruttando i due unici testi di Pirandello ed Ibsen che aveva nello zaino al momento della sua deportazione, in particolare l’Enrico IV pirandelliano che mette in scena la pazzia simulata come difesa dalla follia dell’ambiente nel quale si è immersi…questo eclatante riferimento alla ideologia nazifascista ebbe nel campo di prigionia un grande successo, anche tra le SS che lo gestivano…
Il resto è storia per entrambi…
Cosa può insegnare a noi contemporanei, soprattutto in questo pericoloso frangente di sospensione della democrazia e attribuzione di poteri scarsamente controllabili ad una sola persona, la storia di un uomo destinato alla politica ed uno al teatro?
Che l’unica possibilità di sopravvivenza che può avere la democrazia, intesa nel suo senso piú genuino di sovranità popolare, è il mantenere il contatto con la cultura (per sua stessa natura libera e assai difficilmente manipolabile fino in fondo), con la sua diffusione a livello capillare; ma soprattutto che la condizione naturale verso la quale tende l’essere umano non è quella dell’uomo solo al comando, che solo apparentemente agisce in nome e per il bene del popolo che magari lo ha acclamato nuovo duce…la condizione naturale è quella della convivenza basata sulla solidarietà e sul rispetto dei diritti.
Saluti antifascisti a tutt*
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Imagine.
Riccardo Infantino – 22.7.2020
Vent’anni dopo
Come nel romanzo di Alessandro Dumas, nel quale lo scrittore mostra i cambiamenti nelle vite dei quattro moschettieri, i vent’anni del G8 di Genova del 2001 che saranno trascorsi l’anno prossimo evidenzieranno in che modo si è evoluto il rapporto tra i cittadini, il dissenso e la forza pubblica.
Sono stato a Genova nel luglio del 2011, nel decimo anniversario del G8, ed ho avuta la ventura di conoscere il giornalista Mark Kovell (che più di altri ha subìta la violenza dei manganelli di ordinanza) e Vittorio Agnoletto, persona coerente e lucida.
Ho anche parlato con alcuni ragazzi (nel 2001) che sono passati dalla caserma di Bolzaneto, e mi riferirono di torture organizzate e sistematiche, come poi è stato confermato dalle inchieste giornalistiche, dalle testimonianze attendibili delle vittime di quella inaudita e fascista ferocia e dalle indagini di Enrico Zucca, finito nel mirino della censura della Magistratura a motivo di alcune sue affermazioni riguardo le richieste del governo italiano al generale Al Sisi su Giulio Regeni: “Lo sforzo che chiediamo a un Paese dittatoriale è uno sforzo che abbiamo dimostrato di non saper fare per vicende meno drammatiche. I nostri torturatori, o meglio chi ha coperto i torturatori, come dicono le sentenze dalla Corte di Strasburgo, sono ai vertici della polizia, come possiamo chiedere all’Egitto di consegnarci i loro torturatori?”.
È ben noto come non si sia trattato di un episodio isolato, di atti criminali compiuti da singoli esaltati dalla divisa che indossavano, ma di quella che Amnesty definì la più grande sospensione dei diritti umani in Italia dopo la seconda guerra mondiale: una repressione violenta, sistematica e diretta contro civili nella quasi totalità inermi, condotta in modo scientifico e pianificato, come emerge dalla sentenza del Tribunale di Strasburgo del giugno 2017, affiancata dal parere della Cassazione (il supremo organo giudicante), che parla esplicitamente di accantonamento dello stato di diritto.
Non è mia intenzione ripercorrere quello che è stato indagato, approfondito, documentato e criticato, il mio intento è vedere cosa è rimasto nel sentire del nostro paese di quel buco nero dove sprofondò la democrazia vera.
Dicevo all’inizio di questo articolo che fui a Genova nel decimo anniversario del G8, e compresi subito che era (ed è) una ferita ancora sanguinante, considerato poi che, di fatto, gli organizzatori di questo scempio non hanno pagato per le proprie responsabilità, ma sono stati collocati in posizioni apicali della pubblica amministrazione.
Sembrava che non si potesse invocare la verità, a parte qualche voce coraggiosa e dissenziente come quella di Carlo Gubitosa, che nel libro Genova nome per nome ricostruisce, attraverso fonti ufficiali e testimonianze dirette, cosa accadde in quei giorni di follia antidemocratica.
Proprio a questo libro è ispirato uno spettacolo teatrale realizzato alcuni anni fa (non ho trovato in Rete il file video, ne posseggo una registrazione personale di qualità non proprio eccelsa) che vidi al Teatro Comunale di Vignanello, e quando accesi la mia più che amatoriale telecamera per conservare un ricordo della serata fui avvicinato dall’autore che mi chiese se fossi un funzionario della DIGOS…perché qualche sera prima a Firenze un solerte agente aveva registrato la performance per vedere se potesse contenere spunti magari sovversivi…
Nell’ottobre del 2011 partecipai alla grande manifestazione che si tenne a Roma in Piazza San Giovanni di Dio, e come a Genova una carica spezzò in due il corteo (stimato di cinquecentomila persone), ed iniziarono manganellate…mi trovavo sulla scalinata della basilica vicino ad un disabile, e ricordo bene il momento in cui un pool di avvocati – ben riconoscibili da una pettorina fosforescente – ci portò al sicuro da una nuova violenza…ricordo anche gli atti vandalici di alcuni manifestanti – quelli meritevoli di arresto, non la stragrande maggioranza delle persone, ad esempio intere famiglie scese in piazza -, che inspiegabilmente non vennero fermati dalle solerti forze dell’ordine, ma lasciati ben due ore a commettere danni – poi stimati in oltre un milione di euro -, come ci chiedemmo piuttosto sbigottiti in una successiva assemblea al Teatro Valle Occupato, che vide la partecipazione del grande Stefano Rodotà.
Nel corso di questi ormai diciannove anni abbiamo tutti assistito ad un pericoloso (per la libertà democratica, ovviamente) mutamento di funzioni della forza pubblica, o almeno di quella sua parte che utilizza la violenza oltre i limiti e le motivazioni che la rendono inevitabile: strumento forte di repressione del dissenso, oltre che tutela della sicurezza del cittadino; sembra di parlare di un soggetto affetto da comportamenti schizofrenici o quanto meno bipolari.
I disordini e la successiva repressione verificatisi in queste settimane dopo la morte di George Floyd, soffocato dal ginocchio di un agente di polizia, sono stati ricollegati a quel processo di manganellamento della democrazia iniziato proprio a Genova nel 2001, e prima ancora a Seattle…mi chiedo se la violenza di alcuni tra i manifestanti non sia altro che una reazione alla brutalità di una repressione pubblica che vorrebbe (?) impedire la discussione e la risoluzione delle capitali questioni dell’ambiente, della distribuzione delle ricchezze, del clima.
E alla fine cosa porterebbe cercare di sostituire un meccanismo globale, che fa delle guerre per le risorse e del silenziamento feroce di ogni dissenso le proprie costanti, con un metodo analogo, non si rischierebbe di perpetrare lo schema precedente cambiandolo di segno?
Saluti antifascisti e non violenti a tutt*
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Riccardo Infantino – 13.7.2020
La memoria del nostro futuro
Titolo ad effetto (ma se non fosse così a cosa servirebbe un articolo) per parlare del senso che potrebbe avere la rievocazione del venticinquesimo anniversario del genocidio di Srebrenica, nella Bosnia Erzegovina, perpetrato tra l’11 ed il 13 luglio 1995 da un contingente militare comandato dal generale Mlatko Radic (condannato all’ergastolo dal tribunale internazionale de L’Aia).
Si tratta del primo genocidio (almeno 8000 civili di credo musulmano eliminati e gettati in fosse comuni in poco più di 48 ore) documentato dopo lo sterminio nei lager nazisti, qualcosa più grande di quattro volte quello di Marzabotto, eseguito con una rapidità ed una ferocia forse superiori a quelle già conosciute in passato.
Con una aggravante: le milizie dei Caschi Blu ONU, ai quali era stato dato il compito di proteggere la cittadina di Srebrenica – che aveva accolti ventimila profughi di fede islamica in fuga dalla pulizia etnica in atto nella guerra della ex Jugoslavia – chiesero aiuto alla organizzazione internazionale prima – erano un contingente di 500 soldati, le truppe che assediarono ed invasero la città per attuare lo sterminio contavano alcune migliaia di unità – e alla NATO subito dopo, senza avere risposta (e lo stesso Elia Wiesel, sopravvissuto ad Auschwitz, chiese all’allora presidente Bill Clinton di intervenire, ma non fu ascoltato).
I risultati sono visibili nella spianata del mausoleo di Potocari, che riporta in ordine alfabetico i nomi delle vittime (maschi dai 12 ai 77 anni) di una pianificata pulizia etnica iniziata alcuni anni prima nei campi di prigionia e mirante ad eliminare la presenza dei bosniaci di fede musulmana in tutta la regione della Bosnia Erzegovina, al fine di ottenere una popolazione “pura”.
Non credo sia necessario ricordare gli illustri precedenti di questa concezione…a cosa potrebbe servire commemorare uno sterminio di cui ancora non si conosce l’esatta dimensione (come per la Shoa…)?
A richiamare l’attenzione della pubblica opinione sulla colpevole neutralità tenuta in determinate occasione da organizzazioni governative ed istituzioni e sulla disumana pericolosità di un processo che inizia sempre considerando “diverso” chi non la pensa come noi; il passo successivo è il convincimento che quel “diverso” rappresenta comunque un pericolo; la soluzione finale (questo credo sia il termine adatto) è la creduta necessità della neutralizzazione fisica di questo nemico.
Senza trascurare che una città di quarantamila abitanti prima dello sterminio accolse un numero di profughi pari alla metà della sua popolazione.
La memoria del futuro potrebbe essere l’antidoto alla disumanizzazione scientificamente e mediaticamente pianificata, soprattutto se sostenuta dal continuo ricordare i diritti umani fondamentali, quelli espressi (un attimo prima della Carta Universale dei Diritti), dalla nostra carta costituzionale, in particolare nell’articolo 2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. “
Saluti antifascisti a tutt*…e torniamo umani.
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Una torta
COLPO D’ALA
Riccardo Infantino – 8.7.2020
Può un flash mob aprire le menti?
Credo proprio di si, soprattutto se è condotto in modo diretto ed originale, come è stato per quello della associazione Kyanos, tenutosi a Viterbo il 4 luglio scorso sulla tematica dello stupro.
L’iniziativa, al di là dell’essere meritoria come tutte quelle che pongono attenzione su questa piaga, correlata all’altra dell’assassinio delle donne, è stata particolarmente originale e toccante perché ha coinvolto anche l’elemento maschile nella sua parte più sana, quella non conforme al regime patriarcale che considera la donna (e gli altri orientamenti sessuali non maschili) come un oggetto da fare e disfare.
Al centro della scena una donna che indossava un velo rosso ed una maschera anonima – eguale a quelle sui volti delle ragazze che, in cerchio le erano intorno; accompagnava la performance una musica percussiva coinvolgente, che ha fatto anche da sfondo alle parole, scandite attraverso un megafono, che identificavano lo stupro come una forma di tortura (lo riportavano in pratica alla sua vera e terribile essenza)
La parte più sorprendente – il filmato dura 7 minuti e vale la pena di vederlo tutto con la massima attenzione – è stata l’ingresso in scena di un ragazzo che si è scoperto il torace ed ha innalzato – al pari delle donne che erano in cerchio – un cartello che poneva una domanda semplice quanto profonda: se io uomo sono mezzo nudo circondato da donne e mi sento tranquillo, perché non dovrebbe essere così anche per loro?
Non voglio dire altro, se non raccomandare di vedere il filmato (anche se l’audio non è ottimale), perché c’è molto molto bisogno di iniziative come questa per intaccare una cultura patriarcale e maschilista che non è maschile.
Come è stato dichiarato dalla speaker al megafono “Il vero femminismo è antifascista”.
Saluti antifascisti a tutt*
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Riccardo Infantino – 4.7.2020
L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro?
“L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”: così si apre la Costituzione.
E prosegue, nell’articolo 4: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”
Nel periodo di blocco totale appena concluso – nel quale, detto per inciso, è stata attuata una sospensione dei diritti fondamentali quando la Costituzione in realtà prevede solo una riduzione, anche in periodi di emergenza – il lavoro è stato una delle vittime più illustri, in particolare quello femminile.
Proprio il lavoro della donna è una delle parti fondamentali della carta costituzionale, più precisamente all’articolo 37:”La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. “
A cosa mira tutto questo mio farraginoso e noiosissimo elenco? A focalizzare come, ancora una volta, i diritti non siano stati compiutamente realizzati secondo il principio di eguaglianza, forse quello da cui sono generati tutti gli altri alla base della nostra attualmente offuscata democrazia.
La parlamentare Chiara Gribaudo espone dati che con il lockdown sono addirittura peggiorati: con una situazione di partenza che vede il 73% degli uomini occupato a fronte del 63% delle donne, ed una differenza di salario che arriva al 20% in meno (siamo nell’ordine dei 2700 euro l’anno) il problema che si presenterà in tutta la sua imponenza entro i prossimi due mesi sarà il tracollo della occupazione femminile, o meglio della sotto occupazione: centinaia di migliaia di donne praticamente obbligate allo smart working in orario teoricamente part time ed effettivamente full time, oltre alla ben nota piaga del ritiro coatto dalla attività di lavoro come prezzo pagato per la maternità, data la carenza strutturale di supporti alla famiglia quando non ci siano le preziose figure dei nonni, che rappresentano, di fatto, un sostituto concreto di una struttura pubblica carente.
Dal punto di vista strettamente numerico la forza lavoro femminile è in molti campi superiore a quella maschile (è una questione di andamento demografico, nascono più femmine che maschi), e se non si porrà rimedio concreto in un tempo accettabile si rischia di avere una situazione nella quale la forza lavoro attiva non basterà a coprire le necessità delle famiglie e conseguentemente la tanto decantata ripresa della economia non si verificherà; senza dimenticare poi l’altro effetto collaterale, ma non meno importante, il crollo delle nascite: contrariamente a quanto si potrebbe pensare il maggior numero di figli è nella parte Nord del paese, dove le donne lavorano di più (e possono, con i partner, mantenere dignitosamente i propri bambini); a Sud la natalità è in drastico calo, per mancanza di mezzi.
Saluti antifascisti a tutt*
L’illusione.
Due minuti.
Sembrerebbe questo il resoconto della giornata di ieri del leader della Lega, almeno a leggere le notizie sui giornali. Con lui che accusa i contestatori di appartenere alla sinistra dei centri sociali e addirittura asserviti alla camorra. Ma la vera notizia secondo me, non è affatto questa, la notizia è un’altra. La notizia è nel contenuto di quanto detto da Salvini in quei due minuti, perché oltre la sua battuta: “grazie perché fa caldo, mi dai una mano” rivolta ad un contestatore che gli lanciava dell’acqua, c’è altro molto altro. C’è la scarsa o nulla, conoscenza della istituzione e dei diritti dei cittadini italiani, cosa secondo me inaccettabile da parte di chi vorrebbe guidare un paese. “Le case a chi la merita…un lavoro a chi lo merita…” eh no caro Salvini, non ci siamo proprio, non funziona così…a chi merita? Ma merita cosa? Ma cosa vai dicendo? Ma la costituzione la conosci? Il trattato di Lisbona, lo conosci? E tu vorresti guidare una nazione?
Articolo 1 della Costituzione:
L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro…
Articolo 4 della Costituzione:
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
Per cui caro Salvini, non a chi lo merita, ma il lavoro è un diritto di tutti, non esiste un giudice, un essere superiore che decide chi merita cosa, tutti hanno il diritto ad un lavoro…ma logicamente la tua azione politica, volta continuamente a cercare contrapposizioni, a creare nemici, non si smentisce, neanche quando si parla di lavoro.
Stessa identica cosa per il diritto alla casa:
Articolo 25 della dichiarazione dei diritti umani: Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo… all’abitazione.
Il diritto all’abitazione è il diritto economico, sociale e culturale ad un adeguato alloggio e riparo. È presente in molte costituzioni nazionali, nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e nella Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali art. 31, uno dei primi documenti a farne menzione esplicita, nel Trattato di Lisbona art. 34.3.
Due minuti, in soli due minuti, Salvini è riuscito, nonostante le proteste, a dimostrare quello che è…
Riccardo Infantino – 27.6.2020
Quando la Costituzione ha diciotto anni
Durante lo svolgimento di questi esami di stato disinfettati al punto da essere batteriologicamente puri, praticamente sterili (…), ho avuto modo di notare la forte presenza, oltre alle tradizionali materie (mi perdonino pedagogisti e ministri per il mio linguaggio vintage), della Cittadinanza e Costituzione.
Profittando del mio mestiere di prof ho cercato di capire come un diciottenne, un cittadino da pochissimo maggiorenne, poteva vivere e cosa si aspettava dalla nostra carta costituzionale; e qui ho avuta una bella sorpresa: questi neo adulti che ancora devono mettere entrambi i piedi fuori dalla scuola conoscono molto bene i princìpi costituzionali (i lavori che hanno presentati all’esame ne sono la dimostrazione), e soprattutto molti tra loro ne hanno maturata la coscienza attiva: detto in altre parole più semplici non solo li hanno studiati, ma li mettono in pratica attraverso il proprio comportamento.
Nella parte dell’esame dedicata alla alternanza scuola – lavoro ci hanno parlato di esperienze di volontariato, di partecipazione ad iniziative umanitarie per italiani e non italiani, di incontri con altre culture che li hanno cambiati ed arricchiti.
Lo devo proprio dire, mi hanno colpito positivamente, mi ha colpita la loro capacità di non perdere la speranza e la fiducia in un cambiamento verso una buona direzione anche dopo la pericolosissima sospensione dei diritti fondamentali che è stato necessario (?) affrontare.
Ancora una volta tornano attualissime le considerazioni di Piero Calamandrei, che definiva la scuola (pubblica) come organo costituzionale, ribadendo che se è vero che deve formare la futura classe dirigente deve essere aperta a tutti, senza lasciare indietro nessuno…e se andiamo a vedere bene l’organo costituzionale per eccellenza, il Parlamento, è eletto da tutti attraverso il suffragio universale, che nessuno lascia indietro.
Saluti antifascisti a tutt*
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Il problema è Sgarbi?
È stato più volte eletto parlamentare: XI, XII, XIII, XIV, XVIII legislatura, ha fatto parte di diverse amministrazioni comunali, tra le quali quella di Milano. Dal 9 dicembre 1992 al 24 dicembre 1993 è stato sindaco di San Severino
Marche. Dal 30 giugno 2008 al 15 febbraio 2012 è stato sindaco di Salemi. Dall’11 giugno 2018 è sindaco di Sutri e ha poi ricoperto vari incarichi.
Le immagini di ieri, quelle di un uomo portato via di peso dal parlamento, sono quelle che non vorremmo mai vedere, sono quelle che ci fanno vergognare di chi dovrebbe rappresentare le istituzioni e invece le infanga. Offese gravissime, con parole irripetibili, rivolte ad alcune colleghe: “vaffan…”, “stro…”, “tro…”
e questo sarebbe un uomo delle istituzioni? E non è certo la prima volta che accade, il personaggio in questione è famoso per le sue urla, per le sue scenate, per i comportamenti indegni del ruolo ricoperto…ma siamo certi che il problema sia lui? Certo è che ognuno è responsabile delle proprie azioni, per cui spero venga sanzionato in maniera esemplare….ma ripeto: il problema è realmente Sgarbi? Questo soggetto è stato eletto per ben cinque volte in parlamento e per tre volte Sindaco…qualcuno lo avrà pur votato no? Ci saranno degli elettori che avranno la responsabilità di essere rappresentati da questo “uomo”? Oppure è lì per grazia ricevuta e nessuno è colpevole? Questo “uomo” lo chiamano nelle trasmissioni televisive proprio per i suoi comportamenti al limite della decenza, per fare ascolti….ma se lo chiamano per questo, vuol dire che la gente lo guarda, che lo segue…ma allora il problema è veramente Sgarbi? O gli elettori/spettatori che lo sostengono?… Credo sia il caso che qualche domanda cominciamo a farcela.
Gabriele Busti – 21.6.2020
Il sindaco Sala
– per anni si riempie la bocca di nuove tecnologie e modernità virtuale in salsa managerial-renziana
– durante la pandemia è costretto ad aggrapparsi mani e piedi al telelavoro dopo che viene imposta la chiusa degli studi professionali perché la gente continuava ad ammassarsi nelle metropolitane nel mentre che c’erano mille morti al giorno
Passati due mesi, il sindaco Sala un bel giorno si svegliò e si accorse che molti dipendenti erano contenti della svolta: il telelavoro avrebbe potuto affrancarli dalla schiavitù di dover pagare un affitto mostre in una delle città più care d’Europa, nel frattempo stavano risparmiando migliaia di euro, la loro vita non era condizionata dagli spostamenti, avanzava un po’ di tempo libero, la condizione era un po’ meno ansiogena e deprimente.
Alla fine della fiera, il tutto si tradusse in un drastico calo dell’indotto: il posticino dal nome esotico che allestisce insalatone in pausa pranzo paga anch’esso un affitto monstre per occupare locali prossimi agli studi professionali ancora deserti, le metropolitane non sbigliettano più, gli esercizi commerciali pagano pegno, la bolla speculativa intorno alla grande capitale moderna comincia a dare segni di cedimento…
Appurato tutto questo, terrorizzato dalle mazzate, il sindaco Sala accese la webcam e si mise a sciorinare una paternale indegna di un padroncino anni Cinquanta: “basta smart working, tornate a lavorare!” Che sono, codeste cazzate virtuali? Basta con questa retorica sulle nuove tecnologie, sulla modernità virtuale in salsa managerial-renziana! Dovete tornare a mangiare i tramezzini!
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Riccardo Infantino – 13.6.2020
La caduta degli dèi
Tra un impegno e l’altro di lavoro per il fine anno scolastico e per i prossimi esami di maturità occhieggio la vicenda della polemica sull’abbattimento delle statue considerate pericolose potenziali ispiratrici di comportamenti schiavisti, razzisti e contrari ai più elementari princìpi democratici.
Di pari passo si vorrebbe (e si è iniziato a fare) agire con i film eliminando Via col vento dal catalogo della casa di distribuzione HBO in quanto pellicola a sfondo razzista…
Torna di nuovo il problema, nel nostro paese forse più che in altri, della corretta metabolizzazione del passato, soprattutto se scomodo e riferito a periodi di eclisse dei valori democratici; potremmo prendere ad esempio il bel libro di Andrea del Boca – Italiani brava gente? -, che compie una scomoda quanto necessaria e documentatissima operazione di outing sui massacri compiuti durante le campagne coloniali africane, quando si prometteva agli abissini“un altro Duce, un altro re”.
L’archivio dell’Istituto Luce e Rai Storia sono ricolmi di filmati d’epoca dell’abbattimento delle statue e dei mussoliniani testoni, segno della caduta del fascismo dopo l’8 settembre 1943; è impressionante vedere la foga della folla che tira giù dai piedistalli (in senso proprio e metaforico) il simbolo principe del ventennio…la stessa folla che il 10 giugno del 1940 aveva acclamato in delirio quel mascellone (così Flaiano chiamava Mussolini) che gettava il paese in una tragedia immane, parlando agli Italiani di cielo, di mare e di terra, mentre risuonava il terribile bisillabo “Duce, Duce”.
Tornando ai nostri giorni: è stata chiesta a Milano la rimozione della statua dedicata ad Indro Montanelli, fascista convinto per tutta la vita e consorte durante la campagna d’Africa di una minorenne di colore (da lui praticamente acquistata); l’eliminare la statua è stato presentato come un gesto catartico, liberatorio, capace di allontanare in modo definitivo (?) il fascio razzismo (perdonate le due parole di bruttissimo suono, ma sono collegate, come è noto a tutti) e magari anche quella schifosa cultura pedofila che pone l’Italia al primo posto nel mondo nel turismo sessuale.
Ho abitato a Roma fino ai 32 anni, in un quartiere – il Trionfale Prati – dove la maggior parte degli edifici ha la classica struttura di caserma dell’edilizia del ventennio: dovrebbero essere tutti abbattuti, così come Labaro o l’EUR, i due quartieri simbolo della urbanizzazione fascista.
Quale è il confine tra la necessaria eliminazione di oggetti e simboli pericolosi per un paese libero e la sistematica distruzione di un passato che se spinto nell’oblio è di certo destinato a ripetersi?
Quando Il Giornale pubblicò l’edizione italiana del Mein Kampf sollevò una ondata di proteste (ANPI compreso) per giustificatissimi motivi di pericolo apologetico del nazi fascismo: se leggiamo quel libro vediamo che il totalitarismo razzista, antisemita e liberticida è presentato come la più efficace delle medicine alla crisi dei valori politici, morali e sociali, che un uomo forte risanerebbe scavalcando le lentezze di una democrazia ormai esangue (siamo nel 1925 o nel 2020?).
Ne venne chiesto il ritiro in quanto pericoloso, ma da buon empirista eretico alla Pasolini pensai (e me ne assumo la piena responsabilità): è stato un bene che un giornale di tendenza anti democratica diffonda un testo del genere, perché se la maggior parte degli italiani avrà la possibilità di leggerlo potrà vedere a quali aberrazioni disumane porta la seduzione dell’uomo forte (che proprio da quella testata è stato invocato da Alessandro Sallusti).
Nella lingua latina la parola “monumento” (monumento) deriva da “monito”, “esortazione”; avere sempre sotto gli occhi alcuni tra i segni più indicativi dell’antidemocrazia potrebbe essere il vaccino (altra parola tanto di moda…) migliore per non cedere alla tentazione di affidarsi nelle mani “sicure” di un “grande” uomo che lavori per il bene del popolo, e che per questo ha bisogno di tutti i poteri…insomma, un monito, una esortazione a non abbassare mai la guardia, consapevoli che il pericolo fascista sarà presente fino a quando tutti non avranno raggiunta la consapevolezza della necessità dei diritti e della eguaglianza.
Saluti antifascisti a tutt*
Le statue si buttano giù durante le rivoluzioni.
Deve esserne accaduta una e non ce ne siamo accorti. L’unica che mi viene in mente è quella anticipata da Pasolini nei primi anni Settanta. Per quello che possa importare, il sottoscritto, da ateo, socialista, iconoclasta, eretico, immoralista, si dichiara fermamente schierato dalla parte della reazione, in difesa del diritto degli esseri umani a condividere le idee del proprio tempo e del proprio luogo senza l’obbligo retroattivo di dover darne conto a un’invasata marmaglia totalitaria intenta a segare il ramo su cui poggia, in tutto e per tutto identica a quegli estremisti islamici tunisini che qualche anno fa volevano distruggere le vestigia storiche romane di Cartagine “perché tutto ciò che è successo prima della rivelazione di Maometto è abominevole e va cancellato”. Si vuol rimuovere il passato senza averlo letto, capito, assimilato, superato. La rimozione è un mancato superamento, il rimosso ritorna sempre in forma di incubo, lo si sa da un centinaio di anni.
Vado a oliare il mortaio che tengo in cortile, fatevi avanti.
Governo ladro.
Governo affamatore del popolo.
Governo che non dà un centesimo.
Governo che fa morire di fame.
Governo delle sole promesse.
Governo inadeguato.
Governo di incapaci.
Governo amico dei poteri forti.
Governo amico delle banche.
Governo zerbino dell’Europa.
Ma si dai, prendiamocela col governo, tutta colpa sua…alla fine il detto “piove, governo ladro” avrà pure un significato no?
E gli italiani invece? Non tutti eh, parlo di quelli che fanno i furbetti, di quelli che, come vedono la possibilità di arraffare qualcosa si trasformano in bestie fameliche, di quelli che pur di arraffare non si fanno scrupoli, di quelli che: tanto paga pantalone…chi se ne frega se ci sono quelli che hanno realmente bisogno… Pensate che in soli due mesi e mezzo l’Inps ha trovato 2.549 aziende che hanno fatto richiesta della Cassa integrazione illegalmente. Capite 2549, non una o due…queste logicamente sono quelle che l’INPS è riuscita a scovare, chissà a quante invece è andata bene. Quante staranno sfregandosi le mani, per essere riuscite a “fregare” quei “ladroni” al governo.
Aziende inesistenti o che non facevano parte dei settori colpiti dal lochdown, hanno cominciato ad assumere zii, sorelle, fratelli, amici, cognati. In moltissimi casi con assunzioni retroattive per far risultare i dipendenti in servizio prima del 17 marzo, (altrimenti non avrebbero avuto diritto alla Cig)
Dovete sapere che a causa del Covid-19 le ore di Cig richiesta nel 2020, solo ad aprile ammontano a 860 milioni, in tutto il 2019, le ore sono state 260 milioni.
Ma che tipo di aziende hanno fatto le furbe? Dentro ci sta di tutto: un’agenzia di pompe funebri che subito dopo il lockdown aveva assunto 30 persone, logicamente subito messe in cassa integrazione. Ce ne è poi un’altra che è stata costituita due giorni dopo il “blocco” e in poche ore ha assunto circa 30 cittadini del Bangladesh, ma non finisce qui: diversi stabilimenti balneari che hanno assunto come bagnini, i parenti e persino il consulente del lavoro…capite? Il consulente del lavoro. Pensate sia finita qui? Eh no perché ci sono anche 1.200 Co.co.co assunti solo per beneficiare dell’indennità da 600 euro. Senza contare poi, quelli che sono stati messi in cassa integrazione, ma che hanno continuato, volontariamente o meno, a lavorare in nero.
Governo ladro? O Governo da spremere come un limone? I soldi non bastano per tutti? Magari se fossimo più popolo e meno ladri, se pensassimo che quei soldi, quei pochi soldi, sono per chi ha veramente necessità, se una volta tanto fossimo comunità e non mettessimo noi davanti a tutto…questo sarebbe un paese migliore…a prescindere da chi ci governa.
Non vedo, non sento, non parlo.
Inni al Duce.
Saluti Romani.
Risse tra manifestanti.
Lancio di oggetti e fumogeni contro giornalisti e forze dell’ordine…
Senza contare poi il totale mancato rispetto delle più elementari norme di sicurezza per prevenire i contagi da Covid-19.
Questa destra, questi neo fascisti, questi delinquenti devono essere fermati e sanzionati. Non si deve rimanere in silenzio, certi atteggiamenti vanno condannati con fermezza e invece dai due leader di Lega e FdI, il silenzio assoluto, non una parola, niente di niente. E mentre al Circo Massimo è in atto una vera e propria guerra, la Meloni si fa i selfie a Civita di Bagnoregio e Salvini manda un abbraccio a nonna Fatima che a 108 anni sconfigge il virus.
Una destra che fa finta di non vedere, che fa finta di non sentire, che non dice una parola sui gravi fatti di ieri, non è né cieca, né sorda, né muta, è solo complice, ma cosa possiamo aspettarci da partiti al cui interno ci sono consiglieri comunali che inneggiano a Trump e
lo esortano a sparare sui manifestanti negli USA?
Riccardo Infantino – 6.6.2020,
Per una democrazia digitale
Una fondamentale questione che i domiciliari collettivi e la successiva semilibertà (perdonate i termini carcerari, ma ho avuta questa impressione) di massa hanno posta in bella evidenza è l’accesso alla Rete di buona qualità garantito per tutti.
Non è una faccenda nuova, emersa solo in occasione della pandemia ancora non risolta: almeno dal 2010 ne parlò Stefano Rodotà all’Internet Governance Forum Italia, e nel 2014 fu propugnatore di una commissione – patrocinata da Laura Boldrini – che formulò la Carta dei Diritti di Internet, nella quale il diritto alla connessione – proposto come integrazione all’articolo 21 della Costituzione -viene inserito in un contesto giuridico coerente.
L’uso di Internet nella sfera del cittadino non si limita, semplicemente, al portale della ASL dove si prenota una visita medica, oppure a quello della circoscrizione per la richiesta di un certificato, o magari ai servizi di banca via Rete; complice l’obbligo del distanziamento interpersonale le videochiamate o anche la semplice messaggistica (Whatsapp e simili) accompagnata da foto e video ha costituito un surrogato (non definitivo, si spera) efficace dei contatti umani nell’universo fisico.
Altra funzione importante del digitale e della Rete è quella di costituire un luogo di controinformazione: al netto delle considerazioni sulle fake news (e sui vergognosi propositi di creare una commissione governativa per la loro individuazione e cancellazione – una sorta di comitato per la verità assoluta ed indiscutibile, altro che Orwell e il Ministero della Verità – ) con un pochino di sano spirito critico si possono scovare nel digitale le voci fuori dal coro, unilaterali e faziose, perché no, ma comunque sano contraltare alla informazione dei media ufficiali, del mainstream, come usa dire oggi.
Ho avuta, tra le mie varie fortune, quella di conoscere ad una conferenza a Roma Giulietto Chiesa, uno che di indipendenza di giudizio se ne intendeva parecchio, ed ascoltando le sue parole non di rado taglienti e definitive ho pensato che nella difesa di un diritto così essenziale come quello di informazione, di accesso ad una molteplicità di fonti in contrasto tra di loro, non si può e non si deve essere moderati; altrimenti si commette lo stesso errore di chi pensa che il fascismo è sì un pensiero totalitario, ma ha fatte anche molte cose buone…e no ragazzi, non ci siamo!
La democrazia digitale non può esistere a metà, tutti dovrebbero avere pari accesso alla Rete con le adeguate attrezzature ed una connessione di buon livello; l’articolo 2 della Carta dei diritti di Internet (che si pone come necessaria integrazione al principio di libera informazione acquisita e prodotta, sancita dall’articolo 21 della Costituzione) recita:
“Ogni persona ha eguale diritto di accedere a Internet in condizioni di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e aggiornate che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale. “.
La democrazia piena ed effettiva passa dunque da un accesso al digitale garantito e responsabile; sarà il senso civico e la maturità dei cittadini a filtrare ciò che è vero da ciò che è falso, non certo un sedicente team di esperti che pensa al posto nostro.
Saluti digitali ed antifascisti a tutt*
Massimo Erbetti – 6.6.2020,
Emergenza abitativa?
Emergenza abitativa un par di palle, qui l’unica emergenza è quella della legalità.
Ieri su twitter è apparso un post:
“#Raggi che vuoi mettere in strada 20 famiglie italiane, ti ricordo che fra un anno l’ettenzione mediatica e la scorta spariranno e tu tornerai ad essere la nullità che eri, ma il tuo nome resterà in eterno scritto nel libro nero dei camerati.
Che hanno buona memoria.”
Per cui voi non lo sapevate, ma esiste un” libro nero dei camerati” e questo dovrebbe farci preoccupare non poco. Questo dovrebbe farci capire contro chi ha dovuto combattere la Raggi in questi anni. Quel post fa rabbrividire, ma vediamo chi sono alcuni degli occupanti in emergenza abitativa del palazzo in Via Napoleone III: (L’elenco è preso dal Fatto Quotidiano) “.. due dipendenti del ministero Economia e Finanze, ente proprietario dell’immobile. La prima, D.D.G., è una donna di 41 anni impiegata presso la Direzione centrale sistemi informativi e innovazione, che fra il 2014 e il 2017 ha dichiarato un reddito imponibile di Latina di circa 17mila; la seconda S.G., invece è un’altra 41enne, che lavora alla Ragioneria territoriale dello Stato ma che nel 2017 ha dichiarato solo 11mila euro di reddito. C’è anche F.C., dipendente del Policlinico Gemelli di Roma e uno stipendio medio annuo di 20mila euro.
Poi ci sono i dipendenti di Regione Lazio e Comune di Roma. D.N., impiegato 54enne di LazioCrea Spa, con 19mila euro di imponibile, è sposato con E.C., dipendente della municipalizzata capitolina Zetema, 17mila euro di reddito. Sempre in Zetema lavora M.C., 17mila euro annui. S. P. invece, è una dipendente Cotral, la società dei trasporti della Regione Lazio. Nel 2016 è stata candidata al Comune di Roma nelle liste della tartaruga frecciata: dichiara in media 27mila euro l’anno, mille euro in più del marito, che lavora sempre in Cotral. Dipendente diretta del Comune di Roma è invece S.C., con uno stipendio medio annuo imponibile che si attesta sui 22mila euro…. ”
Capito? Questi sono gli occupanti di quel palazzo, queste sono le persone in emergenza abitativa di cui si parla nello scandaloso post su twitter. Questi sono i bisognosi che secondo lo squallido individuo del post, la Raggi avrebbe buttato in mezzo alla strada.
Ognuno tragga le proprie conclusioni, ognuno si faccia un’idea in merito alla questione…io la mia idea me la sono fatta…solidarietà a Virginia Raggi, unico sindaco di Roma che con coraggio ha fatto quello che a nessuno prima di lei è riuscito di fare e se il suo nome finirà davvero in quel fantomatico libro nero dei camerati non sarà altro che una medaglia d’oro al valore.
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Massimo Erbetti 1.6.2020,
Complotto e complottisti,
La mascherine fanno venire il cancro.
Il virus non esiste.
Il microchip nel vaccino.
L’uomo ha sconfitto i dinosauri.
Il Covid-19 si cura con lo yoga.
Il pap test serve a individuare il cancro al seno.
Per essere contagiati con un indice di 0,51 bisogna incontrare contemporaneamente due positivi.
L’emergenza sanitaria è una truffa dei poteri forti.
Il negoziante di videogiochi (finto farmacista) che fa diventare virale un video in cui afferma il “miracolo” dell’Avigan contro il Covid-19.
Di coronavirus, in Italia sono morte solo 3 persone.
E si potrebbe continuare per ore ed ore, con l’elenco delle assurdità che presunti “scienziati”, presunti “premi nobel”, presunti “medici” mettono in circolazione. Perché sta esplodendo questo fenomeno? Perché migliaia di persone danno per buone queste esternazioni? E cosa più importante, perché alcuni organi di informazione, danno voce a questa gente?E se dietro tutto questo ci fosse un disegno ben preciso? Affermare tutto e il contrario di tutto, screditare una notizia vera con altre cento false, creare confusione. Quando molte persone sono disperate, quando non riescono a capire i reali motivi della loro disperazione, sono disposte a credere ad ogni cosa pur di trovare un colpevole. Credo che l’unico complotto reale, sia quello di cavalcare l’onda della disperazione per soffiare sul fuoco della protesta. E i complottisti, consapevoli e non, sono solo uno strumento per creare l’unico virus a cui non c’è cura…quello della stupidità umana.
Riccardo Infantino – 22.5.2020.
Socialità e democrazia
Sulla costituzionalità o meno della nutrita schiera di decreti sfornati in questi ultimi mesi si sono espresse voci autorevoli e competenti, quali Sabino Cassese e Gaetano Azzariti, che da posizioni opposte hanno almeno elaborata una opinione circostanziata, in un oceano di interventi molto (come dire…) naif sui social.
Da (spero) buon cittadino che ha cercato di osservare le prescrizioni anti contagio (tra tanti dubbi, sorti dopo aver ascoltate voci esperte quali Tommaso Montanari) e partigiano (indegno…) della Costituzione voglio invece concentrarmi sulla vittima più illustre dell’isolamento da quarantena, la socialità, il sentirsi parte di un corpo di cittadini conservando la propria individualità personale.
Mi vengono in mente le parole di Hanne Harendt che descrive ne Le origini del totalitarismo (in riferimento ai regimi nazista e staliniano) la società deformata delle dittature: una massa unica ed informe che inglobava ogni essere umano, che perdeva così la propria individualità di persona e di cittadino, per scomparire in un orizzonte che prevedeva solo la conservazione dello stato totalitario e della sua spinta imperialistica.
La distanza sociale, qualora dovesse divenire l’ordinario, rappresenta l’opposto ed il complementare di quanto detto prima: le persone ridotte ad atomi separati ed isolati a breve (?) distanza, tutti protesi verso un unico, omnicomprensivo scopo: evitare il contagio, in vista di un prossimo vaccino miracoloso o terapia altrettanto stupefacente.
Diritti costituzionali oppure salute individuale e collettiva, ci è stato ripetuto, a volte con preoccupanti accenti paternalistici di lontana memoria, quando c’era chi si rivolgeva agli italiani come un padre severo ma dèdito a loro…la domanda è sbagliata in partenza, non può e non deve sussistere una alternativa del genere.
La nostra costituzione prevede la limitazione parziale dei diritti fondamentali, non la loro sospensione, magari a tempo indeterminato (quando arriverà il vaccino, tra un anno, due, non lo sappiamo…).
Fino ad ora lo stato di emergenza nazionale è stato dichiarato fino al 31 luglio, e può essere rinnovato una sola volta, pena il rischio concreto della scomparsa dei diritti fondamentali; al momento non è stata avanzata se non come ipotesi alcuna richiesta di proroga, per fortuna di tutti.
Speriamo che nelle istituzioni (e nei cittadini) prevalga il buon senso.
Saluti antifascisti a tutt*
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Riccardo Infantino – 16.5.2020.
SOS Scuola
Della scuola e dell’università si sta parlando anche troppo in questi giorni, quasi sempre in rapporto al contesto emergenziale che l’ha obbligata, volente e nolente (ci sono stati entrambi gli atteggiamenti in contemporanea, ve lo assicuro), a proiettarsi nella Rete per garantire un minimo di continuità umana, sociale e culturale.
Complice la condizione di cittadino tra gli altri cittadini agli arresti domiciliari ho ancora una volta cercato un minimo di conforto nella carta costituzionale, soprattutto per dare un senso al mio mestieraccio di insegnante filopartigiano ed antifascista, e in un discorso di Piero Calamandrei tenuto a Roma l’11 febbraio 1950, in difesa della scuola nazionale, come si diceva all’epoca.
Un passaggio che mi ha impressionato per la sua attualità e per la capacità di proiettarsi in avanti nel tempo (sono sempre convinto che i nostri Padri Costituenti avessero la palla di vetro…):
“La scuola, come la vedo io, è un organo “costituzionale”. Ha la sua posizione, la sua importanza al centro di quel complesso di organi che formano la Costituzione. … un organo vitale della democrazia come noi la concepiamo.”
Il motivo è semplice, prosegue Calamandrei: la scuola forma la futura classe dirigente, che deve provenire da tutte le classi sociali, senza distinzione, ed essere in ricambio continuo.
Senza troppi giri di parole vado al punto: la scuola come istituzione viva di persone è l’elemento di continuità di una società (si, la sparo proprio grossa, ma forse è così) che è stata messa in standby; anche continuando in una sorta di realtà virtuale ha dimostrato, ancora una volta, come si possa raggiungere tutti sempre e comunque, e mettere tutti nella condizione di partecipare all’attività primaria per un cittadino, quella di imparare a conoscere e custodire il paese di cui fa (o farà) parte.
Se non erro l’articolo 32 della Costituzione ci ricorda che la scuola è pubblica ed aperta a tutti, così è per la cultura in ogni sua espressione, letteraria, artistica e musicale.
Senza andare lontani Ezio Bosso, appena scomparso, ricordando le sue umili origini e la convinzione radicata che il figlio di un operaio l’operaio dovesse fare anche lui, ricorda come lo studio e l’impegno nella musica abbia costituita la motivazione di lotta alla discriminazione sociale e classista, che ha accompagnata tutta la sua troppo breve vita.
Saluti (reali e virtuali) antifascisti a tutt*
Strane coincidenze.
Accadono fatti, ne accadono sempre, ogni giorno. Fatti che sembrano non essere legati fra loro, ma è realmente così? Si forse, ma vale la pena elencarli, poi metterli insieme per poi magari scoprire che.. Ma andiamo per ordine. Fatto numero uno. Accade ad esempio che venga liberata una ragazza e che per la sua liberazione venga pagato un riscatto, poi però sembra che quel riscatto non sia stato pagato, almeno a sentire il Ministro degli Esteri, ma si sa i Ministri mentono, è proprio una prerogativa, una sorta di obbligo contrattuale. Se diventi ministro non solo devi giurare fedeltà allo Stato, insieme al giuramento e alla firma devi necessariamente firmare un altro documento che ti obbliga a mentire, per cui poco contano le parole di un Ministro della Repubblica, contano invece quelle di un terrorista, quelle di parole contano e anche parecchio, si sa i terroristi non mentono mai, loro sono persone serie, mica come i Ministri.
Poi però si scopre che forse, le parole di quel terrorista non possono essere vere, ma non per sua colpa, sembrerebbe, il condizionale è d’obbligo, in quanto a meno che non sia stata fatta una seduta spiritica, quel terrorista non possa averle pronunciate perché morto ormai da sei anni…vero? Falso? Non lo sappiamo, ma poco conta, quello che conta è aver insinuato il dubbio che un ministro possa aver detto una bugia.
Fatto numero 2. Il parlamento europeo vota a larghissima maggioranza una risoluzione in cui chiede, la realizzazione del Recovery Fund, un fondo per la ripresa da 2mila miliardi di euro, finanziato attraverso l’emissione di obbligazioni garantite dal bilancio UE. Un fatto storico, una cosa mai accaduta prima. Dovremmo essere tutti felici per questo, ci sarebbe da festeggiare e quelli che dovrebbero festeggiare maggiormente sono i sovranisti, sono quelli che mettono al primo posto gli italiani, quelli che “prima gli italiani”, quelli che si stracciato le vesti per il bene pubblico, ma accade che invece di festeggiare, che invece di pensare al l’italia, questi signori, non votino quella risoluzione, e no, perché prima degli italiani c’è qualcosa di più importante per loro, c’è la voglia di far naufragare il governo, il governo deve fallire ad ogni costo, perché se fallisce il governo, loro, prenderanno il potere e potranno fare ciò che vogliono e poco conta se per arrivare all’obiettivo, moriranno di fame tanti connazionali, se falliranno migliaia di aziende, se la disoccupazione schizzerà alle stelle, tanto la colpa non sarà stata mica loro.
Ma cosa c’entrano fra loro questi due fatti elencati? Apparentemente nulla vero? E se invece per una strana coincidenza, fosserò collegati? E se nell’intento di far naufragare il governo si usi qualsiasi mezzo? Ad esempio potrebbe essere che il pagamento del riscatto, la presunta gravidanza, il matrimonio e tutte le altre balle inventate sulla liberazione di Silvia Romano, siano state create ad arte per mettere in imbarazzo il governo e per far montare la rabbia dei cittadini. Così come il non voto ai Recovery Fund, ma a volte la macchina del fango e i sabotaggi, possono sfuggire di mano, può accadere che si scopra il gioco sporco e se questo accade è un serio problema, l’effetto boomerang potrebbe essere devastante…cosa fare per evitare che questo accada? Beh semplice, basta usare la solita arma di distrazione di massa…e qui entra in gioco il fatto numero 3, indire praticamente in concomitanza con il non voto al Recovery Fund, una bella manifestazione e quando se non il 2 giugno? La data non è casuale visto che è la festa della Repubblica e non c’è data migliore per quelli che dicono “prima gli italiani”. Ora si parlerà solo di questo, non ci sarà altro argomento, si parlerà del fatto che è assurdo fare una manifestazione in tempo di pandemia, che sarà impossibile mantenere il distanziamento sociale e loro diranno che non possono fare altrimenti, che sono costretti, perché il popolo è allo stremo e loro, i paladini del popolo non possono evitare far altro che protestare, perché è il popolo che glielo chiede. Risultato? Nessuno si ricorderà del non voto in Europa, tutti dimenticheranno le balle sulla liberazione di Silvia e loro continueranno ad essere i salvatori della partita.
Strane coincidenze? Decidete voi…
La complessità delle questioni
Per descrivere la distonia che avverto tra la complessità delle questioni che la società civile sarà costretta ad affrontare nei prossimi mesi e le sensazioni che mi provoca il dibattito sulla liberazione di Silvia Romano, azzardo un esempio relativo alla mia esperienza personale:
Terzo superiore, una classe nuova, tosta, piena di problemi e abituata malissimo per via di una serie di circostanze. Il programma prevedeva un’introduzione alla cultura medievale. Mi lancio nel tentativo di disquisire intorno al contrasto tra il “credo ut intelligam” agostiniano e l'”intelligo ut credam” tomistico. Era lo stesso libro di testo a proporlo. Finisco, li guardo, chiedo, ascolto, contestualizzo, argomento, penso: poteva andare peggio.
Due settimane dopo apro il pacco dei compiti in classe. Al primo foglio trovo scritto:
“s’antagostino”.
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Riccardo Infantino – 10.5.2020.
Ricordi del presente
Uno degli effetti degli arresti domiciliari da pandemia (forse ho esagerato, ma chiamarli quarantena non mi viene proprio…) è il riaffiorare di ricordi vecchi e nuovi, in particolare uno, legato al 9 maggio 1978.
Quel giorno ero in assemblea (non autorizzata, come era uso dei tempi) nel mio liceo, il Dante Alighieri di Roma, e da studentello di quinta ginnasio rimasi impietrito alla notizia del ritrovamento del corpo di Moro a via Caetani e della morte atroce (saltato in aria con la propria autovettura) del giornalista e consigliere di Democrazia Proletaria Peppino Impastato.
In quel momento feci fatica a collegare i due omicidi, stentavo a credere che il rapimento e la morte di Moro non fossero solo responsabilità delle Brigate Rosse (come poi dopo quaranta anni è emerso), e soprattutto non mi capacitavo di come si potesse essere così disumani nell’uccidere Impastato facendolo saltare in aria, al punto che del suo corpo rimase poco o nulla.
Molti e molti anni dopo conobbi la musica dei Modena City Ramblers, e nel 2011 andai a Formiggine, alla Casa dei Fratelli Cervi, ed ebbi la fortuna di ascoltare Cisco Bellotti, il loro ex cantante, nell’esecuzione de I cento passi…uno, due tre quattro cinque dieci cento passi…ancora mi risuona nelle orecchie e mi passa per la testa.
Pochi anni dopo ebbi un’altra fortuna: in una scuola di Viterbo partecipai ad un incontro con Rita Borsellino, che venne accolta con I cento passi; e da insegnante ormai a tre quarti della carriera noto con piacere e stupore che anche ragazzetti quattordicenni, nati nel 2006, conoscono e cantano I cento passi e Bella ciao.
Da professore vintage e da militante (forse indegno) dell’ANPI non posso fare altro che tirare una bella conclusione: i ricordi, quando parlano dei valori umani universali (e la carta costituzionale su questo si basa, non trovate?) hanno la capacità di attraversare il fiume delle generazioni e giungere fino al presente, per continuare magari a precederci nel futuro.
Serviranno anche loro nel nostro sforzo di riprendere a far camminare bel oltre cento passi questa democrazia attualmente sospesa e parcellizzata in miriadi di piccoli frammenti individuali.
Il 9 maggio 2020
Saluti antifascisti a tutt*
Pacco, doppio pacco e contropaccotto.
Il MES senza condizioni?
Beh beato chi ci crede, perché a quanto pare la sola differenza sta nel fatto che, mentre nel vecchio MES il cappio al collo te lo mettevano prima di entrare, ora te lo mettono quando sei già dentro.
E lo fanno in soli tre punti, al punto 3, al 5 e al 10. Cerchiamo di analizzare come, leggendo il nuovo testo.
Punto 3: “Le norme del Mes continuano ad applicarsi”, capito? Continuano a applicarsi.
Punto 5: “Il Mes applicherà anche il suo ‘Early Warning System’ Che Altro non è che il sistema di allarme preventivo sulla solvibilità del debitore, per assicurare il puntuale ripagamento del credito”.
E Infine, il punto 10: per ciascuno Stato membro richiedente assistenza finanziaria attraverso la linea di credito legata al Covid-19 l’approvazione del ‘Pandemic Response Plan’ da parte del Mes “segue quanto previsto dall’art 13 del Trattato” e cosa c’è scritto nell’Art 13 in questione? Al comma 1: “… Una volta ricevuta la domanda, il presidente del consiglio dei governatori assegna alla Commissione europea, di concerto con la BCE, i seguenti compiti:
… b) valutare la sostenibilità del debito pubblico. Se opportuno e possibile, tale valutazione dovrà essere effettuata insieme al FMI;”.
Al comma 3: “il consiglio dei governatori affida alla Commissione europea di concerto con la BCE e, laddove possibile, insieme all’FMI, la parola Troika vi ricorda niente? Il compito di negoziare con il membro del MES interessato, un protocollo d’intesa che precisi le condizioni contenute nel dispositivo di assistenza finanziaria. Il contenuto del protocollo d’intesa riflette la gravità delle carenze da affrontare e lo strumento di assistenza finanziaria scelto.”
E infine al comma 6: “Il MES istituisce un idoneo sistema di avviso per garantire il tempestivo rimborso degli eventuali importi dovuti dal membro del MES nell’ambito del sostegno alla stabilità.”
E questo sarebbe il MES senza condizioni a cui ci vogliono far aderire?… Valutate voi..
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Siete solo umani
E quando la curva del contagio scenderà
e i governi annunceranno che ce l’abbiamo fatta,
per favore
non tornate all’immortalità,
non indossate più l’abito da invincibili,
intransigenti,
insopportabili,
non dimenticate quello che avete provato.
Per favore
siate vulnerabili per sempre.
Continuate a cantare sui balconi
Continuate ad applaudire alle donne delle pulizie
alle cassiere, alle vostre madri.
Non dimenticate che siete solo umani
che siete fragili
e prendetevi cura della vita, del pianeta
e di tutti gli esseri del mondo
fino al giorno della morte
come se aveste imparato qualcosa.
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La politica dell’attacco.
La politica dell’attacco a prescindere, la politica della pura contestazione senza dare soluzioni, funziona e da risultati. Ma la colpa è di chi la fa, o di chi sostiene con i voti i leader che la fanno?
Oggi l’opposizione attacca duramente il governo per il protrarsi del distanziamento sociale e per una fase due blanda e poco coraggiosa, si accusa il governo per non far riaprire subito i ristoranti, i centri benessere, i parrucchieri, i bar, hanno torto? Hanno ragione? Il problema secondo me non è tanto questo, ognuno può esprimere liberamente la propria idea, ognuno ha una propria strategia, che può essere giusta o sbagliata… e poi siamo in democrazia e ognuno ha il sacrosanto diritto di esprimere il proprio pensiero. Il reale problema è la coerenza delle proprie affermazioni. Quelli che oggi accusano il governo della mancata riapertura, sono gli stessi che lo accusavano della mancata chiusura. Quelli che accusano di aver sottovalutato il problema: “è solo un’influenza” questa l’affermazione più contestata al governo ed hanno ragione, non era una semplice influenza, era molto, molto di più. C’è stato un errore di valutazione? Si forse c’è stato. Si poteva chiudere tutto già da fine gennaio? Si certo e se fosse stato fatto, forse il virus avrebbe contagiato meno persone. In molti accusano il governo di non aver sigillato l’Italia già dal 31 gennaio, giorno in cui è stata dichiarata l’emergenza sanitaria. Ma analizziamo un attimo i dati: “I primi due casi di Coronavirus in Italia, una coppia di turisti cinesi, sono stati confermati il 30 gennaio dall’Istituto Spallanzani, dove sono stati ricoverati in isolamento dal 29 gennaio. Il 26 febbraio sono stati dichiarati guariti.
Il primo caso di trasmissione secondaria si è verificato a Codogno, Comune della Lombardia in provincia di Lodi, il 18 febbraio 2020” (fonte governo.it).
Ieri 3 maggio sono morte purtroppo ancora 174 persone.
La prima vittima per Covid-19 in Italia c’è stata il 22 febbraio.
Per cui quelli che oggi vorrebbero aprire tutto, nonostante 174 vittime giornaliere, sono gli stessi che avrebbero chiuso l’Italia quando ancora non c’erano state vittime e i contagiati erano solo due…giudicate voi se tutto questo è un pensiero coerente o solo politica dell’attacco a prescindere e indiscriminato.
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Gasperino il carbonaio
Torno ancora su Chicco Mentana che ieri sera non ha riportato nel suo tg la sparata di Renzi sui morti di Bergamo perché a mio avviso questa piccola storia ignobile è, per quanto modesta, una perfetta mise en abyme della rappresentazione del potere in questa nazione.
– Renzi vuol sopravvivere posizionando il suo partitino personale al centro dell’arena politica per intercettare i desiderata di tutti i poteri industriali e finanziari che dipendono dalle decisioni del governo intorno alle commesse di stato
– Queste stesse lobbies sono padrone di una vasta fetta dell’apparato informativo
– Le limitazioni che la quarantena ha imposto ledono di fatto gli interessi economici di questi grandi gruppi finanziari e industriali
– La presenza di Conte e del Movimento cinque stelle ha rappresentato una maggiore autonomia della politica rispetto ai desiderata di questi gruppi di pressione
– RCS-Espresso-Mediaset-FIAT-Mediobanca puntano alla sparizione del movimento cinque stelle e magari alla sostituzione di Conte con qualcuno capace di venire a più miti consigli in merito alle tante questioni sul campo
– La7 appartiene al proprietario di RCS Urbano Cairo
– Renzi detiene una piccola ma significativa quota della maggioranza di governo. Le speranze per un futuro scacco alla presidenza del consiglio (o quantomeno per un condizionamento dell’attività di governo) sono,per il momento, in mano a lui
– Renzi deflagra con una gaffe agghiacciante che fa immediatamente capire all’opinione pubblica in un sol colpo la stura del personaggio e gli interessi di cui si fa pontefice
– In un posto normale i mass media si getterebbero in massa su questa immondizia dal sen fuggita, soffierebbero sull’indignazione pubblica quantomeno per motivi di audience. Basti solo pensare cosa sarebbe successo se qualcosa del genere lo avesse pronunciato, che so, Virginia Raggi
– Mente le bacheche dei social network si riempiono di sdegno,insulti e sberleffi, il direttore del TG di La7, pur dedicando alle discussioni parlamentari almeno metà della sua trasmissione, non fa neanche un accenno alla dichiarazione in questione. La mette letteralmente sotto silenzio
Ora, oggetto di questa mia pappardella non è una difesa del Movimento cinque stelle, un partito, a mio modesto avviso, abbastanza grottesco nella forma e incapace di prendere decisioni riguardo ai gangli principali del nostro tempo.
Inoltre, me ne frega abbastanza poco se Mentana butta via la sua immeritatissima fama di giornalista imparziale ed efficace intorno questo piccolo inutile scempio.
Il fatto è che questa piccola storia ignobile [di Renzi che sbraca sui morti e di Mentana che lo censura] mi ha fatto venire in mente una scena del Marchese del Grillo: Gasperino il carbonaio, diventato Marchese per volontaria impostura dell’originale, caccia a pedate l’amministratore contabile delle terre del suo alter ego dopo aver scoperto la cresta che il fattore faceva sulla vendita del carbone: “Se me freghi su questo, me freghi su tutto”.
Ecco, secondo me vale anche per Mentana, ad esempio quando vi dice che “Il MES sulle spese sanitarie va preso, sarebbe da pazzi non farlo”. Tra l’altro, era la stessa posizione di Renzi.
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Riccardo Infantino – 2.5.2020.
Bella Ciao e la ricomposizione della democrazia
Il sostantivo “ricomposizione”, mi è venuto spontaneo scrivendo di questo paradossale, singolare e assai partecipato Primo Maggio.
Non nascondo che vivere la festa del lavoro gli uni isolati dagli altri mi ha spiazzato non poco, ma alla fine, essendo l’essere umano un animale che si adatta – in particolare l’uomo partigiano (…) -, siamo riusciti a celebrarla degnamente, rispondendo anche a chi ne voleva fare una ricorrenza assai generalista dedicata ai morti per la pandemia, con il deprecabile risutato di sterilizzarla dal suo significato fondamentale, la vittoria della democrazia sul nazifascismo.
Tra una diretta streaming di Micromega ed una di Repubblica TV con gli interventi della nostra Carla Nespolo, di Gustavo Zagrebelsky, Paolo Flores D’Arcais, Cinzia Sciuto, Monia Ovadia e tutti gli altri mi ha colpito un video che univa le immagini di tanti ragazzi che cantavano, ognuno nella propria stanza, una strofa di Bella Ciao, divenuto ormai l’inno della Resistenza planetaria (eh si…).
L’effetto è davvero particolare: tante piccole immagini di ragazzi che cantano, in una realtà frammentata in particelle unite solo dall’occhio di chi guarda lo schermo.
Mentre guardavo percepivo che così in questo momento è la nostra democrazia: frammentata in ognuno di noi, e ognuno conserva e protegge la propria s durante questo isolamento coatto, con la speranza che al termine della …ntena (quaranta ormai non basterebbe più…) si ricompongano tutte le particelle per tornare ad un insieme unico, dato che la somma amalgamata delle singole parti esprime la massima potenza di un paese che può riprendere ad essere libero.
Del resto vale sempre l’esempio della società complessa: tante voci non di rado discordanti, che riescono a trovare un punto di unione nei valori del pluralismo e della libertà responsabile di ognuno.
Saluti antifascisti a tutt*
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Patrizia Farroni – 1.5.2020
Salvo D’Acquisto
Con un pochino di ritardo, su richiesta di Piero, scrivo qualcosa su Salvo D’Acquisto per chi ne sa meno di me. Oggi è il Primo Maggio, a Bomarzo ovviamente nessuno ha celebrato questa festa, tanto meno quella del 25 aprile. Voi penserete la causa sia il covid. No, la causa è ben diversa. Abbiamo un sindaco affezionato alla destra, Lega e Fratelli d’Italia, che chiaramente detesta il colore rosso, e non lo nasconde. La destra disprezza dal profondo del cuore le feste laiche della Repubblica che ricordano il sacrificio delle forze socialcomuniste in Italia e, come sappiamo, amano commemorare soltanto le foibe. Talmente ossessionati dalla Resistenza, che tralasciano anche di commemorare Salvo D’Acquisto, che certo non era comunista, e neanche socialista. La statua del vicebrigadiere però, ammazzato dai nazisti a Palidoro, vicino Roma, fu eretta due decenni fa nella omonima piazza di Bomarzo, per ricordare ai cittadini il sacrificio di un uomo morto come un santo, che fu profondamente cristiano, buono e generoso, tanto da dare la vita per il suo prossimo. Bene fece l’amministrazione comunale a erigere la statua, ma a nulla servi’, perché è stata completamente dimenticata non soltanto la statua, ma anche la storia del valorosissimo carabiniere. Egli si autoaccuso’ dell’esplosione avvenuta in una caserma nei pressi di Palidoro, dove i nazisti si erano acquartierati poco dopo l’8 settembre del 1943. Lo scoppio casuale di una bomba causò la morte di due soldati tedeschi e il ferimento di altri due. Immediata la risposta: con un rastrellamento nel paese, vennero catturati venti cittadini innocenti e condannati alla fucilazione. Salvo D’Acquisto, onde evitare che questo accadesse, si autoaccuso’ e morì fucilato, solo, eroicamente, sotto il fuoco nazista, gridando “Viva l’Italia”. Un episodio che ci riporta agli anni di quella terribile guerra, con tutta l’amarezza che ne consegue. Un eroe che meriterebbe ben più di una celebrazione annuale nel giorno della Liberazione, ma un convegno di studi, ad esempio, sul prezzo di sangue pagato dai cattolici durante la guerra per essersi rifiutati di seguire i fascisti nella loro criminale alleanza con i nazisti. Un aspetto delle Resistenza troppo spesso dimenticato. Dopo la guerra prevalse nel mondo cattolico una fretta liquidatoria di quell’esperienza, che aveva visto comunisti, socialisti, azionisti, cattolici e liberali collaborare fianco a fianco per salvare l’Italia dalla follia omicida delle truppe nazifasciste. Collaborare e morire insieme nel sogno di un’Italia democratica e pacifica. E però prevalsero le chiusure e le diffidenze ideologiche, e quell’intesa si ruppe ben presto con la cacciata delle sinistre dal governo. Quelle sinistre che più di ogni altra formazione pagarono il più alto prezzo in vite umane, animate dal sogno di una società fondata sull’uguaglianza e sulla giustizia sociale. La Chiesa cattolica, impaurita dall’Unione Sovietica, temette di perdere le sue prerogative sull’Italia, temette che il Pci e i socialisti potessero insorgere contro la repubblica democratica per instaurare una dittatura proletaria, che avrebbe negato alla Chiesa il diritto di promuovere le sue credenze religiose e di conservare l’enorme impero economico che ancora oggi detiene. In realtà questo pericolo, considerati gli equilibri internazionali dell’epoca, non esisteva. Possiamo dire che Togliatti non avesse alcuna intenzione di spingere in avanti la rivoluzione, e che non era prevista alcuna seconda tappa. Anzi, egli desiderava consapevolmente stabilire un’alleanza duratura con il mondo cattolico, che, giustamente, non considerava affatto lontano dall’etica comunista. Egli non aveva però sufficientemente calcolato la capacità di propaganda della neonata Democrazia Cristiana : ci fu infatti una vera e propria demonizzazione dei partiti del movimento operaio italiano da parte di un partito , quello democristiano, per niente intenzionato a cedere alcunché alla necessità riformista e redistributrice che animava il gruppo dirigente socialcomunista, e che riceveva finanziamenti dagli USA in funzione antisovietica e anticomunista. La guerra fredda, così era definita la guerra non guerreggiata tra blocco capitalista e blocco socialista, spezzava in tal modo drammaticamente l’unità delle forze popolari conseguita nella lotta antifascista. Dopo tanti anni possiamo dire che quella odiosa divisione, che ha dato mano libera a chi voleva imporre il proprio modello di sviluppo, e che portò velocemente l’Italia alle soglie del boom economico, non fu un progresso, ma una sciagura per il nostro paese. Per questo oggi biasimiamo la mancata celebrazione di un eroe cristiano come Salvo D’Acquisto e auspichiamo che i principi dell’uguaglianza tornino a riconoscersi come uguali, per allontanare i demoni della guerra e della barbarie. L’idea di una società libera dal bisogno, dallo sfruttamento, dalla violenza e dal conflitto viene oggi auspicata e invocata da Papa Francesco, in un grido disperato contro la barbarie consumistica ed egoistica delle società borghesi occidentali. E’ nostro dovere ascoltare le sue parole, ritrovando in noi la sapienza e la saggezza della nostra storia millenaria. Per costruire un mondo di pace.
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Hanno tutti ragione…
Si hanno tutti ragione…hanno ragione gli industriali, hanno ragione gli albergatori, i ristoratori, i parrucchieri, ha ragione la chiesa, hanno ragione i ragazzi, i negozianti…hanno ragione tutti quanti, così non si può andare avanti. Ripartire, uscire, bisogna tornare alla vita normale è vero, ma come? Le lamentele, le divisioni, le urla, gli insulti, servono a qualcosa? È forse colpa di Conte? Oppure del governo? Emergenza gestita male? Ma voi cosa avreste fatto? Quali sono le vostre ricette? Perché in questo momento ci vogliono risposte, non imprecazioni e lamentele…ci tengono chiusi in casa, ci hanno privato della libertà…vero verissimo…ma invece di lamentarvi, diteci cosa fareste voi, aprireste tutto? E poi? Cosa accadrebbe? Avete studi di esperti che assicurano o ci rassicurano sul fatto che la pandemia non riesploderebbe? l’Italia ha registrato il 90% dei decessi in più a marzo e aprile rispetto alla media dei cinque anni precedenti, il nostro Paese è il più colpito dalla pandemia, solo in Lombardia l’aumento dei morti è stato del 155% rispetto ai cinque anni precedenti, ben più impressionante il dato nella provincia di Bergamo che ha visto un aumento del 464%. Capite? Il 464% in più. Questa purtroppo è la realtà dei fatti. In questo dramma non siamo certo soli: a New York, i morti sono aumentati del 200%, a Madrid del 161%. Negli altri Paesi europei, in Belgio ad esempio, l’aumento dei decessi è del 60%, poi la Spagna con il 51%, i Paesi Bassi con il 42% e la Francia con il 34%. Questi purtroppo sono i numeri, questa la triste realtà…volete uscire? Lavorare? Ma non volete l’app per il tracciamento del virus…chiamate Angeli gli infermieri e i medici che rischiamo la vita tutti i giorni per salvare la nostra, ma tornando alla vita normale, non pensate che quegli angeli, tornerebbero a rischiare la vita, più di quanto facciano ora? E se i contagi tornassero ad aumentare? E se si tornasse ad avere più di mille morti al giorno? Ma le avete dimenticate le bare portate via dall’esercito? Non ci sono posti letto per tutti, ma anche se ci fossero? Sarebbe un buon motivo per riaprire? Non abbiamo una cura e senza cura, i posti letto e i ventilatori, potrebbero salvarne qualcuna, ma la maggior parte dei nostri anziani, continuerebbe a morire. La malattia non ce la siamo cercata, purtroppo è arrivata e ci ha sconvolto le vite…volete bene a questo paese? Lo amate? Lo amate veramente? Allora smettete di pensare che ci sia una soluzione semplice, che ci sia una bacchetta magica, che si possa risolvere il problema con una formuletta magica…siamo uomini…siamo vulnerabili…ci ammaliamo… possiamo morire e lo scopo principale del governo è quello di evitarlo.
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Riccardo Infantino – 24.4.2020.
Cosa ti aspetti dal 25 aprile?
Forse è la domanda che viene posta nel senso sbagliato, sarebbe meglio riformularla come:
Cosa si aspetta questo 25 aprile da te? _
Me la sto ponendo oggi, venerdì 24 aprile 2020, mentre scrivo il pezzo settimanale che spero sempre legga qualcuno, e lo faccio volutamente prima della giornata di domani, per essere il più immediato e spontaneo possibile._
Sento il 25 aprile che si aspetta da me un impegno quotidiano, mi dice: guarda che antifascista lo si è sempre, non ad orologeria, non dimenticarlo mai, soprattutto quando incontri un fascista…in quel caso (aggiungo io…) prova a infilargli in testa il seme del dubbio, hai visto mai capisse che gridare W il Duce è una minchioneria, come direbbe il grande Mastro Don Gesualdo…
Mi sta chiedendo anche di non smettere mai di essere avido di conoscenze e di notizie (vere…), dato che ogni dittatura si basa sulla non conoscenza – spesso voluta – e sull’accettare verità preconfezionate ad arte, molto più comodo che sacrificare del tempo per vedere come stanno le cose.
Ancora pretende da me di non smettere mai di considerare i miei simili un fine e non un mezzo, perché altrimenti finirei per usarli al solo scopo di affermare il mio sentimento antifascista, invece che utilizzarlo per condividere con tutti loro il valore della democrazia intesa come condivisione (e di nuovo magari provando a convincere anche chi nella sovranità popolare ormai non crede più, hai visto mai cambiasse idea…).
L’ultima cosa che il 25 aprile vuole da me e da tutti: non deporre mai la speranza, perché solo con la tenacia le cose alla fine cambiano, lo stiamo dimostrando in questo momento così duro per tutti noi, dato che continuiamo a tener duro, anche se in alcuni momenti sembra che non arrivi mai la fine di questa galera collettiva.
Chiedo ora io una cosa al 25 aprile: una volta cessata l’emergenza sorvegliami e dimmi se avrò pretesi nel modo giusto i diritti fondamentali che ora sono sospesi temporaneamente (?)…ma si possono sospendere i diritti imprescindibili?
Saluti più che mai antifascisti a tutt*
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Riccardo Infantino – 18.4.2020.
Perché non siamo ancora (del tutto) in un regime autoritario
Qualche riflessione sparsa sulla condizione della nostra forma politica attuale: possiamo diagnosticare un Parlamento fino a non molti giorni fa latitante e un Presidente del Consiglio che, volente o nolente, si è trovato a disporre di una somma di poteri spaventosamente cumulati insieme e li sta utilizzando come può per fronteggiare una situazione drammatica.
Precedente giuridico pericolosissimo, è chiaro, anche perché la Costituzione prevede, in quanto situazione del tutto eccezionale, solo lo stato di guerra all’articolo 78, dichiarato prima dalle Camere (e validato dal Capo dello Stato), che attribuiscono al Governo i poteri necessari.
Non c’è riferimento ad una emergenza sanitaria, è prevista solo la limitazione delle libertà fondamentali in nome della tutela della salute del singolo e della collettività in quanto bene imprescindibile (come recita l’articolo 32 della carta costituzionale), ma su questo i pareri sono discordi; in particolare Sabino Cassese sostiene la probabile illegittimità dei decreti cura Italia, paventando il rischio di una sospensione illegittima dei diritti costituzionali fondamentali che mai vanno toccati, neppure nello stato di guerra.
Per definizione il potere di un uomo solo al comando è dittatura (gli antichi l’avrebbero definita tirannide), ma cosa dividerebbe una emergenza democratica dal regime autoritario attuato e completo?
Confesso apertamente la mia ignoranza in materia di diritto costituzionale, ma da semplice cittadino ed insegnante che si documenta sono almeno riuscito a capire che malgrado la sospensione dei diritti fondamentali (libertà personale, associazione e spostamento) non siamo entrati in pieno in un regime autoritario perché ancora resta il diritto alla informazione ed alla controinformazione – l’essenza della democrazia è proprio il confronto delle opinioni -.
Proprio in questi ultimissimi giorni il presidente della Federazione Nazionale Stampa Italiana, di fronte ad una richiesta di bloccare tutte quelle notizie che potrebbero innescare panico tra la popolazione, ha risposto che il diritto alla informazione è intoccabile, e che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o a censure, come ricorda l’articolo 21 della Costituzione: insomma, ha rinviata la richiesta al mittente.
Ecco, siamo al punto nevralgico della questione: fino a quando sarà possibile arginare tentativi censori e praticare della seria e documentata informazione e controinformazione avremo la possibilità di attuare una rivalsa contro eventuali decisioni che travalichino lo spirito costituzionale, che pone al primo posto la persona e non lo Stato (l’opposto del regime fascista, per capirci), e reclamare, magari in dimensioni da massa critica (pia illusione? spero di no…), l’immediato ripristino delle libertà fondamentali di cui sopra al termine della emergenza sanitaria a base di multe, droni, controlli e qualche abuso (si, ci sono e sono documentati anche quelli).
Saluti libertari ed antifascisti a tutt*
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Riccardo Infantino – 10.4.2020.
Resistenza del corpo e della mente.
La non mobilità forzata di queste lunghe settimane ha avuto un effetto indiscutibile su tutti (quelli che hanno osservate le prescrizioni governative…): ragionare come magari da tempo non ci era concesso dai ritmi postindustriali casa – lavoro – casa – lavoro sulla importanza di conciliare il corpo e la mente.
Nello stile di vita neoliberista e capitalista che pone la competizione ed il profitto davanti alle persone siamo solo corpi produttivi (per chi?), nello stesso modo in cui in un regime autoritario ti vuole trasformare in corpo consenziente prima ed obbediente poi.
La forma di resistenza attuabile ora potrebbe essere il riaccordare la mente (che possiede le nostre convinzioni e la capacità di ognuno di porsi criticamente verso il mondo) con il corpo, che della mente è espressione tangibile per gli altri che si trovano intorno a noi.
In pratica dovremmo (uso il condizionale perché siamo esseri umani normali, non eroi certificati…) cercare di invertire la posizione cose – persone facendola diventare persone – cose; una volta fatto questo sarebbe più facile reclamare di nuovo il ritorno dei pieni diritti costituzionali alla fine dell’emergenza, dato che non è garantito che succeda automaticamente.
Valgono sempre, ieri come oggi, due considerazioni: la libertà viene prima della sicurezza (che è conseguenza della prima) e la persona umana – che nasce eguale alle altre e dotata di diritti – precede sempre e comunque i beni materiali e il mercato che li vende e dai quali trae profitto.
Sono un utopista?
Saluti antifascisti a tutt*
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Riccardo Infantino – 4.4.2020.
Resistenza e Resilienza.
Il periodo di quarantena (mi veniva da scrivere arresti domiciliari…) che stiamo tutti attraversando porta naturalmente a ripensare le proprie vite, tra una seduta di lavoro on line, una pulizia della casa ed un momento di intimità familiare.
Carla Nespolo, la nostra presidente nazionale, ci invita a raccontare via web “questi giorni partigiani”, scambiandoci frasi, canzoni, flash mob in Rete e soprattutto a festeggiare comunque il 25 aprile in tutti i modi che l’osservanza delle regole anti contagio permette.
Per forza di cose mi vengono in mente due princìpi cardine della nostra bellissima Costituzione: la libertà (di espressione, in particolare) e la solidarietà tra gli esseri umani, in pratica gli articoli 2 e 21.
Li vedo in forse quando leggo sui volti delle persone in fila per il cibo o i medicinali un’espressione di sospetto, non di rado paura che sfocia a volte in aggressività verbale (speriamo che tale resti…), oppure nella richiesta di un personaggio quale Burioni, a nome di un non meglio identificato Patto Trasversale per la Scienza, di oscuramento del sito Byoblu (gestito da Claudio Messora), che più volte lo ha invitato, invano, a esporre le proprie posizioni, in nome del pluralismo che proprio l’articolo 21 tutela.
Ancora una volta penso che i nostri Padri Costituenti abbiano avuta davvero la sfera di cristallo: forse prevedevano che le tentazioni liberticide in una situazione di reale emergenza non sarebbero mai passate di moda, e pensarono di metterci in guardia.
L’altro termine che può e deve essere collegato a Resistenza è Resilienza: la capacità – presente in ogni essere umano – di attraversare grandi difficoltà e situazioni dolorose potenziando la sua parte migliore invece che far crescere l’ostilità verso gli altri e la spinta all’egoismo che esclude chi non sia del tuo ristretto circolo.
Pensavo: i partigiani in qualche modo hanno sublimata l’energia e la forza morale impegnata contro il fascismo ed i fascisti di allora, mutandola in una corrente morale positiva che parlava di solidarietà e di eguaglianza, interrompendo appena possibile quella lotta armata e non che si rese necessaria per la liberazione dal nazifascismo.
Forse tutti noi siamo chiamati a questo duplice sforzo: riaffermare i diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino non appena sarà definitivamente passata questa tremenda pandemia, soprattutto il diritto alla informazione ed alla controinformazione.
Contemporaneamente tornare a pensare – in senso decisamento non liberista ed anche un pochino anticapitalistico – che una società sana è quella che non esclude nessuno e non si basa sulla competizione ad ogni costo (visti i disastri che ha provocato e sta provocando anche in questo momento di emergenza).
Saluti antifascisti a tutt*
Gabriele Busti 4.4.2020.
capitale e salute.
Siamo arrivati al dunque, nei prossimi due anni ne vedremo delle belle. A fine Novecento abbiamo assistito alla rottura del compromesso tra capitale e lavoro, alla vittoria schiacciante del primo sul secondo. Adesso la guerra è tra capitale e salute e arriva dritta al nocciolo della questione: il diritto all’esistenza.
Intendiamoci, non sarà certo la prima volta che il centro decisionale capitalista preferirà uccidere qualche milione di persone per salvaguardare il meccanismo di accumulo piramidale delle ricchezze (negli Stati Uniti pare stia già accadendo), ma sarà la prima volta in cui tutto ciò avverrà alla luce del sole e con l’assenso più o meno convinto di una parte consistente degli uccisi.
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Riccardo Infantino – 28.3.2020
I diritti del dopo pandemia
Nel nostro ordinamento costituzionale sono previste, riguardo i diritti fondamentali (libertà personale, libertà di movimento e di riunione) del cittadino, deroghe nel caso di emergenza nazionale, ma al momento attuale non esiste un chiaro quadro di riferimento legislativo che disciplini a priori l’applicazione di misure emergenziali necessarie a frenare situazioni come quella che tutti stiamo vivendo.
Nei due decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri si nota un grande sforzo, nel passaggio dall’uno all’altro, di ridurre il più possibile ambiguità ed incertezze che sono dannosissimi per i citttadini, che rischiano di essere sanzionati (o peggio) per comportamenti che non hanno una definizione di reato o violazione formulata in modo certo.
Nel primo (il 6/2020) si preventivava, all’articolo 2, la eventuale adozione di misure che andassero oltre il decreto stesso…in pratica si apriva la porta ad una indeterminatezza legislativa assai pericolosa, che demandava il potere decisionale di fatto ad un solo uomo, non coinvolgendo le opposizioni (come ci si aspetta in una repubblica parlamentare) e nemmeno la maggioranza e, in una certa misura, il capo dello stato.
Fortunatamente un arbitrio così grosso (e pericoloso per la struttura stessa dei diritti fondamentali) è stato ridotto con un decreto successivo (il 19/2020), che elenca in modo assai meno generico comportamenti da tenere e da evitare, e soprattutto che tipi di provvedimenti possano essere adottati dalle autorità.
In mezzo ai due testi si è generata una situazione difforme a livello di comuni e regioni, che hanno interpretato molto liberamente le deleghe che il primo decreto forniva agli amministratori locali: si è arrivati a preventivare l’utilizzo di droni di sorveglianza dei comportamenti della popolazione (insomma, the Big Brother is watching you, il Grande Fratello ti sta osservando, per vedere se fai il bravo o meno…).
Come si può facilmente intuire si rischia una grave violazione della sfera individuale, in aperto contrasto non solo con l’articolo 13 della Costituzione (la libertà personale è inviolabile) ma anche con il recente pacchetto normativo europeo sulla privacy.
Il problema si pone in particolar modo con la proposta di tracciare tramite GPS gli spostamenti delle persone, neanche avessimo tutti un braccialetto di segnalazione al polso o alla caviglia…come sempre ammetto la mia ignoranza (non sono un giurista, ma solo un misero partigiano antifascista della Costituzione, con tutti i limiti che questo comporta), ma a questo punto mi pare proprio che stiamo andando davvero troppo oltre, in nome della repressione di una indisciplina italiota che trasgredirebbe continuamente e diffusamente le prescrizioni atte a fermare il Covid19…
Mi ha molto preoccupato – ciliegina sulla torta – la richiesta del dottor Burioni di oscurare il sito di informazione indipendente Byoblu (diretto da Marco Messora), accusato di suscitare panico e procurato allarme riportando opinioni a suo giudizio infondate (salvo poi a non dire che il suddetto canale ospita tranquillamente personaggi che esprimono pareri diametralmente opposti).
Dovremo seriamente iniziare a preoccuparci quando, in nome di una tranquilla sicurezza nazionale, si proporrà di limitare e censurare ogni voce difforme da quella ufficiale, che potrebbe creare allarmismi inutili e panico diffuso tra la popolazione…
Il dopo pandemia dovrà essere caratterizzato (si spera) dalla costruzione di un quadro legislativo che regoli in modo chiaro e rispettoso della Costituzione (si, perché non va sospesa nemmeno nelle emergenze conclamate come questa) le situazioni più critiche.
Ancora una volta potremmo essere chiamati tutti noi cittadini a riaffermare che i diritti non ce li può togliere nessuno, e che non si può confondere consapevolezza e rispetto di misure necessarie con un senso dell’obbedienza che a me ricorda troppo qualcosa di troppo lontano dal minimo delle garanzie che non possono essere sospese nemmeno in situazioni di massima emergenza.
Siamo moderatamente ottimisti…
Saluti antifascisti a tutt*
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La comunità europea e il pareggio di bilancio
L’unione Europea è stata concepita e strutturata come una piattaforma per economie in competizione, con lo scopo nemmeno troppo segreto di eliminare l’impianto socialdemocratico delle democrazie europee post-belliche attraverso una deregulation che favorisse i grandi capitali. Per quanto riguarda l’Italia, l’integrazione europea ha determinato
– in primis, lo sganciamento della banca centrale dal ministero del tesoro (1981) con conseguente moltiplicazione del debito pubblico, che prima di quella data era totalmente sotto controllo.
– il secondo step è stato la svendita del patrimonio industriale di stato. Immaginate di trovarvi in una situazione come questa che stiamo vivendo con una forza industriale pubblica di ottocento mila dipendenti a fare mascherine, respiratori, attrezzature, a curare logistica, etc.
– il terzo, l’aggancio a una moneta unica sconveniente al nostro sistema di esportazione, per neutralizzare il gap abbiamo dovuto abbassare i salari distruggendo la domanda interna
– quarto step, l’imposizione di un parametro deficit/PIL di nessun senso, sbertucciato da ogni economista internazionale. Un vero e proprio cappio al collo, che, tra l’altro, abbiamo dovuto rispettare solo noi che siamo in avanzo primario da trent’anni.
– Ultimo, ci ha pensato Mario Monti: salito al governo dopo una manovra speculativa indotta, ha imposto il pareggio di bilancio in costituzione (pietra tombale di ogni economia keynesiana) e l’obbligo di adesione ai trattati per via costituzionale, con Presidente della Repubblica a garante.
– La commissione europea ha invitato per dodici volte il nostro paese a ridurre le spese della sanità. I posti letto sono diminuiti di due terzi negli ultimi trenta anni.
Fuggiamo da questo abominio, in un modo o nell’altro, adesso o mai più.
Ps.: gli Eurobond, che imporrebbero una condivisione del debito da parte di tutti gli stati UE, determinerebbero ipso facto la fine dei trattati.
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Riccardo Infantino – 21.3.2020
Dopo l’emergenza sanitaria
Vorrei per un momento che pensassimo tutti insieme – in pratica cerchiamo di creare una intelligenza connettiva, come dice Derrick Deckerkove – al dopo emergenza.
Di certo, come è stato sottolineato da molti, non avremo più la situazione di prima, ed i provvedimenti di restrizione dei movimenti continueranno, sia pure attenuati (si spera di molto, diffusione del contagio permettendo), almeno per alcune settimane.
Quello che mi preoccupa, e parecchio, sarà la permanenza o meno delle misure restrittive non strettamente necessarie.
Molti ricorderanno di certo le famose (o famigerate) leggi antiterrorismo varate negli anni Settanta e tutt’oggi in vigore dopo tanto, troppo tempo; e temo che la sospensione delle garanzie costituzionali minime (le libertà personali, di movimento e di riunione, come da articoli 13, 16 e 17 della carta costituzionale) possa andare oltre il dovuto ed il necessario.
Accanto a questo mi auguro non si verifichi il problema della libertà di espressione: con una ordinanza di sapore un tantino antidemocratico l’Assessore alla Sanità Mario Nieddu ha richiesto ai dirigenti delle ASL della regione Sardegna di colpire con provvedimenti disciplinari chiunque tra il personale delle strutture mediche pubbliche rilasci dichiarazioni al di fuori dei comunicati ufficiali approvati.
Per ora l’unica cosa che questo apprendista tiranno ha ottenuto è stata una levata di scudi dall’Ordine dei Giornalisti e da quello dei Medici, che gli hanno fatto notare, anche con una certa ironia, che non è opprtuno mettere il bavaglio al posto della mascherina.
Forse si dovrebbe capire che noi semplici cittadini, gente comune e non di rado ignorante di cose mediche (almeno quelli che non si sentono infettivologi solo perché hanno passato tre pomeriggi in Rete a cercare notizie sull’argomento) saremmo rassicurati e più motivati ad adempiere alle indicazioni ministeriali se l’informazione fosse sempre trasparente e confrontabile attraverso fonti diverse (così magari riusciremmo anche a capire quali sono i fake e quali le notizie attendibili).
Staremo a vedere cosa succederà una volta terminata questa quarantena nazional popolare…saremo in grado di ritrovarci quanti più possibile per richiedere di nuovo i diritti fondamentali?
Saluti (in solitaria, ma con l’animo vicino ad ognuno) antifascisti a tutt*
Riferimenti: intelligenza connettiva – 13, 16 , 17 – ordinanza
Allora dovremo cominciare davvero a prendere in mano la situazione
Restare a casa, lavorare a distanza, gestire famiglie complesse e numerose in cattività, accudire anziani e malati, far fronte a ristrettezze presenti e future, scacciare ansie, fare i conti con sbalzi di umore, depressione, irritabilità…
Bloccare il propagarsi dal contagio, difendere se stessi, i propri cari, la comunità, sostenere in ogni modo possibile i lavoratori medici e paramedici che ci stanno tenendo in piedi, farsi coraggio, aiutarsi, cantare dal balcone, sentirsi parte di qualcosa che travalica le nostre esistenze individuali.
Tutto bello, ma non basta.
Quando tutto sarà finito, quando si sarà fatto conto delle vite perdute, dei danni economici e sociali, allora dovrà arrivare il secondo tempo.
Allora dovremo cominciare davvero a prendere in mano la situazione.
Chi ha distrutto il sistema sanitario nazionale, ridotto di quattro quinti il numero dei posti letto in terapia intensiva, regalato miliardi di euro alla sanità privata, voluto e messo in atto questa autonomia regionale da barzelletta.
Chi ha sottratto 1040 miliardi di euro in trenta anni alla collettività, fatto la guerra a ogni servizio pubblico con la scusa di combattere inefficienza e corruzione – e infatti adesso guardali, quanto sono onesti, quanto sono efficienti.
Chi ha sostenuto che i soldi dei cittadini dovessero essere impiegati per fare la TAV, il nucleare francese, il ponte sullo stretto di Messina, etc.
Chi ha manomesso la Costituzione e destinato il paese a una piattaforma sovranazionale sperequata, ingiusta, basata sul l’abbassamento progressivo dei salari, sulla competizione delle economie, sulla stabilità dei bilanci, guidata da personaggi mediocrissimi e unicamente rispondenti ai loro elettorati nazionali. Senza visione, senza cultura, senza solidarietà, senza futuro.
Ebbene, tutti questi, finita la pandemia, da soli non se ne andranno. Anzi, diranno che avevano ragione loro.
Sarebbe proprio il caso di spingerli via, con le buone o con le cattive. Perché il mondo cambierà, di questo possiamo starne certi.
Ma se non saremo noi a metterci le mani, se continueremo a lasciarli fare, se torneremo a immergerci nell’irrealtà creata dai loro media, se perderemo anche questo treno, allora…
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Riccardo Infantino – 14.3.2020
Della libertà, delle rinunce necessarie e di altro…
Fila (possibilmente ordinata) è la parola chiave di queste settimane: per la spesa, per entrare in farmacia, sempre attenti a rispettare la fatidica distanza di un metro tra le persone (augurandoci tutti che non sia distanza umana, oltre che fisica).
In strada cerco di essere gentile più del solito, nella speranza di contagiare non con virus di varia natura, ma con un sentore di cordialità e solidarietà (e in fondo cosa ci raccomanda l’articolo 2 della Costituzione, se non questo?).
Riaffiorano i ricordi dell’infanzia, quando abbiamo tutti attraversata una epidemia di colera provocata da un carico di cozze allevato vicino ad una fognatura (ingegnosi noi italiani…), e la situazione era assai più delicata di quella attuale, ma si andava in giro lo stesso rispettando tutti norme igieniche applicate con il buonsenso.
Paura è l’altra parola chiave, si percepisce nello sguardo di molte persone che incontri per la strada…come vorrei far capire loro che va benissimo essere prudenti e rispettare le disposizioni governative, a beneficio di tutti, ma attenzione a non credere nella paura, è il modo migliore per essere assogettati…ci si prepara alla perdita della libertà con il sorriso sulle labbra.
In queste ore i flash mob dai balconi: un modo per ritrovarci tutti, ce ne ricorderemo passata l’emergenza?
Ripenso a Drug Gojko, al Partigiano Johnny di Fenoglio, alla solidarietà nel segno dell’antifascismo frutto dell’amore per la libertà che univa individui che nemmeno si conoscevano, e che spesso avevano posizioni diverse; spero che ritroviamo tutti quel sentore, sarebbero felici – dovunque si trovino – i padri partigiani nel vedere che la memoria del loro esempio non è andata perduta…
Magari spero troppo, ma continuo a farlo…
Saluti antifascisti a tutt*
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Riccardo Infantino – 7.3.2020
Cosa potremmo diventare
Più di una volta, data la mia non più verde età, mi è capitato di notare come nelle situazioni critiche (o presunte tali) tiriamo fuori il meglio e il peggio di ognuno.
Suppongo sia fisiologico, ma forse la mia ingenuità, come dire, costituzionale (…) mi fa sempre sperare che nelle difficoltà l’essere umano (io per primo) torni a capire che non c’è nulla di scontato e che, soprattutto, non ci si salva mai da soli; l’ideale sarebbe, come dicono saggiamente i NoTAV, partire insieme e tornare tutti insieme.
Giorni di emergenza sanitaria questi, con le tende da campo di fronte agli ospedali (forse chi ha votato le forze politiche che hanno tagliati migliaia di posti letto ora si starà mordendo le mani) e una molteplicità di raccomandazioni che dovrebbero almeno ridurre le possibilità di contagio, tipo restare tutti almeno ad un metro di distanza l’uno dall’altro e lavarsi spesso le mani.
Quello che vedo è sconcertante: esercizi commerciali al collasso, famiglie in crisi per la chiusura delle scuole e la conseguente difficoltà di tante famiglie con i figli piccoli che non sanno come gestire, un sotterraneo ma non meno palpabile senso di sospetto reciproco, ma soprattutto il sentore che non torneremo affatto come eravamo prima di questa situazione.
Già…come saremo dopo?
Con dopo non intendo discutere sulla effettiva portata del contagio e sulla conseguente inevitabilità delle draconiane misure che vengono di giorno in giorno prese dal Consiglio dei Ministri (e voglio dirla tutta, ci sono molte cose che non mi quadrano, a partire dal fatto che ci sommergono di raccomandazioni e di allarmi per un pericolo di pandemia e poi veniamo a sapere che ben 30.000 soldati americani “miracolosamente” immuni stanno raggiungendo l’Europa), ma su come saremo cambiati a livello profondo in quanto cittadini che si rapportano agli altri cittadini.
Sapremo rispettare i diritti altrui, primo fra tutti quello di non essere aggrediti perché sospettati di essere untori propagatori del virus, come è accaduto ad una donna cinese pochi giorni fa, ci ricorderemo che fare incetta di viveri e mascherine priva chi ci sta intorno di oggetti dei quali magari potrebbero avere bisogno?
Eppure nella Costituzione è indicato chiaramente: non può esistere civiltà in un paese nel quale i cittadini non collaborino tutti per una vita quanto meno decente per ognuno, magari rinunciando ad un qualcosa per creare una situazione vantaggiosa per tutti, che poi ricadrà positivamente su ciascuno di noi.
Domani sarà il tanto celebrato e criticato 8 marzo: un valido esempio di dedizione al bene comune resta sempre quello delle partigiane donne (staffette e combattenti) e delle 21 donne che contribuirono alla stesura della carta costituzionale.
Forse capiremo meglio che “democrazia” è un valore collettivo, che non prevede privilegi individuali o cittadini più eguali degli altri…speriamo sia così.
Saluti (prudenti) antifascisti a tutt*
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Riccardo Infantino – 29.2.2020
Fame di sicurezza
Visto che siamo in tempi di “emergenza sanitaria” (mi si perdonino le virgolette) vorrei parlare del sintomo della fame, nel caso specifico della fame di sicurezza e di come venga provocata e se possibile alimentata.
Supponiamo che si voglia portare l’opinione pubblica di un paese a pensare che per il suo bene debba essere soggetta a restrizioni della libertà personale (garantita, tra l’altro, dall’articolo 13 della Costituzione) in vista di una emergenza che incombe su tutto e tutti, in modo pervasivo quanto indeterminato.
Come si può fare?
Basta applicare un principio della psicologia di massa: dare l’allarme per l’avvicinarsi di un pericolo generalizzato, prospettando conseguenze imprevedibili sui singoli e sulla collettività, e non limitarsi a dirlo una sola volta, ma ripeterlo a voce alta in continuazione, possibilmente con l’appoggio di media ufficiali compiacenti nell’amplificare a tutto campo il messaggio della spaventosa emergenza, appoggiandolo con gesti eclatanti compiuti magari da personaggi delle istituzioni.
Entro poco tempo si creerà un effetto domino su larga scala: una cospicua parte dei cittadini si convincerà che il pericolo sussiste, è diffuso e magari viene da qualcuno a noi molto vicino, per cui si rendono necessarie misure drastiche di limitazione delle libertà fondamentali, dato che la salute e la sicurezza vengono (tale è la tesi di fondo di tutta questa faccenda) prima di ogni cosa, anche dei diritti fondamentali.
Ovviamente dovranno essere emanati decreti che fronteggino uno stato di eccezionalità manifesto a tutti: limitazione e blocco della libertà di movimento (altro diritto garantito dall’articolo 16 della Costituizione…), naturalmente di pubbliche manifestazioni e riunioni (diritto sempre garantito all’articolo 17 della carta costituzionale…) pacifiche di cittadini nemmeno a parlarne, di fronte ad un pericolo così largamente percepito non è il caso di rischiare.
Ovviamente si potrebbe obiettare che le restrizioni di cui sopra sono legittimate da una situazione di pericolo (e in effetti gli articoli citati prevedono questo)…ma allora di fronte alla opinione di una persona competente, quale potrebbe essere una direttrice di una struttura sanitaria pubblica, che fa osservare come non si tratti di una epidemia – non ci sono i numeri, almeno per ora -, ma di una forma virulenta e pericolosa per soggetti già compromessi, che richiede comunque sane precauzioni, ma di certo non misure così drastiche come quelle adottate, cosa deve pensare chi ha il sospetto che si sia posto un pericoloso precedente di controllo sproporzionato dei cittadini?
Sono forse paranoico?
Comunque saluti antifascisti a tutt*
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Riccardo Infantino – 22.2.2020
Il referendum sulla riduzione dei parlamentari visto da un ignorante
L’ignorante, preciso subito, sono io…il lato positivo della ridda di opinioni e sparate in Rete e fuori sulla riduzione o meno del numero di parlamentari (siamo tutti costituzionalisti?…), al punto che tra non molto qualche bello spirito suggerirà l’uso del Corona virus per realizzare questo tanto sbandierato obiettivo, è il farmi sentire ignorante in materia di diritto costituzionale più di quanto lo sia già; questo ovviamente ha avuto come secondo effetto positivo la spinta a documentarmi per arricchire le mie scarse cognizioni in materia.
Risultato delle mie incompetenti ricerche: l’Italia è una democrazia parlamentare i cui deputati e senatori, in proporzione al territorio (per il Senato) ed al numero degli abitanti (per la Camera) sono delegati a gestire la sovranità popolare che ogni avente diritto al voto ha, sempre secondo la Costituzione.
Dato che uno dei presupposti della democrazia parlamentare è il bilanciamento dei poteri – piccoli e grandi – tra di loro, al fine di evitare pericolose concentrazioni nelle mani di uno o più individui, si calcola il numero dei parlamentari secondo un criterio di ragionevole distribuzione e di efficace rappresentanza del numero di elettori che fa capo ad ogni eletto, in modo da garantire la effettiva presenza dei cittadini nelle decisioni che vengono prese in parlamento.
Riducendo in modo significativo il numero dei parlamentari si aumenta di parecchio il numero di elettori che fanno capo ad ogni singolo deputato o senatore, in aperta contraddizione con il principio del bilanciamento dei poteri – piccoli e grandi – di cui sopra: un numero ridotto di rappresentanti dei cittadini comporterebbe una maggiore possibilità, per la maggioranza che di volta in volta sia al governo, di indebolire la indispensabile funzione della opposizione.
Una cosa poi mi insospettisce, e parecchio: chi sostiene il taglio dei parlamentari invoca risparmi corposi sul bilancio pubblico e magari procedure più rapide nella discussione delle leggi e nella gestione della cosa pubblica; da un punto di vista quantitativo siamo intorno a percentuali minime, che non risolverebbero certo il problema dei costi di un apparato statale ingolfato da una serie di passaggi che generano ognuno un costo per la collettività.
Riguardo poi la maggiore velocità di gestione della vita pubblica…mi sbaglio, o era uno degli argomenti preferiti da un certo signore che dichiarava di assumersi, lui solo uomo al comando, il peso dell’Italia, al solo scopo di ripararne i guasti, quasi fosse un padre che con autorità provvede al bene dei propri figli in quel momento incapaci di risollevarsi da soli…ma il diritto di voto non si acquisisce alla maggiore età, quando si è ritenuti responsabili delle proprie azioni e dunque capaci di gestirsi per conto proprio?
Saluti antifascisti a tutt*
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Riccardo Infantino – 15.2.2020
Memoria condivisa?
Nei giorni che hanno immediatamente preceduta e seguìta la data del 10 febbraio, il così detto Giorno del Ricordo, ho ascoltata non so più quante volte l’espressione “memoria condivisa”.
Confesso che non mi sono mai chiesto fino in fondo cosa possa essere, al di là dei valori fondamentali della nostra Costituzione (e già quello sarebbe davvero tanto), anche perché quello che viene fatto passare come memoria condivisa non sembra proprio essere tale.
Mi riferisco in particolare alla definizione di “tragedia delle foibe”, “morti da entrambe le parti” (Salò e Partigiani, nel caso specifico) e via di questo passo.
Una illuminazione me l’ha data il breve e denso intervento di Alessandro Barbero, che divide nettamente la Memoria e la Storia, facendo l’esempio di un uomo al quale i fascisti hanno fucilato il padre e l’opposto, una signora figlia di un gerarca, che difficilmente ricondurrebbe il proprio genitore alla essenza criminale tipica del fascismo: la loro memoria è, a livello personale, opposta, ma questo non può essere motivo – prosegue Barbero – per definire una banda di assassini i partigiani, dato che la Storia dimostra il contrario.
Lo stesso problema si pone se pensiamo agli anni di piombo: come li può ricordare il figlio di un carabiniere ucciso durante una azione delle Brigate Rosse, oppure quello di un brigatista morto in un conflitto a fuoco (magari dalla dinamica assai dubbia, come nel caso di Via Fracchia a Genova, ai tempi del generale Dalla Chiesa)?
Vivendo parte della mia vita in Rete – tento di fare attivismo digitale, per quanto sia possibile – ho incrociato su un social network il profilo di Barbara Balzerani, che delle Brigate Rosse fu parte attiva, scontando per questo numerosi anni di carcere.
Essendo curioso di avere notizie sul periodo che ho vissuto da studente di liceo (sono nato nel 1962) e da neo universitario le ho chiesto se ritenesse giusto aver ucciso, in nome di un ideale rivoluzionario (si può dissentire con il partito armato, ed io sono uno di quelli, ma è innegabile che lo scopo dichiarato dai brigatisti fosse l’avvento del comunismo).
Lei mi ha risposto che a differenza delle stragi nere (e proprio in questi giorni si è concluso il quarantennale iter delle indagini sulla strage di Bologna, con la esplicita dichiarazione di mandanti, depistatori ed esecutori) le BR uccidevano solo personaggi in vista collusi con quello stato borghese che dicevano di voler combattere.
Le ho fatto notare che in realtà i morti della scorta di Moro erano carabinieri in servizio, persone comuni in divisa (ovviamente mi è stato risposto che erano servi di uno stato nemico), e lì ho finito, capendo che una idea radicata non è proprio facile da mutare…
La cosa interessante di questo fortuito incontro digitale è stato il toccare con mano la divergente posizione su uno stesso fatto che entrambi gli interlocutori hanno vissuto: lei come parte del gruppo che rapì ed uccise Moro, io come spettatore poco più che adolescente, ma già convinto della inutilità dell’uso della violenza, fosse pure nel tentativo di abbattere un apparato statale repressivo (e lo era davvero).
Dunque avrebbe ragione Alessandro Barbero, negando la possibilità Di una memoria condivisa?
Non completamente, aggiungo…i fatti per come sono accaduti, li riporta alla luce la Storia, alla faccia dei tentativi di falsificazione vecchi e nuovi (foibe incluse…), poi ognuno li vive dal proprio punto di vista.
Quello che però resta, vorrei dire come bene comune, da curare e ravvivare tutti insieme, è il principio cardine della Costituzione: il rispetto per l’essere umano in quanto tale, e per il cittadino come depositario della sovranità popolare.
Su questo potremmo essere tutti concordi, non credete?
Saluti antifascisti a tutt*
Riferimenti: intervento di Alessandro Barbero – caso di Via Fracchia a Genova
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Riccardo Infantino – 26.1.2020
Oltre i citofoni
Dai comizi pubblici dell’era pre televisiva alle Tribune politiche della RAI degli anni Sessanta e Settanta e oggi alla Rete non sono mancati di certo i mezzi per una propaganda politica diffusa e incisiva.
Mai ci saremmo aspettati, noi gente comune, che anche i citofoni diventassero veicolo di propaganda elettorale…mi sono davvero divertito nel vedere le molteplici parodie del salviniano gesto: se citofonando (se lo sentisse la povera Mina!), meno male che siete Testimoni di Geova, pensavo fosse Salvini…e via di questo passo.
Personalmente sono convinto che con l’ironia si possa se non abbattere almeno incrinare un regime, e vorrei che in tanti bersagliassimo con ferocia satirica tutti quei comportamenti fascisti e razzisti che da episodi isolati stanno diventando abitudine quotidiana.
Siamo a questo punto di fronte ad un bivio: arginare la deriva fascista e razziale utilizzando la forza – i nostri padri partigiani furono costretti ad imbracciare la mitraglietta per scardinare il fascismo – oppure cercare di muoverci in massa in qualsiasi modo – anche scrivendo articoli su un giornale in Rete… – opponendo un risveglio di coscienze che mostri a tutti il vero disumano volto di comportamenti ormai non isolati – il pestaggio di gruppo di una ragazza omosex, la scritta “qui abita un ebreo” su un portone e via dicendo – che sono divenuti ormai la banalità del male.
Non sono così presuntuoso da avere la soluzione a portata di mano, voglio solo provocare e, se possibile, chiedere di sforzarsi per trovare una soluzione, dato che ormai non abbiamo più molto tempo per raddrizzare la nostra sofferente democrazia.
Saluti speranzosi ed antifascisti a tutt*
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Riccardo Infantino – 19.1.2020
Quando muore un giornalista
Era prevedibile che la scomparsa di Giampaolo Pansa provocasse una ridda di polemiche e reazioni contrastanti, di lode e di condanna; in fin dei conti la sua vita si è svolta all’insegna della contraddizione: da redattore conclamato di sinistra e filopartigiano a critico sempre più implacabile e detrattore della Resistenza in quanto tale.
Un documentato resoconto della sua vicenda mediatica lo ha fornito Tomaso Montanari in Micromega, evidenziando la progressiva e sempre più intensa opera di delegittimazione del movimento resistenziale, che è divenuto, di fatto (secondo Pansa), intoccabile ed inesplorabile nella sua parte oscura.
Risponde Guglielmo Federici sul Secolo d’Italia, tacciando Montanari di ignoranza e faziosità nei confronti di uno studioso che ha osato vedere dietro un oggetto mitico quale la Resistenza, dando visibilità a fatti di sangue (quello dei vinti) occultati nella loro terribilità.
Come sempre, quando incontro giudizi così opposti sono incitato a farmi una opinione mia…è una deformazione professionale, insegnando Storia (quella con la “S” maiuscola, che va vista da tutte le angolazioni possibili): confesso candidamente di aver letto poco di Pansa, ma mi ha colpito che in ogni sua affermazione è sempre stato assai avaro nel citare le fonti dalle quali dovrebbe aver prese le informazioni sui massacri e gli eccidi nascosti perpetrati dai partigiani…come mai?
Leggendo della morte di un essere umano provo istintivamente un grande cordoglio, è una vita che si spegne, non c’è niente da fare; subito dopo mi viene da chiedermi: come ha vissuto e che cosa ha fatto?
Da un punto di vista strettamente professionale si può definire uno che il suo mestiere lo conosceva bene (scandalizzatevi pure, ma una pratica giornalistica vasta come la sua l’hanno avuta in pochi, in qualunque direzione sia stata diretta); quello che mi sconcerta del suo agire è stato il repentino cambiamento di rotta, iniziato con Il sangue dei vinti (del 2003) e proseguito in tutti gli anni successivi.
In tutta sincerità mi sembra di avere di fronte un rivoluzionario pentito che inevitabilmente finisce per diventare più realista del re; non mi interessa discutere se questo repentino cambio di rotta sia avvenuto per convenienze di tipo economico o ideologico, quanto far notare che nessuno, lui per primo, abbia considerato che i supposti episodi di violenza individuale e collettiva fossero da inquadrare in un contesto di vessazione fascista fatta di omicidi, torture e quant’altro, protrattasi per anni ed anni…ecco come si genera quella che nelle sue opere viene definita la caccia al fascista negli anni 1945-1946, e la successiva – sempre a suo dire – indebita santificazione della Resistenza in Italia e non solo.
Lo studio della Storia (di nuovo quella con la “S” maiuscola) impone di inserire ogni fatto, per quanto terribile, nel contesto che lo ha generato, pena il non capirlo e comprenderlo fino in fondo; le polemiche pro e contro Pansa mi rammentano subito quelle sui fatti di Piazzale Loreto, uno degli episodi più gettonati dalla ultra destra (e non solo) per dimostrare la disumanità dei partigiani.
Basterebbe andare a vedere un pochino in profondità e si scoprirebbe che i cadaveri di Mussolini, di Claretta Petacci e dei gerarchi che vennero appesi per i piedi e coperti di sterco non furono deturpati dai partigiani, ma strappati a loro dalla folla dei milanesi inferociti, perché otto mesi prima furono costretti ad assistere allo scempio di altri cadaveri, quelli di tredici partigiani fucilati e lasciati all’aria aperta su quella piazza, sotto lo sguardo dei familiari (e il partigiano Sandro Pertini intervenne per far cessare lo strazio dei cadaveri, nemici ormai morti).
Preferisco a questo punto, lo devo proprio dire, la parabola giornalistica di un vecchio fascista come Indro Montanelli, che nel suo essere reazionario e non di rado ipercritico nei confronti delle istituzioni repubblicane ha sempre perseguita una coerenza di pensiero e di orientamento politico, nella sua diretta e a volte brutale sincerità.
Saluti più che antifascist* a tutti
Riferimenti: scomparsa di Giampaolo Pansa – documentato resoconto – Risponde Guglielmo Federici – Il sangue dei vinti
Silvio Antonini 19.1.2020
HAMMAMET.
Ce l’ho fatta a vederlo, e proprio a ridosso del 20° della morte del protagonista. Se solo penso, per es., ad una discografia sui brani contro Craxi che hanno segnato la mia formazione politico-culturale non la finisco più. Craxi era il nemico: “Chi non salta socialista è”, si intonava nei momenti collettivi. Già: Craxi aveva reso epiteto un’aggettivazione nobile; i “socialisti” anni ’80 – inizi ’90 erano antropologicamente ormai di destra, non è certamente da imputare al caso se la quasi totalità del loro elettorato e dei loro quadri sia stata assorbita dal berlusconismo, assumendo spesso al suo interno le posizioni più reazionarie, anche rispetto agli “ex” fascisti. Hanno costoro rappresentato la traduzione italiana del reaganismo, hanno fatto assurgere la corruzione a stile di vita: al debito pubblico si è così sommato quello morale, con danni non meno ingenti.
Nel corso del tempo, studiando e curiosando, ho collocato nel craxismo l’epilogo della disgraziata storia del socialismo italiano. La principale pubblicazione che mi sovviene è, appunto, Ma l’idea non muore, Storia orgogliosa del socialismo italiano, di Giorgio Galli, poi rieditata col più prosaico titolo di Storia del socialismo italiano, o giù di lì. In quel saggio è descritta la fulminea ascesa di Craxi, che si era fatto largo a suon di citazioni di Trotzki e Rosa Luxemburg e, come Saragat, esatti 30 anni dopo, aveva perciò arruolato parte di quanto si muoveva a sinistra del Pci, che ora si identificava con la Nuova sinistra. Dal movimentismo libertario all’autoritarismo corrotto, il passo sarà breve. Certo, episodi come Sigonella erano ancora possibili: il mondo era diviso in blocchi e la sudditanza non aveva ancora raggiunto i livelli che si avranno nei decenni successivi, a causa però proprio della classe dirigente già allora in auge.
Con questo spirito mi sono recato al cinema. La pellicola è, detto da comune fruitore, bella. Si è scritto ormai tutto sulla bravura di Favino nel restituire il personaggio, quel suo tipico parlato con pause che, si disse, aveva mutuato da Mario Capanna.
Soggetto e sceneggiatura – va detto, non con spirito del tutto assolutorio – si incentrano, va da sé, sulla dimensione privata, sull’ascesa e rovina dell’individuo, al fine solo. E’ questo un fatto ovvio nella trattazione biografica ma le pur legittime e naturali letture psicologiche, che portano giocoforza ad empatizzare con il singolo, possono risultare fuorvianti nelle conclusioni, politiche o pubbliche che siano.
Craxi sembra uscirne romanticamente sconfitto ma occorre, purtroppo, ricalcolare questo bilancio. Egli, non a caso divenuto poi riferimento per i neofascisti ed i rossobruni, ha aperto la strada all’involuzione autoritaria e personalistica delle nostre istituzioni, ha messo, primo nella storia, il suo faccione sui manifesti del Psi, dopo avervi tolto la falce e martello e i riferimenti al marxismo, preferendogli, significativamente, Proudhon.
A ben vedere, il principio di tutta la melma venuta dopo e in cui oggi siamo pienamente impantanati.
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Riccardo Infantino – 2.1.2020
Le parole della Costituzione
Per il pezzo che propongo oggi prendo a prestito il titolo di una autorevole pubblicazione dell’Istituto Treccani, che in un volume degli anni Duemila analizza i 40 vocaboli cardine della carta costituzionale; in un intervento all’Accademia dei Lincei del 26 settembre 2019 Massimo Bray, il direttore dell’Istituto Treccani, ricorda quanto sia fondamentale l’insegnamento di quella che era chiamata Educazione Civica, ora Cittadinanza e Costituzione.
Iniziando dalla proposta di Aldo Moro alla Costituente nel 1947, reiterata nel 1976, due anni prima del suo assassinio, sulla necessità di introdurre nella scuola lo studio della Costituzione per creare cittadini responsabili e solidali, il relatore prosegue sottolineando come in un momento nel quale la carta costituzionale non solo viene attaccata, ma tacciata di parzialità ideologica, riprende le parole di don Luigi Ciotti:”In quanto legge fondamentale dello Stato la Costituzione non chiede solo “obbedienza” ma molto di più: corresponsabilità, ossia impegno ad essere liberi con gli altri e per gli altri”.
La parola chiave più importante è dunque responsabilità, abbinata al rapporto di fiducia tra Stato e cittadino, minato dalla corruzione; per fronteggiarla – continua l’intervento – non serve solo la sanzione penale, ma anche, e molto di più, l’educazione dei futuri cittadini attraverso uno studio della Costituzione che non si limiti ad una lettura degli articoli, ma che faccia vivere nella quotidianità i suoi princìpi (che come ben sappiamo sono contenuti nei suoi primi 11 articoli), in modo da non renderli una astratta materia di studio, soprattutto nella scuola superiore.
Attraverso la cultura (la base dell’articolo 9) si potrebbe realizzare una esperienza totale (mi verrebbe da dire globale ed immersiva) basata sulla praticità, attualità e coinvolgimento, parole chiave determinanti soprattutto in considerazione della fondamentale importanza che la Rete ha nel veicolare informazioni ed essere luogo di acculturazione politica che renda i diciottenni in grado di scegliere consapevolmente chi votare, identificando e scartando fake news e rigurgiti populisti o peggio ancora fascisti, magari travestiti da democrazia.
Volevo condividere con tutti voi questa densa riflessione (qui il testo), perché la trovo assai motivante per l’ANPI, in quanto associazione antifascista che attraverso l’azione diffusa dei suoi membri può concretamente contribuire a rimotivare i cittadini – e non solo i più giovani – a praticare la buona politica ed arginare il “fascismo del terzo millennio” non abboccando alle sue facili promesse di ordine e legalità a scapito dei diritti: nella Storia finisce sempre così.
Saluti antifascisti a tutt*
Riferimenti nel testo: intervento – articolo 9 – qui il testo
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Riccardo Infantino – 2.1.2020
Ma davvero non cambia nulla?
Inizio 2020…non proprio positivo, considerata la “coraggiosa” aggressione ai danni di Arturo Scotto a Venezia nella notte di Capodanno; pare proprio che il debutto non sia buono, anche in considerazione del fatto che solo un ragazzo è intervenuto – prendendosi pugni e calci – in difesa dell’aggredito, di fronte a centinaia di persone che non hanno mosso nemmeno un dito per intervenire, magari in gruppo, evitando forse il degenerare di quella che era partita come una lite verbale.
Sulla stampa e sui social network pioggia, anzi, diluvio di solidarietà per l’aggredito…va bene, di certo è un grande conforto in un momento in cui troppi italiani vengono convinti a pensare che il fascismo non è poi così cattivo ed antidemocratico come ce lo hanno sempre presentato…ma allora come invertire la rotta, come agire sulle coscienze addormentate da un nuovo duce cialtrone, per dirla con Pietro Terracina, sopravvissuto allo sterminio, in uno dei suoi ultimi incontri con i ragazzi?
Qui entriamo in campo noi cittadini comuni, attraverso il mezzo di comunicazione per eccellenza: la parola, soprattutto quella detta a chi incontri, persona nota o meno; ogni sillaba pronunciata a favore del rispetto tra gli esseri umani e contro il fascismo come forma mentale diffusa (quello è il vero nemico) potrebbe costituire il mattone di un argine contro la disumanizzazione dei rapporti interpersonali, esito inevitabile della logica di esclusione del dissenso e della sana critica al potere costituito e alla opinione che si spaccia come dominante; e che cosa è se non un atto repressivo e persecutorio l’arresto di Nicoletta Dosio, nota terrorist…pardon!…nota insegnante in congedo e leader NoTav, che in una lettera scritta subito dopo l’arresto incoraggia all’azione per una società diversa, che è di possibile realizzazione.
Un po’ come sostenne Erri De Luca, anche lui processato per l’appoggio ai NoTav, nel suo opuscolo La parola contraria; come si vede bene le cose possono cambiare, e magari non c’è neppure bisogno di gesti eroici eclatanti, ma di una azione quotidiana, capillare e diffusa.
Proviamoci tutti insieme.
Saluti antifascist* a tutti
Riferimenti: “coraggiosa” aggressione ; l’arresto di Nicoletta Dosio ; La parola contraria.